Va rispettata la direttiva aziendale che in attuazione della previsione collettiva imponga la prestazione straordinaria.
Nota a Cass. (ord.) 24 aprile 2023, n. 10623
Daniele Magris
Il lavoro straordinario può essere imposto dal datore di lavoro. In questo senso si è espressa la Corte di Cassazione (ord. 24 aprile 2023, n. 10623) in merito ad una decisione della Corte d’Appello di Ancona che aveva respinto il reclamo incidentale del lavoratore e dichiarava la legittimità del licenziamento allo stesso intimato a causa della mancata effettuazione del lavoro straordinario per circa due settimane, in spregio alla direttiva aziendale con la quale era stato stabilito l’aumento dell’orario di lavoro per ragioni produttive, e considerava la recidiva, anche specifica, nella quale era incorso il lavoratore per fatti puniti con sanzione conservativa.
La Cassazione ha confermato la decisione della Corte di merito circa la possibilità per la parte datoriale di richiedere al lavoratore prestazioni di lavoro straordinario nei limiti della cd. quota esente, senza preventiva consultazione o informazione alle organizzazioni sindacali nel rispetto dei limiti di due ore giornaliere e otto ore settimanali e con un preavviso di almeno 24 ore (il D. lgs. n. 66/2003, art. 5, rimette espressamente alle parti collettive la regolamentazione dei limiti del ricorso al lavoro straordinario e la previsione collettiva di riferimento – art. 7 c.c.n.l. applicabile – consentiva alla società di disporre ad libitum della prestazione straordinaria purché “contenuta nel limite di ottanta ore annue”).
Inoltre, in base ad una ” valutazione di proporzionalità in relazione agli aspetti oggettivi e soggettivi del fatto ascritto” i giudici hanno ritenuto che il prolungato e sistematico contegno del dipendente improntato ad ‘assenza di spirito collaborativo’, a ‘pervicace violazione di un obbligo imposto da direttiva aziendale conformemente alle previsioni del contratto collettivo’ ed ‘a plateale noncuranza’ degli interessi dell’impresa datrice di lavoro, configurava, in ragione degli elementi richiamati, la condotta del dipendente, un notevole inadempimento degli obblighi rivenienti dal rapporto di lavoro” e tale da giustificare la sanzione espulsiva. Non si trattava, quindi di un comportamento sussumibile nelle ipotesi sanzionate dal contratto collettivo con misura conservativa poiché tali ipotesi “si connotavano per il carattere episodico ed isolato della manifestazione di insubordinazione”.
Sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. LAV., 24 APRILE 2023, N.10623
Fatto
Rilevato che
1.la Corte di appello di Ancona, respinto il reclamo incidentale del lavoratore, in accoglimento del reclamo principale di (Omissis). s.r.l. ed in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato la legittimità del licenziamento (“convertito” dal giudice del reclamo da licenziamento per giusta causa in licenziamento per giustificato motivo soggettivo) intimato a S.E. in data 30 giugno-4 luglio 2016 e condannato la società al pagamento in favore del reclamante della indennità di mancato preavviso nella misura di 2,5 mensilità della retribuzione globale di fatto;
2. il licenziamento è stato fondato su contestazione che addebitava al lavoratore la mancata effettuazione del lavoro straordinario nel periodo dal 9 al 27 maggio 2016, in spregio alla direttiva aziendale con la quale era stato stabilito l’aumento dell’orario di lavoro per ragioni produttive, e considerava la recidiva, anche specifica, nella quale era incorso il lavoratore per fatti puniti con sanzione conservativa;
3. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso S.E. sulla base di ventitré’ motivi; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso proponendo contestualmente ricorso incidentale affidato a tre motivi. Diritto Considerato che Motivi di ricorso principale:
1. con il primo motivo di ricorso principale parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 7, Sez. IV, Titolo III del contratto collettivo Industria 2012, anche in relazione al d. lgs. n. 66 del 2003, art. 5 con riferimento alla libertà datoriale di imporre prestazioni di lavoro straordinario; contesta in particolare la interpretazione del contratto collettivo nel senso di consentire alla società di disporre ad libitum delle prestazioni di lavoro straordinario nei confronti della indistinta platea dei lavoratori, purché contenuta nel limite di ottanta ore annue;
2. con il secondo motivo deduce omesso esame di un fatto controverso e decisivo rappresentato dal contenuto dei documenti nn. 21, 22, e 26, costituiti rispettivamente dall’avviso di cui al cartello affisso all’interno dello stabilimento, dalla diffida sindacale e dal Regolamento aziendale, alla stregua dei quali – assume – la richiesta di effettuazione di lavoro straordinario comportava, in applicazione delle disposizioni collettive, la necessità di coinvolgimento delle organizzazioni sindacali, sotto il profilo della necessità di informazione delle stesse e dell’acquisizione del relativo assenso preventivo;
3. con il terzo motivo deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. nonché dell’art. 2702 c.c. in relazione al documento n. 21 (avviso, cit.) con riferimento all’efficacia vincolante della disposizione datoriale di effettuazione di lavoro straordinario;
4. i motivi sono illustrati congiuntamente e censurano la valutazione della Corte di merito di legittimità della richiesta di lavoro straordinario, sotto il profilo della incompleta valutazione del documento n. 21, e dell’erronea applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. nell’esaminare la regola aziendale presuntivamente infranta;
5. con il quarto motivo di ricorso deduce violazione e-o falsa applicazione degli artt. 2967 e 2729 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c. in riferimento all’onere della prova a circa la legittimità della richiesta di prestazioni straordinarie e circa la valutazione delle risultanze istruttorie sul punto;
6. con il quinto motivo deduce omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, in relazione agli estratti dei cartellini di reparto in punto di prova circa la cogenza del lavoro straordinario;
7. con il sesto motivo di ricorso deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 7, comma 16, del contratto collettivo Metalmeccanica Industria con riferimento alle giustificazioni rese dai dipendenti per l’esonero dallo straordinario;
8. con il settimo motivo deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2725 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c. nonché omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti in relazione al Regolamento aziendale, circa la necessità per il dipendente di rendere giustificazioni scritte ai fini dell’esonero dal lavoro straordinario ed al relativo onere della prova;
9. con l’ottavo motivo deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. con riferimento alle nuove deduzioni in appello rese dalla controparte, anche in relazione all’art. 112 c.p.c., sulle giustificazioni rese dai dipendenti al fine di sottrarsi allo svolgimento di prestazioni di lavoro straordinario;
10. con il nono motivo deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c. in riferimento all’onere della prova circa la legittimità del comportamento del lavoratore e la valutazione delle risultanze istruttorie sul punto;
11. i motivi dal quarto al nono sono illustrati congiuntamente e censurano sotto vari profili la valutazione della Corte di merito di legittimità della richiesta datoriale di effettuazione di lavoro straordinario e di onere per il lavoratore di dimostrare di avere opposto il proprio rifiuto in ragione delle ore di lavoro straordinario già effettuate oltre la cd. quota esente;
12. con il decimo motivo di ricorso deduce nullità della sentenza per omessa pronunzia sulla proporzionalità della sanzione disciplinare con violazione dell’art. 112 c.p.c..
13. con l’undicesimo motivo di ricorso deduce omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, con riferimento alla acclarata insussistenza della recidiva disciplinare;
14. con il dodicesimo motivo deduce nullità della sentenza per omessa pronunzia sulla legittimità del comportamento del lavoratore, con violazione dell’art. 112 c.p.c., anche con riferimento all’art. 1460 c.c. e all’art. 1227 c.c.;
15. con il tredicesimo motivo di ricorso deduce omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione fra le parti, in relazione ai documenti allegati riferiti alle giustificazioni rese dal lavoratore ed alla lettera di contestazione;
16. i motivi dal decimo al tredicesimo sono illustrati congiuntamente;
17. con il quattordicesimo motivo di ricorso deduce violazione e falsa applicazione della l. n. 300 del 1970, art. 7, dell’art. 2119 c.c., della l. n. 604 del 1996, art. 3 dell’art. 8, comma 1, sez. IV, tit. VII c.c.n.l. Metalmeccanica Industria in relazione agli artt. 1175, 1176, 1375, 1455 e 2104 c.c. con riferimento ai principi di immodificabilità della contestazione, del diritto di difesa, di certezza della regola, di sussistenza dell’elemento soggettivo, del comportamento delle parti e di proporzionalità della sanzione;
18. con il quindicesimo motivo di ricorso deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 9, sez. IV, tit. VII, c.c.n.l. Metalmeccanica Industria con riferimento alla l. n. 300 del 1970, art. 7;
19. con il sedicesimo motivo deduce omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di contraddittorio tra le parti in relazione al documento n. 36 costituito dal Regolamento aziendale;
20. i motivi quindicesimo e sedicesimo sono illustrati congiuntamente;
21. con il diciassettesimo motivo di ricorso deduce violazione e falsa applicazione della l. n. 300 del 1970, art. 7, commi 1 e 2, anche in relazione all’art. 113 c.p.c., con riferimento all’immutabilità del fatto disciplinare;
22. con il diciottesimo motivo deduce violazione e falsa applicazione della l. n. 300 del 1970, art. 7, in relazione alla L. n. 604 del 1966, art. 3, con riferimento alla conversione del licenziamento per giusta causa in licenziamento per giustificato motivo soggettivo;
23. con il diciannovesimo motivo deduce nullità della sentenza per contraddittorietà di motivazione in relazione agli effetti connessi all’assenza del lavoratore;
24. con il ventesimo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c. e degli artt. 115 e 116 cod. proc, civ. in relazione alla sussistenza del disagio organizzativo che assume necessario al fine di giustificare l’irrogazione della sanzione espulsiva;
25. con il ventunesimo motivo deduce omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, in relazione alle risultanze istruttorie emerse dalle deposizioni dei testi R. e P. circa la sussistenza di una situazione di disagio aziendale connesso al rifiuto di espletamento di prestazioni di lavoro straordinario da parte del S., con contestuale violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.
26. i motivi diciannove, venti e ventuno sono illustrati congiuntamente;
27. con il ventiduesimo motivo deduce nullità della sentenza per contraddittorietà della motivazione e per vizio di ultrapetizione con riferimento all’attendibilità della deposizione del teste P.. Motivi di ricorso incidentale.
28. con il primo motivo di ricorso incidentale la società datrice di lavoro deduce omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, denunziando la mancata considerazione della recidiva specifica in relazione a precedente sanzione disciplinare, e violazione e falsa applicazione dell’art. 10, sez. IV, Tit. VII e dell’art. 7, Sez. IV, Tit. III c.c..n. l. dell’art. 2119 c.c. e della l. n. 604 del 1966, art. 3;
29. con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2104 c.c., dell’art. 10, sez. IV, Tit – VII e dell’art. 7.sez. IV Tit. 3 c.c.n.l. Metalmeccanica aziende industriali, dell’art. 2119 c.c. e della l. n. 604 del 1966, art. 3, censurando in sintesi la valutazione della riconducibilità della condotta alla fattispecie del grave inadempimento piuttosto che a quella dell’insubordinazione;
30. con il terzo motivo di ricorso deduce violazione e falsa applicazione della l. n. 92 del 2012, art. 1, comma 41 in relazione alla determinazione del periodo di preavviso ed alla quantificazione della relativa indennità; Esame dei motivi di ricorso principale 31. il primo motivo di ricorso principale deve essere respinto;
31.1. premesso che il d. lgs. n. 66 del 2003, art. 5 rimette espressamente alle parti collettive la regolamentazione dei limiti del ricorso al lavoro straordinario, si osserva che la piana lettura della previsione collettiva di riferimento – art. 7 c.c.n.l. applicabile -, conferma la correttezza della interpretazione della Corte di merito circa la possibilità per la parte datoriale di richiedere al lavoratore prestazioni di lavoro straordinario nei limiti della cd. quota esente, senza preventiva consultazione o informazione alle organizzazioni sindacali nel rispetto dei limiti di due ore giornaliere e otto ore settimanali e con un preavviso di almeno 24 ore; la valutazione di idoneità del cartello affisso all’interno dello stabilimento aziendale a far ritenere assolto da parte del datore di lavoro l’obbligo di preventiva comunicazione della richiesta di straordinario nei confronti del lavoratore, in assenza di specifiche prescrizioni a riguardo da parte della norma collettiva, costituisce apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito, non incrinabile, in sede di legittimità, dalla lettura meramente contrappositiva circa le modalità di assolvimento del detto obbligo, quale operata dall’odierno ricorrente principale; ciò anche in relazione al profilo attinente alla mancata indicazione nel detto avviso della data finale di espletamento del maggiore orario ed, in generale, alla valutazione del giudice di merito in punto di specificità ed adeguatezza della disposizione aziendale a consentire la verifica dell’eventuale superamento della quota esente di straordinario;
32. il secondo ed il terzo motivo di ricorso principale sono inammissibili; invero, quanto alla denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, di omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, la stessa non è declinabile in relazione al documento n. 21 (avviso affisso nella bacheca aziendale) espressamente preso in considerazione dal giudice di appello (sentenza, pag. 4), mentre le censure del ricorrente che criticano in concreto la errata interpretazione della portata delle disposizioni aziendali contenute nell’avviso non sono correttamente veicolate, come necessario, attraverso la deduzione di violazione delle regole legali di interpretazione ex artt. 1362 e sgg. c.c. (Cass. n. 19044/2010, Cass., n. 15604/2007, in motivazione, Cass. n. 4178/2007), applicabili in quanto compatibili anche agli atti unilaterali (Cass. n. 10460/1998, Cass. n. 5082/1992), dovendosi escludere che la semplice contrapposizione dell’interpretazione proposta dal ricorrente a quella accolta nella sentenza impugnata rilevi ai fini dell’annullamento di quest’ultima (Cass., n. 14318/2013, Cass. n. 23635/2010); quanto al documento n. 22, concernente la “diffida” formulata dalle organizzazioni sindacali alla (Omissis) con riferimento alla prestazioni di lavoro straordinario da questa richieste, lo stesso è privo di decisività in relazione alla concreta vicenda in esame, esprimendo soltanto la esigenza delle organizzazioni sindacali di un confronto sulla società in ordine all’ applicazione delle previsioni del contratto collettivo sul lavoro straordinario; quanto al documento n. 26, costituito dal Regolamento aziendale, la censura articolata, ponendosi sul piano dell’interpretazione dello stesso, non è riconducibile all’attuale configurazione del vizio motivazionale che esige che l’omesso esame sia riferito ad un “fatto”, nel senso di fatto storicofenomenico, (ex plurimis Cass. Sez. Un. 8053/2014), come, viceversa, non avvenuto; 32.1. la censura di violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in concreto riferita alla valutazione dei richiamati documenti, è inammissibile in quanto il tema dell’apprezzamento del materiale istruttorio è estraneo al prospettato errore di diritto alla luce del condivisibile orientamento di questa Corte secondo il quale in sede di ricorso per cassazione una questione di violazione o
32.1. la censura di violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in concreto riferita alla valutazione dei richiamati documenti, è inammissibile in quanto il tema dell’apprezzamento del materiale istruttorio è estraneo al prospettato errore di diritto alla luce del condivisibile orientamento di questa Corte secondo il quale in sede di ricorso per cassazione una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione Cass. n. 1229/2019, Cass. n. 27000/2016), allegazione nello specifico non ravvisabile; infine del tutto priva di pertinenza con le ragioni della decisione risulta la dedotta violazione di norma di diritto riferita all’art. 2702 c.c. non essendo dato rinvenire nella sentenza impugnata alcuna affermazione in contrasto con la disciplina di legge in tema di efficacia della scrittura privata;
33. i motivi quarto, quinto, sesto, settimo, ottavo e nono, illustrati congiuntamente, presentano un profilo di inammissibilità derivante dalle modalità di articolazione delle censure, non coerenti con le indicazioni di questa Corte in punto di necessaria chiarezza e sinteticità espositiva del ricorso per cassazione, con selezione dei profili di fatto e di diritto della vicenda posti a fondamento delle doglianze ed esposizione delle ragioni delle critiche nell’ambito dei vizi elencati dall’art. 360 c.p.c.(ex plurimis Cass., n. 8425/2020); in relazione alle doglianze che, seppure con obiettiva difficoltà, è dato estrapolare dalla illustrazione del ricorrente, il Collegio osserva quanto segue:
33.1. il giudice del reclamo ha affermato la legittimità, alla stregua della previsione collettiva, della richiesta di effettuazione dello straordinario evidenziando che sarebbe stato onere del lavoratore provare di avere opposto il proprio rifiuto in ragione delle ore di lavoro straordinario già effettuate in misura pari o superiore alla quota cd esente laddove la prova orale aveva evidenziato la sistematica mancata prestazione di lavoro straordinario da parte del ricorrente;
33.2. le critiche sul punto alla sentenza impugnata risultano innanzitutto prive di specificità per difetto di esposizione della vicenda processuale con modalità idonee a chiarire se ed in che termini il lavoratore aveva allegato e dimostrato di non essere tenuto all’effettuazione dello straordinario richiesto per avere già superato il numero di ore di cd. quota esente e come si era sviluppato il contraddittorio sul punto nelle fasi di merito; in particolare il dedotto superamento della quota esente non si evince nell’elencazione dei motivi di illegittimità del licenziamento di cui alle pagg. 20 e sgg. del ricorso per cassazione ed, in ogni caso, risulta assorbente la considerazione che la sentenza è frutto della corretta applicazione del criterio di ripartizione dell’onere della prova avendo la parte datoriale dimostrato la sussistenza del fatto costitutivo giustificativo del recesso datoriale, vale a dire la mancata effettuazione di prestazioni di lavoro straordinario, rispetto al quale l’allegazione dell’avvenuto superamento della quota esente si configurava come eccezione, con onere della relativa dimostrazione a carico del lavoratore eccipiente, onere in concreto non assolto;
33.3. le doglianze con le quali si contesta la esistenza di comprovate ed urgenti ragioni di carattere produttivo, imprevedibili ed eccezionali, sono inammissibili in quanto non si confrontano con l’accertamento della sentenza impugnata circa la esistenza di un’oggettiva necessità produttiva di svolgimento di prestazione di lavoro straordinario, e non chiariscono su quale base normativa si deduce anche che lo straordinario richiesto avrebbe dovuto rivestire i caratteri della indifferibilità e urgenza;
33.4. la deduzione di violazione e falsa applicazione di norma di diritto con riferimento agli artt. 115 e 116 c.p.c. è inammissibile perché la censura in concreto articolata si sostanzia nella richiesta di un diverso apprezzamento delle emergenze probatorie, non riconducibile quindi all’ambito della violazione delle norme richiamate secondo quanto già osservato al precedente paragrafo 32.1.;
33.5. parimenti inammissibile è la deduzione di violazione dell’art. 2729 c.c., in ragione della genericità della censura affidata ad affermazioni apodittiche (v. ricorso, pag. 40) circa l’assenza dei caratteri di precisione gravità e concordanza degli elementi, neppure compiutamente identificati, alla base del ragionamento della Corte di merito; parimenti inammissibile, per assoluta genericità, il riferimento alle contestazioni dei documenti di controparte (v. ricorso, pag. 40);
33.6. le deduzioni relative all’esonero dallo svolgimento del lavoro straordinario riferite ad altri dipendenti della società e la denunzia della avvenuta modifica in seconde cure delle originarie allegazioni in fatto della società, è inammissibile per la dirimente considerazione che tali deduzioni non sono idonee ad incrinare le ragioni della decisione, incentrate sull’accertamento dell’obbligo del S. all’espletamento del lavoro straordinario, accertamento rispetto al quale si rivelano ininfluenti le deduzioni riferite ad eventuali esenzioni concesse ad altri dipendenti così come le prospettate modificazioni delle allegazioni in fatto sul punto da parte della società, peraltro genericamente formulate;
34. i motivi decimo, undicesimo, dodicesimo e tredicesimo sono inammissibili valendo a riguardo le considerazioni già formulate in relazione al precedente gruppo di motivi (v. in particolare, punti 31.1.e 32.) e dovendo ulteriormente rilevarsi che i motivi in esame presentano una mescolanza e sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, c.p.c., come non consentito al fine della valida deduzione dei vizi denunziati e (Cass. n. 26874/2018, Cass. n. 18021/2016);
34.1. nella misura in cui risultano enucleabili dal coacervo delle argomentazioni del ricorrente le censure articolate risultano comunque non accoglibili in quanto: a) la Corte ha espressamente operato la valutazione di proporzionalità in relazione agli aspetti oggettivi e soggettivi del fatto ascritto (sentenza, pag. 6 e sg.) che ha ritenuto tali da giustificare la sanzione espulsiva anche a prescindere dalla contestazione della recidiva; b) la considerazione della esclusione della recidiva, tenuta comunque presente dal giudice del gravame, non risulta decisiva al fine della applicabilità della sanzione espulsiva atteso che la esistenza di precedenti disciplinari non rappresenta un elemento costitutivo della fattispecie ascritta; c) parimenti prive di decisività, nel senso dell’attitudine a determinare con carattere di certezza e non di mera probabilità un diverso esito della lite, le ulteriori circostanze dedotte, riconducibili, in estrema sintesi, all’asserita conflittualità presente nel contesto lavorativo ed ambientale (ricorso, pagg. 54 e sgg.) e tanto assorbe il rilievo di inammissibilità della relativa deduzione per essere le circostanze in questione non evocate nel rispetto degli oneri di cui all’art. 366, comma 1 n. 6 c.p.c.; d) analoghe considerazioni valgono in relazione alla denunzia di omesso esame della lettera di giustificazione inviata dal lavoratore nonché delle ulteriori richieste da questi formulate all’azienda comunque inidonee ad incidere sul nucleo dei fatti accertati e del relativo apprezzamento in termini di gravità, oggettiva e soggettiva; e) la questione della applicabilità dell’art. 1460 c.c., per configurare la condotta del dipendente una reazione generata dall’inadempimento datoriale, non è stata specificamente affrontata dalla Corte di merito, per cui costituiva onere del ricorrente, al fine di evitare la sanzione di nullità del motivo per violazione dei divieto di novum, dimostrare che tale questione, implicante accertamento di fatto, era stata ritualmente e tempestivamente formulata nei gradi di merito (Cass. n. 20694/2018, Cass. n. 15430/2018, Cass. n. 23675/2013); tale onere non è stato assolto in termini coerenti con il principio di autosufficienza risultando a tal fine inadeguato il mero rinvio per relationem agli atti di causa (v. ricorso pag. 54 e sg.);
35. il quattordicesimo motivo di ricorso è inammissibile in quanto pur formalmente denunziando violazione e falsa applicazione di norme di diritto si sostanzia nella richiesta di un diverso apprezzamento delle circostanze di causa relative al licenziamento; la delibazione di inammissibilità delle censure relative all’applicabilità dell’art. 1460 c.c. assorbe la necessità di esame delle dedotte circostanze di fatto intese a dimostrare la pregressa esistenza di una inadempiente condotta datoriale rispetto alla quale si assume legittima la reazione del ricorrente di rifiuto di espletamento del lavoro straordinario;
36. il quindicesimo ed il sedicesimo motivo di ricorso devono essere respinti;
36.1. la sentenza impugnata ha ritenuto la condotta accertata non sussumibile nelle ipotesi sanzionate dal contratto collettivo con misura conservativa rilevando che tali ipotesi si connotavano per il carattere episodico ed isolato della manifestazione di insubordinazione mentre nello specifico si era in presenza di un prolungato e sistematico contegno del dipendente improntato ad “assenza di spirito collaborativo”, a “pervicace violazione di un obbligo imposto da direttiva aziendale conformemente alle previsioni del contratto collettivo” ed “a plateale noncuranza degli interessi dell’impresa datrice di lavoro”; ha concluso che in ragione degli elementi richiamati la condotta del dipendente si connotava come di notevole inadempimento degli obblighi rivenienti dal rapporto di lavoro;
36.2. tanto premesso le censure articolate con i motivi in esame sono inidonee alla valida censura della decisione in quanto: a) la assenza di specifica previsione collettiva nel senso della sanzionabilità della concreta fattispecie con misura espulsiva risulta ininfluente ai fini della configurazione del notevole inadempimento posto alla base del giustificato motivo di licenziamento, considerato il carattere meramente esemplificativo della previsioni collettive; b) la denunzia dell’errore sussuntivo ascritto al giudice di appello nel non ricondurre in via analogica la condotta addebitata a quelle punite in via conservativa è intrinsecamente inidonea ad incrinare la decisione sul punto in quanto veicolata attraverso un apprezzamento meramente contrappositivo a quello del giudice di appello in punto di valutazione di gravità del comportamento del lavoratore; c) la decisione impugnata, a differenza di quanto sostenuto dall’odierno ricorrente, risulta coerente con la indicazione del Regolamento aziendale con riferimento alla necessità di parametrare le conseguenze disciplinari del rifiuto di espletamento del lavoro straordinario, alla gravità della condotta ed al disagio organizzativo determinato alla società, entrambi positivamente accertati;
37. il diciassettesimo motivo di ricorso è infondato; non si ravvisa la dedotta violazione del principio di immodificabilità del fatto contestato in quanto il giudice di merito si è espresso sulla condotta oggetto di addebito, rappresentata dal rifiuto di prestare lavoro straordinario da parte del lavoratore; nel contesto argomentativo della sentenza impugnata il riferimento al disagio organizzativo non assume, infatti, come impropriamente sembra assumere l’odierno ricorrente, valenza costitutiva dell’illecito, ma viene utilizzato quale criterio di valutazione della gravità oggettiva della condotta e tanto esclude la denunziata violazione dell’immodificabilità del fatto contestato;
38. le considerazioni che precedono assorbono la necessità di esame delle censure articolate con il diciottesimo motivo in quanto fondate sul presupposto – rivelatosi insussistente- della sopravvenuta modificazione in giudizio del fatto oggetto di addebito;
39. i motivi dal diciannovesimo al ventunesimo sono anch’essi da respingere; in primo luogo, la deduzione di contraddittorietà di motivazione con riferimento agli effetti dell’assenza del lavoratore è inidonea alla valida censura della decisione alla luce del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; come chiarito dal giudice di legittimità, infatti, tra le altre, Cass., Sez. Un. 33679/2018 /Cass. n. 27415/2018, Cass. Sez. Un. 8053/2014), il testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (come riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134), applicabile ratione temporis, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti, oltre ad avere carattere decisivo; – l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; – neppure il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito dà luogo ad un vizio rilevante ai sensi della predetta norma; – nel giudizio di legittimità è denunciabile solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, in quanto attiene all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, risolvendosi nella violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ. non specificamente denunciata nella fattispecie e comunque insussistente alla luce della piana lettura della motivazione della decisione impugnata, del tutto percepibile nei presupposti fattuali e nel ragionamento giuridico a fondamento del decisum;
40. la denunzia di violazione dell’art. 2729 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c., per come concretamente articolata, risulta inammissibile alla luce di quanto osservato al paragrafo 32.1. (quanto alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.) e al paragrafo 32.5 (rilevandosi anche in questo caso, in relazione alla violazione dell’art. 2729 c.c. la genericità della censura), mentre inammissibile è la deduzione di vizio motivazionale che in quanto sostanzialmente riferita all’apprezzamento della prova testimoniale si colloca al di fuori del perimetro del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, tendendo a sollecitare direttamente un diverso apprezzamento di fatto del materiale probatorio, apprezzamento precluso al giudice di legittimità (Cass., n. 24679/2013, Cass., n.. 2197/2011, Cass. n. 20455/2006, Cass., n. 7846/2006, Cass. n. 2357/2004);
41. infine sono inammissibili i motivi ventiduesimo e ventitreesimo; si richiamano a riguardo le considerazioni sopra espresse (v. paragrafo n. 39) in ordine all’inconfigurabilità, alla luce dell’attuale testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, di una ragione cassatoria connessa alla denunzia di motivazione contraddittoria; quanto alla denunzia del vizio di ultrapetizione la stessa non è formulata nel rispetto del criterio di specificità secondo il quale ove si deduca la violazione, nel giudizio di merito, del citato art. 112 c.p.c., riconducibile alla prospettazione di un’ipotesi di “error in procedendo” per il quale la Corte di cassazione è giudice anche del “fatto processuale”, detto vizio, non essendo rilevabile d’ufficio, comporta pur sempre che il potere-dovere del giudice di legittimità di esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato, a pena di inammissibilità, all’adempimento da parte del ricorrente – per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione che non consente, tra l’altro, il rinvio “per relationem” agli atti della fase di merito – dell’onere di indicarli compiutamente, non essendo legittimato il suddetto giudice a procedere ad una loro autonoma ricerca, ma solo ad una verifica degli stessi (Cass. n. 15367/2014, Cass. n. 21226/ 2010, Cass. n. 6361/2007); la deduzione di violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. è inammissibile considerato il perimetro nell’ambito del quale è deducibile la violazione di legge in relazione a tali previsioni secondo quanto già sopra osservato (v. paragrafo 32.1.) laddove nello specifico le censure articolate investono il concreto apprezzamento della prova orale;
41.2. inammissibile è la denunzia di violazione dell’art. 2729 c.c. che si limita ad una mera prospettazione contrappositiva delle conclusioni tratte dal giudice di appello dall’esame delle deposizioni testimoniali ed in particolare di quella del teste P.: la deduzione di violazione dell’art. 244 c.p.c. è parimenti inammissibile in quanto non incentrata sul significato e la portata applicativa della detta disposizione ma sostanzialmente inteso a rimettere in discussione la valutazione di attendibilità, come non consentito alla luce dei limiti del sindacato di legittimità; Esame dei motivi di ricorso incidentale
42. il primo motivo di ricorso incidentale deve essere respinto in quanto la denunzia di omesso esame ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 è riferita ad un fatto – esistenza di un precedente disciplinare specifico di rifiuto di prestazione di lavoro straordinarioprivo di decisività nel senso dell’attitudine a determinare con carattere di certezza e non di mera probabilità un diverso esito della lite sotto il profilo del riscontro della giusta causa di licenziamento anziché del giustificato motivo soggettivo; quanto l’assunto della società ricorrente in ordine alla riconducibilità della condotta ascritta all’ambito della insubordinazione piuttosto che a quello del grave inadempimento, non è idoneo alla valida censura della decisione sul punto; il contratto collettivo Industria Metalmeccanica sanziona, infatti, la insubordinazione “semplice” con il licenziamento con preavviso (c.c.n.l. titolo VII art. 10, A, lett. a)) e la “grave insubordinazione verso i superiori ” con il licenziamento senza preavviso (c.c.n.l. titolo VII art. 10, B, lett. a)) (v. in particolare in relazione al medesimo contratto collettivo Cass. n. 2573-1992);
43. la sentenza impugnata, nella parte in cui ha configurato in termini di “notevole inadempimento” la condotta del dipendente non ha inteso escludere che essa integrasse i caratteri della insubordinazione ma solo che tale insubordinazione non fosse di gravità tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto. L’apprezzamento della gravità dell’illecito si sottrae alle censure articolate dalla società spettando inevitabilmente al giudice di merito il concreto apprezzamento del fatto (testualmente in motivazione Cass. n. 15661 del 2001, con la copiosa giurisprudenza ivi citata; v. pure Cass. n. 18247 del 2009 e n. 7838 del 2005);
44. il terzo motivo di ricorso incidentale è inammissibile per difetto di pertinenza con le ragioni della decisione. La sentenza impugnata non contiene alcuna affermazione in contrasto con la previsione della l. n. 92 del 2012, art. 1, comma 41, in relazione al periodo di preavviso ed alla quantificazione della relativa indennità, essendosi limitata a dare atto che l’indennità sostitutiva del preavviso era stata liquidata sulla base di calcoli non oggetto di specifica contestazione;
45. in base alle considerazioni che precedono entrambi i ricorsi devono essere respinti con compensazione delle spese di lite stante la reciproca soccombenza;
46. sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale e per il ricorso incidentale a norma D.P.R. n. 115 del 2002, comma 1 bis dell’art. 13 (Cass. Sez. Un. 23535- 2019).
PQM
La Corte rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale. Compensa le spese di lite. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 24 gennaio 2023.