Nella somministrazione non si può superare il limite di una durata ragionevolmente temporanea.

Nota a Cass. 1° agosto 2023, n. 23445

Alfonso Tagliamonte

In linea con i principi espressi dalla Corte di Giustizia, cui si è conformata la giurisprudenza di legittimità, nell’ambito degli indici rivelatori di un eventuale abuso del ricorso reiterato alla somministrazione a termine, va verificato “se la reiterazione delle missioni del lavoratore presso l’impresa utilizzatrice abbia oltrepassato il limite di una durata che possa ragionevolmente considerarsi temporanea, sì da realizzare una elusione delle norme imperative ai sensi dell’art. 1344 c. e, specificamente, degli obblighi e delle finalità imposti dalla Direttiva (n. 2008/104/CE sul lavoro tramite agenzia interinale), da cui discende, secondo l’ordinamento interno, la nullità dei contratto”. Cfr. CGUE 14 ottobre 2020, C-681/2018. (In senso conforme, v. anche CGUE 17 marzo 2022, C-232/2020, in q. sito con nota di A. TAGLIAMONTE, nonché Cass. nn. 22861/2022, in q. sito con nota di M N. BETTINI, 23531/2022 e 29570/2022, in q. sito con nota di F. DURVAL).

Questo, il principio espresso dalla Corte di Cassazione (1° agosto 2023, n. 23445) che ha accolto il ricorso di una lavoratrice impiegata su una nave da crociera in forza di tre distinti contratti di somministrazione a tempo determinato succedutesi senza soluzione di continuità per un tempo complessivo di oltre quattro anni. La lavoratrice aveva sostenuto di aver lavorato continuativamente presso il medesimo utilizzatore svolgendo sempre le stesse identiche mansioni ed aveva perciò rivendicato la conversione del rapporto di lavoro in rapporto a tempo indeterminato nei confronti dell’utilizzatore o, in via subordinata, nei confronti dell’agenzia di somministrazione per violazione dell’art. 47 (“Proroghe”) del ccnl di settore, oltre al pagamento di una indennità risarcitoria.

La Corte premette che sebbene “il D.lgs. n. 81 del 2015, e prima ancora il D.lgs. n. 276 del 2003, non contenga alcuna previsione esplicita sulla durata temporanea del lavoro tramite agenzia interinale, ciò non impedisce di considerare tale requisito come implicito ed immanente del lavoro tramite agenzia interinale, in conformità agli obblighi imposti dal diritto dell’Unione, non comportando una simile lettura una interpretazione contra legem”.

Inoltre, i giudici richiamano taluni indici rivelatori dell’eventuale ricorrenza di un abusivo ricorso al lavoro tramite agenzia interinale, volto ad eludere la finalità della Direttiva finalizzata a circoscriverne la portata in termini di temporaneità, e cioè quando:

– “le missioni successive del medesimo lavoratore tramite agenzia interinale presso la stessa impresa utilizzatrice conducano a una durata dell’attività presso tale impresa più lunga di quanto possa essere ragionevolmente qualificato come “temporaneo”: da ciò potrebbe, infatti, evincersi un ricorso abusivo a missioni successive, ai sensi della Dir. n. 2008/104, art. 5, paragrafo 5, prima frase”;

– le suddette missioni siano idonee “a compromettere l’equilibrio realizzato da tale Direttiva tra la flessibilità per i datori di lavoro e la sicurezza per i lavoratori, a discapito di quest’ultima”;

– “ad essere assegnato all’impresa utilizzatrice, in forza dei contratti successivi in questione sia sempre lo stesso lavoratore tramite agenzia interinale”.

Occorre notare in proposito che la Corte aveva accertato che le missioni corrispondenti ai tre contratti di somministrazione a termine, sempre per la medesima unica lavoratrice e per identiche mansioni specifiche, inquadrate parimenti ogni volta nel medesimo livello contrattuale, si erano succedute presso la stessa utilizzatrice senza “interruzioni tra una missione e l’altra”, per un tempo complessivo di oltre quattro anni (sebbene non più precisamente determinato in un numero complessivo di giorni), in ogni caso superiore senz’altro, e non di poco, al tempo complessivo di 36 mesi, che costituiva il limite per i contratti a termine c.d. “diretti.

La Cassazione rileva altresì che il giudice di merito – pur accertando che il rapporto di lavoro in somministrazione ha avuto una durata complessiva ben superiore al termine di 36 mesi, che costituiva all’epoca il limite per i contratti a termine diretti – non ha verificato se, nel caso di specie, la reiterazione delle missioni della lavoratrice presso il medesimo utilizzatore avesse oltrepassato quel limite di durata entro cui l’attività lavorativa svolta presso detta impresa utilizzatrice potesse ragionevolmente considerarsi “temporanea”; in tal modo realizzando una elusione di norme imperative ex art. 1344 c.c. nonché delle finalità imposte dalla Direttiva UE n. 2008/104, da cui discende, secondo l’ordinamento interno, la nullità dei contratti in questione.

Sentenza

Corte di Cassazione 1 agosto 2023 n. 23445

Fatti di causa

1.Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di Genova respingeva l’appello principale proposto da (OMISSIS) contro la sentenza del Tribunale della medesima sede che aveva rigettato le sue domande, volte ad ottenere la conversione del rapporto di lavoro in rapporto a tempo indeterminato nei confronti di (OMISSIS) s.p.a. ovvero, in via subordinata, nei confronti di (OMISSIS) s.p.a. per violazione dell’articolo 47 CCNL agenzie di somministrazione di lavoro, oltre all’indennità risarcitoria prevista dal Decreto Legislativo n. 81 del 2015, articoli 28 e 39; compensava tra le parti le spese del secondo grado, dichiarando sussistenti i presupposti per il raddoppio del contributo unificato, a carico dell’appellante principale.

2. Per quanto qui interessa, la Corte territoriale, in primo luogo, considerava che i contratti di lavoro in somministrazione a termine stipulati dall’appellante con (OMISSIS) s.p.a. erano stati tre come tre erano stati i contratti di somministrazione stipulati tra (OMISSIS) e (OMISSIS), ritenendo che la doglianza sollevata nel corso del primo grado dalla (OMISSIS), relativa alla discrasia tra il primo contratto di somministrazione tra (OMISSIS) e (OMISSIS) ed il primo contratto di lavoro a tempo determinato tra (OMISSIS) e la lavoratrice, fosse frutto di mero errore materiale da parte di (OMISSIS). Richiamava, quindi, l’orientamento giurisprudenziale, formatosi con riguardo al diverso istituto del lavoro interinale (L. n. 196 del 1997), espresso tra le altre da Cass. n. 232/2012, e la giurisprudenza di legittimità formatasi sulla previgente normativa (Decreto Legislativo n. 276 del 2003), ma riteneva che non vi fosse motivo di rimettere la questione alla Corte costituzionale ovvero alla Corte di Giustizia UE, esistendo nel nostro ordinamento strumenti adeguati per sanzionare il ricorso abusivo all’istituto della somministrazione da parte dell’utilizzatore che intenda impiegare il lavoratore somministrato per esigenze stabili e durature. Osservava, infatti, che nella fattispecie in esame non si ricade in una simile situazione, posto che la lavoratrice in questa controversia aveva soltanto denunciato il superamento dei 36 mesi di durata della sua utilizzazione presso (OMISSIS), comportante – a suo avviso – una conversione ope legis del rapporto in capo all’utilizzatore, senza tuttavia nulla dedurre sulla effettiva mancanza di temporaneità del proprio impiego. Concludeva, allora, che nessuna conversione del rapporto poteva essere disposta nei confronti di (OMISSIS). La stessa Corte, inoltre, reputava non meritevole di accoglimento l’appello anche per la parte riguardante il contestato rigetto della domanda nei confronti di (OMISSIS) s.p.a. A riguardo, riportato il testo dell’articolo 47 “Proroghe” del CCNL di settore, riteneva che errava l’appellante nel ritenere che nel caso in questione vi fosse stata un’unica missione presso il medesimo utilizzatore, avendo lavorato continuativamente presso (OMISSIS) con le stesse mansioni e senza soluzione di continuità, per cui i rinnovi contrattuali dovevano considerarsi di fatto delle vere e proprie proroghe dello stesso contratto di lavoro, perché le missioni sono state tre, come tre sono stati i contratti di somministrazione tra (OMISSIS) e (OMISSIS), anche se non vi erano state interruzioni tra una missione e l’altra; il che però non era vietato dalla legge o dalla contrattazione collettiva, salvo anche in questo caso l’abuso in frode alla legge, da ritenersi nella fattispecie insussistente per gli stessi motivi in precedenza esposti in merito al superamento del termine di 36 mesi.

3. Avverso tale decisione (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.

4. Hanno resistito le intimate con distinti controricorsi.

5. Tutte le parti hanno depositato memoria.

Ragioni della decisione

1.Con il primo motivo la ricorrente denuncia la “Violazione del Decreto Legislativo n. 276 del 2003, articoli 20, 21 e 27, nel testo vigente all’epoca di svolgimento del primo e del secondo contratto di somministrazione (articolo 360 c.p.c., n. 3)”, per avere la Corte d’appello ritenuto che la discrasia tra il contratto commerciale di fornitura e quello di lavoro quanto alle mansioni e all’inquadramento della ricorrente fosse irrilevante in quanto frutto di mero errore materiale.

2. Con il secondo motivo denuncia la “Violazione degli articoli 2697, 2727 e 2729 c.c. (articolo 360 c.p.c., n. 3)”, per avere la Corte d’appello ritenuto che l’onere della prova circa la sussistenza delle ragioni legittimanti il ricorso alla somministrazione fosse a carico della lavoratrice anziché del datore di lavoro. Secondo la ricorrente, inoltre, nessun significato, nel senso attribuitogli dalla Corte d’appello, poteva essere dato al fatto che la (OMISSIS), dopo 4 anni e mezzo di lavoro, non fosse stata più utilizzata dalla (OMISSIS), e di qui la dedotta violazione degli articoli 2727 e 2729 c.c., avendo la Corte fondato il proprio accertamento su detta circostanza che, lungi dal costituire prova, non aveva neppure valore indiziario.

3. Con un terzo motivo denuncia la “Violazione della Direttiva 104/2008/CE relativa al lavoro tramite agenzia interinale con riferimento al Decreto Legislativo n. 276 del 2003, articoli 22 comma 2; D.lgs. 817 del 2015, 34 e D.lgs. 276 del 2003, 20, come modificato dal Decreto Legge 20.03.2014 n. 34 conv. con mod. dalla L. 16.05.2014 n. 78 (articolo 360 c.p.c., n. 3)”, chiedendo, inoltre, a questa Corte di sottoporre alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, la seguente questione pregiudiziale in ordine all’interpretazione dell’articolo 5.5 Direttiva 19 novembre 2008 n. 2008/104/CE sul lavoro tramite agenzia interinale: “Se l’articolo 5.5 della Direttiva 19 novembre 2008, n. 2008/104/CE debba essere interpretato nel senso che osti all’applicazione del Decreto Legislativo n. 276 del 2003, come modificato dal Decreto Legge n. 34 del 2014, che: a) non prevede limiti alle missioni successive del medesimo lavoratore presso la stessa impresa utilizzatrice; b) non subordina la legittimità del ricorso alla somministrazione di lavoro a tempo determinato all’indicazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo del ricorso alla somministrazione stessa; c) non prevede il requisito della temporaneità dell’esigenza produttiva propria dell’impresa utilizzatrice quale condizione di legittimità del ricorso a tale forma di contratto di lavoro“.

4. Con un quarto motivo denuncia la “Violazione dell’articolo 47 “proroghe” del CCNL per la categoria delle agenzie di somministrazione di lavoro (articolo 360 c.p.c., n. 3)”, con riferimento alla nozione di nuovo contratto e proroga.

5. Il primo motivo è infondato.

6. La Corte territoriale ha accertato che il primo contratto di somministrazione a termine intervenuto tra la (OMISSIS) e la (OMISSIS) s.p.a. ” è stato sottoscritto l’11 giugno 2012 per lo svolgimento di mansioni di “sales and service agent” – III livello CCNL Marittimi addetti agli uffici – presso l’utilizzatrice (OMISSIS) spa, per il periodo dal 14 giugno 2012 al 1 dicembre 2012; tale contratto è stato prorogato per tre volte, fino al 4 maggio 2013, poi fino al 30 giugno 213 e infine al 31 luglio 2013. Risulta tuttavia dagli atti ed è incontestato tra le parti che a partire da settembre 2012 la lavoratrice è stata inquadrata e retribuita nel 4 livello, con le mansioni di “credit accountant”, come per gli altri successivi contratti di lavoro. A tale contratto di lavoro corrisponde il primo contratto di somministrazione dal 14/6/2012 al 30/6/2013 prorogato sino al 31/07/2013″.

Ciò premesso, circa la doglianza relativa alla discrasia tra tali due primi contratti, riproposta in sede d’appello dalla lavoratrice, ha considerato che: “E’ pur vero che, in applicazione dei principi sanciti nella sentenza delle S.U. della Corte di Cassazione n. 26242/2014, il giudice può rilevare d’ufficio ex articolo 1421 c.c. una qualsiasi causa di nullità dei contratti invocati dalle parti a sostegno delle proprie ragioni, stante l’interesse generale volto ad evitare la produzione di effetti di pattuizioni contra legem; tuttavia nel caso di specie le incongruenze relative al livello e al periodo di lavoro tra i due primi contratti evidenziate dalla lavoratrice non portano affatto alle conseguenze di nullità del contratto di somministrazione per mancanza di forma scritta.

Ed infatti, riguardo al diverso inquadramento, si è trattato, come sopra evidenziato di un mero errore materiale da parte di (OMISSIS) che ha inizialmente assunto la (OMISSIS) quale “(OMISSIS)” di 3 livello, anziché – come avrebbe dovuto in base al contratto di somministrazione – quale “credit accountant” di 4 livello; tanto è vero che – appena resasi conto dell’errore (dal settembre 2012), la datrice di lavoro ha provveduto a correggere le buste paga e retribuire la lavoratrice con il trattamento previsto per il 4 livello. Anche la questione relativa alla non identità dei periodi indicati nei due contratti non assume rilevanza ai fini dell’asserita nullità del contratto di somministrazione, posto che il primo contratto di lavoro è stato poi prorogato sino alla data finale indicata nel contratto di somministrazione (31/07/2013).

Il primo contratto di somministrazione prodotto da (OMISSIS) quindi si ricollega perfettamente al primo contratto di lavoro stipulato con la lavoratrice”.

6.1. La ricorrente assume nello sviluppo della censura in esame che la non corrispondenza tra il contratto commerciale di fornitura e quello di lavoro, sia per quanto riguarda le mansioni che per l’inquadramento, non eliminata dalla sostituzione/modifica scritta del contratto (che, anzi, nel caso di specie è stato ripetutamente prorogato negli stessi termini), comporta (anche se frutto di errore) la non riconducibilità dell’utilizzazione del lavoratore al contratto commerciale e, conseguentemente, la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato in capo all’utilizzatore.

6.2. Tale argomento non può, però, essere condiviso, perché la Corte territoriale, in base ad accertamento di fatto, non adeguatamente censurato in questa sede di legittimità, ha ritenuto che le su viste indicazioni nel primo contratto di lavoro somministrato a termine, non collimanti con quelle del primo contratto di somministrazione intercorso tra le due società, erano frutto di mero errore materiale, e non potevano perciò credersi produttive di nullità per assenza di forma scritta.

7. Passando a considerare il terzo motivo di ricorso, occorre subito porre in luce che sulla questione pregiudiziale che la ricorrente chiede di sottoporre alla Corte di Giustizia dell’UE, in ordine all’interpretazione dell’articolo 5.5. della Direttiva n. 2008/104/CE sul lavoro tramite agenzia interinale nei termini profilati in tale motivo (e che la stessa ricorrente segnalava essere stata già rimessa a quella Corte di Giustizia dal Tribunale di Brescia, con ordinanza del 16.10.2018), la medesima Corte di Giustizia UE si è nel frattempo già espressa.

Questa Corte di legittimità, difatti, nelle ancor recenti sentenze di questa Sezione 21.7.2022, n. 22861, 27.7.2022, n. 23531 e n. 23494; e 11.10.2022, n. 29570, ha tenuto conto della sentenza della Corte di Giustizia UE in data 14 ottobre 2020, JH c. KG, C681/2018, pronunciata sul cennato rinvio pregiudiziale del Tribunale di Brescia, nonché della successiva sentenza della stessa Corte di Giustizia in data 17 marzo 2022, Dai Inler AG, Mercedes-Ben Werk Berlin, C-232/2020.

Più in particolare questa Corte, all’esito di una ricognizione del quadro normativo nazionale in subjecta materia e anche sulla scorta di precedenti interni, ha conclusivamente considerato che: “25. Il fatto che il D.lgs. n. 81 del 2015, e prima ancora il Decreto Legislativo n. 276 del 2003, non contenga alcuna previsione esplicita sulla durata temporanea del lavoro tramite agenzia interinale non impedisce di considerare tale requisito come implicito ed immanente del lavoro tramite agenzia interinale, in conformità agli obblighi imposti dal diritto dell’Unione, non comportando una simile lettura una interpretazione contra legem. 26. E’ compito del giudice di merito stabilire caso per caso, alla luce di tutte le circostanze pertinenti, se la reiterazione delle missioni del lavoratore presso l’impresa utilizzatrice abbia oltrepassato il limite di una durata che possa ragionevolmente considerarsi temporanea, sì da realizzare una elusione delle norme imperative ai sensi dell’articolo 1344 c.c. e, specificamente, degli obblighi e delle finalità imposti dalla Direttiva, da cui discende, secondo l’ordinamento interno, la nullità dei contratti. 26.1. In tale compito il giudice nazionale può avvalersi delle indicazioni provenienti dalla Corte di Giustizia che nella sentenza C-681/2018 cit., pronunciata proprio su rinvio pregiudiziale del Tribunale di Brescia in analoga vicenda, ha rimesso al giudice di rinvio di controllare, alla luce dell’obbligo di interpretazione conforme, la qualificazione giuridica del rapporto di lavoro, tenendo conto sia della Dir. N. 2008-104 stessa, sia del diritto nazionale che la traspone nell’ordinamento giuridico italiano, in modo da verificare se possa configurarsi un rapporto di lavoro a tempo indeterminato al quale è stata artificiosamente attribuita la forma di una successione di contratti di lavoro tramite agenzia interinale con lo scopo di eludere gli obiettivi della Dir. N. 2008-104, ed in particolare la natura temporanea del lavoro interinale (punto 67). La Corte di giustizia ha, quindi, nella richiamata sentenza del 14 ottobre 2020, indicato alcuni indici rivelatori dell’eventuale ricorrenza di un abusivo ricorso al lavoro tramite agenzia interinale volto ad eludere la finalità della Direttiva di circoscriverne la portata in termini di temporaneità che, con la più recente decisione del 17 marzo scorso, vengono confermati e ulteriormente precisati. 27.1. In particolare, la Corte ha ritenuto rilevante verificare se le missioni successive del medesimo lavoratore tramite agenzia interinale presso la stessa impresa utilizzatrice conducano a una durata dell’attività presso tale impresa più lunga di quanto possa essere ragionevolmente qualificato come “temporaneo”: da ciò potrebbe, infatti, evincersi un ricorso abusivo a missioni successive, ai sensi della Dir. n. 2008-104, articolo 5, paragrafo 5, prima frase. 27.2. Analogamente, missioni successive assegnate al medesimo lavoratore tramite agenzia interinale presso la stessa impresa utilizzatrice possono eludere l’essenza stessa delle disposizioni della Dir. n. 2008/104 e possono costituire un abuso di tale forma di rapporto di lavoro, in quanto idonee a compromettere l’equilibrio realizzato da tale Direttiva tra la flessibilità per i datori di lavoro e la sicurezza per i lavoratori, a discapito di quest’ultima. 27.3. Infine, quando, in un caso concreto, non viene fornita alcuna spiegazione oggettiva al fatto che l’impresa utilizzatrice interessata ricorra ad una successione di contratti di lavoro tramite agenzia interinale, spetta al giudice nazionale verificare, nel contesto del quadro della Dir. n. 2008/104, venga aggirata, a maggior ragione laddove ad essere assegnato all’impresa utilizzatrice, in forza dei contratti successivi in questione sia sempre lo stesso lavoratore tramite agenzia interinale” (così nella motivazione Cass. n. 22861/2022, cit.).

8. Nei casi esaminati da questa Corte nelle teste’ citate sentenze, analoghi a quello ora in esame, le sentenze della Corte di merito allora impugnate sono state cassate con rinvio sul rilievo che in esse “nessuna di tali valutazioni è stata compiuta dal giudice di merito”.

9. Nella fattispecie concreta ora in esame, lo scrutinio pur compiuto dalla Corte territoriale sullo stesso tema è risultato quanto meno parziale e comunque non conforme ai principi di diritto, sopra delineati sulla scorta delle sentenze della Corte di giustizia unionale ivi richiamate.

10. Più in particolare, la Corte d’appello, pur avendo dato conto che l’allora appellante a più riprese nelle sue censure rivolte alla pronuncia di primo grado aveva dedotto che quanto occorsole poteva costituire elusione dei limiti imposti dalle direttive comunitarie sulla temporaneità della somministrazione, con frode alla legge (cfr. facciate 5-7 della sua sentenza), si è limitata, in modo peraltro implicito, ad escludere un ricorso abusivo dell’istituto della somministrazione da parte dell’utilizzatore, vale a dire, della (OMISSIS).

Occorre notare in proposito che la stessa Corte aveva accertato che le missioni corrispondenti ai tre contratti di somministrazione a termine, sempre per la medesima unica lavoratrice e per identiche mansioni specifiche, inquadrate parimenti ogni volta nel medesimo livello contrattuale, si erano succedute presso la stessa utilizzatrice senza “interruzioni tra una missione e l’altra”, per un tempo complessivo di oltre quattro anni (sebbene non più precisamente determinato in un numero complessivo di giorni), in ogni caso superiore senz’altro, e non di poco, al tempo complessivo di 36 mesi, che costituiva il limite per i contratti a termine c.d. “diretti”.

Viepiù a fronte di tali constatate emergenze, incombeva sul giudice di merito stabilire se nella specie la reiterazione delle missioni della lavoratrice, senza soluzione di continuità, presso l’impresa utilizzatrice avesse oltrepassato il limite di una durata che possa ragionevolmente considerarsi temporanea, sì da realizzare una elusione di norme imperative ai sensi dell’articolo 1344 c.c. e, specificamente, degli obblighi e delle finalità imposti dalla Direttiva n. 2008/104 cit., da cui discende, secondo l’ordinamento interno, la nullità dei contratti.

La Corte di Giustizia UE, infatti, come si è visto, nell’ambito degli indici rivelatori da considerare, ha ritenuto rilevante verificare anzitutto se le missioni successive del medesimo lavoratore tramite agenzia interinale presso la stessa impresa utilizzatrice conducano ad una durata dell’attività presso tale impresa più lunga di quanto possa essere ragionevolmente qualificato come “temporaneo”; aspetto, questo, sul quale la Corte territoriale non si è affatto pronunciata nella decisione in esame, così come sugli altri eventuali indici espressivi di eventuale abuso nel ricorso reiterato alla somministrazione a termine.

11. Nei termini sin qui precisati, allora, il terzo motivo è ‘ meritevole di accoglimento; il che, rigettato il primo motivo, comporta l’assorbimento dell’esame del secondo motivo, nonché del quarto motivo di ricorso, che attiene alla domanda che solo in subordine l’istante aveva spiegato contro l’impresa somministrante (OMISSIS) s.p.a..

12. La sentenza impugnata, pertanto, dev’essere cassata in relazione al terzo motivo accolto, con rinvio alla Corte d’appello di Genova, la quale, in differente composizione, dovrà compiere la suddetta complessiva valutazione del caso, alla luce di tutte le circostanze pertinenti, tenendo conto delle indicazioni offerte dalle su richiamate sentenze della Corte di Giustizia UE, nonché dei principi di diritto sopra enunciati, oltre a regolare le spese di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il terzo motivo e dichiara assorbiti il secondo ed il quarto motivo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Genova, in diversa composizione, che dovrà regolare anche le spese del giudizio di legittimità.

Somministrazione di manodopera e temporaneità
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