In caso di omesso versamento dei contributi da parte del datore di lavoro, residua a favore dell’assicurato il rimedio risarcitorio e la facoltà di chiedere all’Inps la rendita vitalizia.

Nota a Cass. 11 settembre 2023, n. 26248

Maria Paola Gentili

Nella giurisprudenza è consolidato il principio secondo cui, “in caso di omesso versamento dei contributi da parte del datore di lavoro, il nostro ordinamento non prevede un’azione dell’assicurato volta ad ottenere la condanna dell’ente previdenziale alla “regolarizzazione” della sua posizione contributiva, nemmeno nell’ipotesi in cui l’ente previdenziale, che sia stato messo a conoscenza dell’inadempimento contributivo prima della decorrenza del termine di prescrizione, non si sia tempestivamente attivato per l’adempimento nei confronti del datore di lavoro obbligato, residuando unicamente, in suo favore, il rimedio risarcitorio di cui all’art. 2116 c.c. e la facoltà di chiedere all’INPS la costituzione della rendita vitalizia L. n. 1338 del 1962, ex art. 13”.

Lo ribadisce la Corte di Cassazione 11 settembre 2023, n. 26248 in linea con Cass. n. 6569/2010; nello stesso senso, Cass. n. 2164/2021 e n. 3491/2014).

I giudici richiamano l’art. 13, co.1, L. n. 1338/1962, secondo cui: “ferme restando le disposizioni penali, il datore di lavoro che abbia omesso di versare contributi per l’assicurazione obbligatoria invalidità, vecchiaia e superstiti e che non possa più versarli per sopravvenuta prescrizione (…) può chiedere all’Istituto nazionale della previdenza sociale di costituire (…) una rendita vitalizia riversibile pari alla pensione o quota di pensione adeguata dell’assicurazione obbligatoria, che spetterebbe al lavoratore dipendente in relazione ai contributi omessi”, e soggiunge, al co.5, che “il lavoratore, quando non possa ottenere dal datore di lavoro la costituzione della rendita a norma del presente articolo, può egli stesso sostituirsi al datore di lavoro, salvo il diritto al risarcimento del danno”.

Tale disposizione valorizza, ai fini del trattamento pensionistico, periodi contributivi per i quali si siano verificate omissioni contributive non sanabili per effetto di prescrizione. Per tale motivo dottrina e giurisprudenza hanno sempre ritenuto: a) che la norma sia strettamente collegata all’art. 2116, co.2, c.c., secondo il quale: “nei casi in cui (…) le istituzioni di previdenza e di assistenza, per mancata o irregolare contribuzione, non sono tenute a corrispondere in tutto o in parte le prestazioni dovute, l’imprenditore è responsabile del danno che ne deriva al prestatore di lavoro, ritenendola una forma di reintegrazione in forma specifica del danno derivante dall’omessa contribuzione” (fra tante, v. Cass. 2630/2014 e 22751/2004); b) che la costituzione della rendita non costituisca in alcun modo una prestazione previdenziale, rappresentando piuttosto un modo per rimediare all’inadempimento datoriale dell’obbligazione contributiva e ai danni che ne siano potuti derivare al lavoratore.

A conferma, la Cassazione (n. 32500/2021) ha escluso che la domanda del lavoratore volta alla costituzione della rendita vitalizia ex art. 13, L. n. 1338/1962, sia assoggettabile alla decadenza triennale di cui al d.P.R. n. 639/1970, art. 47. Ciò, sul rilievo che “essa non concerne affatto una prestazione pensionistica, ma consiste piuttosto in un rimedio alla decurtazione pensionistica conseguente all’omesso versamento dei contributi dovuti, che ha natura e carattere risarcitorio del danno consistente nella necessità di costituire la provvista per il beneficio sostitutivo della pensione”.

Occorre infine aggiungere che il lavoratore e il datore di lavoro non sono litisconsorti necessari, “rispettivamente, nelle controversie fra il secondo e l’Ente previdenziale, aventi ad oggetto il versamento dei contributi, e in quelle, fra il primo e lo stesso Ente, aventi ad oggetto l’erogazione delle prestazioni assicurative” poiché il rapporto di lavoro e quello previdenziale, pur essendo connessi, rimangono comunque rapporti diversi (così, Cass. n. 3422/2022).

Sentenza

CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 settembre 2023, n. 26248

Lavoro – Omissione contributiva – Principio di automatismo – Omissioni contributive non sanabili per effetto di prescrizione – Rendita vitalizia costituita presso l’INPS – Beneficio sostitutivo della pensione – Reintegrazione in forma specifica del danno derivante dall’omessa contribuzione – Decadenza dall’azione – Litisconsorzio necessario – Accoglimento

Rilevato che

1.con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di Appello di Genova, in riforma della sentenza impugnata, ha condannato l’INPS ad accreditare, in favore dell’attuale parte intimata, la contribuzione maturata da marzo 2000 al 13 novembre 2001 per la prestazione lavorativa, a titolo di lavoro subordinato, accertata in giudizio tra il datore di lavoro e il lavoratore;

2. la cassazione della sentenza è domandata dall’INPS, con ricorso affidato ad un motivo, al quale ha opposto difese con controricorso V.M.;

3. sono state depositate memorie dalle parti;

4. il Collegio ha autorizzato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;

Considerato che

5. con il motivo di ricorso l’INPS si duole di violazione di legge – artt. 2116 c.c., 27 r.d.l. n. 636/1939 conv., in l. n. 1272/1939, 9 l. n. 3335/1995, 1415 c.c., 100 c.p.c.- per avere la Corte di merito accolto l’opzione interpretativa che legittima in capo al lavoratore l’azione giudiziaria per l’applicazione del principio di automatismo anche in mancanza di una richiesta di prestazione, al solo maturare dell’omissione contributiva; conseguentemente all’esperibilità di tale azione, per avere dato corso al riconoscimento della contribuzione previdenziale sulla posizione del richiedente in forza del principio di automatismo, anche in via amministrativa da parte dell’INPS, senza attendere l’esperimento di un’azione giudiziaria da parte del lavoratore, ma bastando, da parte di questi, la presentazione della domanda amministrativa;

infine, per avere affermato che all’esito della predetta domanda amministrativa il rischio del decorso del termine di prescrizione della contribuzione non possa ridondare in danno del lavoratore ma debba essere traslata sull’ente previdenziale;

6. il ricorso è da accogliere;

7. in continuità con Cass. n. 6722 del 2021 (ed altre successive conformi, fra le altre, Cass. n. 8921 del 2023) è consolidato, nella giurisprudenza di questa Corte, il principio secondo cui, in caso di omesso versamento dei contributi da parte del datore di lavoro, il nostro ordinamento non prevede un’azione dell’assicurato volta ad ottenere la condanna dell’ente previdenziale alla “regolarizzazione” della sua posizione contributiva, nemmeno nell’ipotesi in cui l’ente previdenziale, che sia stato messo a conoscenza dell’inadempimento contributivo prima della decorrenza del termine di prescrizione, non si sia tempestivamente attivato per l’adempimento nei confronti del datore di lavoro obbligato, residuando unicamente, in suo favore, il rimedio risarcitorio di cui all’art. 2116 c.c. e la facoltà di chiedere all’INPS la costituzione della rendita vitalizia L. n. 1338 del 1962, ex art. 13, (così espressamente Cass. n. 6569 del 2010; in seguito, nello stesso senso, Cass. nn. 3491 del 2014 e 2164 del 2021);

8. come già riaffermato da Cass. n. 6722 del 2021 cit., senza qui entrare nel merito della vexata quaestio dell’ammissibilità di un’azione volta all’accertamento della regolarità della posizione contributiva (invero ammessa da non recente giurisprudenza di questa Corte sul rilievo che si tratterebbe di situazione giuridica che, sebbene normalmente strumentale all’accesso alle prestazioni previdenziali, sarebbe suscettibile di autonoma lesione a prescindere dalla maturazione di un diritto a specifiche prestazioni previdenziali allorchè vi sia una pregiudizievole situazione di incertezza in ordine al rapporto assicurativo: così Cass. n. 17223 del 2002, 13648 del 2003), è sufficiente sul punto rilevare che, sebbene il lavoratore non abbia documentato di aver chiesto la ricongiunzione di periodi assicurativi o il proseguimento volontario della contribuzione o una prestazione rispetto alla quale l’accredito del periodo controverso funga da presupposto, è nondimeno indiscutibile che la sua domanda di accredito dei contributi mancanti sia stata nella specie oggetto di un provvedimento di diniego da parte dell’ente assicuratore, con conseguente inapplicabilità del principio affermato in fattispecie in cui, come si legge nella motivazione di Cass. n. 10477 del 2019, cit., era stato accertato “che i contributi non erano prescritti, che l’INPS si era attivato per far valere il diritto nei confronti del datore di lavoro, che l’aspettativa pensionistica era integra, che gli appellanti erano in costanza di attività lavorativa”, e in cui, di conseguenza, “il diritto all’integrità della posizione contributiva” non era stato “posto in dubbio nè pregiudicato dall’Istituto”;

9. l’esegesi dell’impianto normativo sul quale poggia il consolidato orientamento è stata più volte illustrata, da questa Corte, con snodi argomentativi condivisi, che qui si ripropongono (v., per tutte, Cass. n. 31337 del 2022);

10. com’è noto, la L. n. 1338 del 1962, art. 13, prevede, al comma 1, che “ferme restando le disposizioni penali, il datore di lavoro che abbia omesso di versare contributi per l’assicurazione obbligatoria invalidità, vecchiaia e superstiti e che non possa più versarli per sopravvenuta prescrizione (…), può chiedere all’Istituto nazionale della previdenza sociale di costituire (…) una rendita vitalizia riversibile pari alla pensione o quota di pensione adeguata dell’assicurazione obbligatoria, che spetterebbe al lavoratore dipendente in relazione ai contributi omessi”, e soggiunge, al comma 5, che “il lavoratore, quando non possa ottenere dal datore di lavoro la costituzione della rendita a norma del presente articolo, può egli stesso sostituirsi al datore di lavoro, salvo il diritto al risarcimento del danno”;

11. come emerge dai lavori preparatori, si tratta di norma che attua un congegno di regolarizzazione contributiva preordinato a valorizzare, ai fini del trattamento pensionistico, periodi contributivi per i quali si siano verificate omissioni contributive non sanabili per effetto di prescrizione; e proprio per ciò, la dottrina e la giurisprudenza di questa Corte, fin dalle prime letture della norma, al suo apparire, l’hanno considerata strettamente collegata alla previsione di cui all’art. 2116, secondo comma,c.c. a norma del quale – com’è parimenti noto – “nei casi in cui (…) le istituzioni di previdenza e di assistenza, per mancata o irregolare contribuzione, non sono tenute a corrispondere in tutto o in parte le prestazioni dovute, l’imprenditore è responsabile del danno che ne deriva al prestatore di lavoro”, ritenendola una forma di reintegrazione in forma specifica del danno derivante dall’omessa contribuzione (così già Cass. n. 6088 del 1981, cui hanno dato continuità, tra le tante, Cass. nn. 6517 del 1986, 5825 del 1995, 14680 del 1999, 22751 del 2004, 2630 del 2014);

12. sebbene le soluzioni dottrinali e giurisprudenziali si siano, nel tempo, differenziate per ciò che concerne l’inquadramento del titolo di responsabilità datoriale (contrattuale o extracontrattuale) e, più aspramente, in tema di decorrenza della prescrizione dell’azione specifica di tal fatta (si veda, sul punto, l’accurata ricostruzione di Cass. n. 14680 del 1999, i cui principi di diritto – sebbene smentiti da Cass. n. 7853 del 2003 – sono stati successivamente ribaditi da Cass. n. 13836 del 2003, seguita da numerose successive conformi, e riaffermati, da ultimo, da Cass. Sez.Un. n. 21302 del 2017), su un punto l’elaborazione congiunta della dottrina e della giurisprudenza è rimasta ferma e converge, ed è che la costituzione della rendita non costituisce in alcun modo una prestazione previdenziale, rappresentando piuttosto un modo (un “congegno”, per usare le parole della relazione introduttiva ai già citati lavori preparatori) per rimediare all’inadempimento datoriale dell’obbligazione contributiva e ai danni che ne siano potuti derivare al lavoratore;

13. prova ne è, più di recente, Cass. n. 32500 del 2021, che ha escluso che la domanda del lavoratore volta alla costituzione della rendita vitalizia ex art. 13 L. n. 1338 del 1962, sia assoggettabile alla decadenza triennale di cui al d.P.R. n. 639 del 1970, art. 47, precisamente sul rilievo che essa non concerne affatto una prestazione pensionistica, ma consiste piuttosto in un rimedio alla decurtazione pensionistica conseguente all’omesso versamento dei contributi dovuti, che ha natura e carattere risarcitorio del danno consistente nella necessità di costituire la provvista per il beneficio sostitutivo della pensione;

14. infine, quanto al giudicato nel giudizio che ha visto contrapporsi V.M. al datore di lavoro e alla tesi difensiva, propugnata dal lavoratore, dell’autonoma azionabilità, da parte dell’ente previdenziale, del credito contributivo all’esito, resta solo da aggiungere, con Cass. n. 3422 del 2022, che non sono litisconsorti necessari il lavoratore e il datore di lavoro, rispettivamente, nelle controversie fra il secondo e l’Ente previdenziale, aventi ad oggetto il versamento dei contributi, e in quelle, fra il primo e lo stesso Ente, aventi ad oggetto l’erogazione delle prestazioni assicurative, poiché, pur essendo il rapporto di lavoro e quello previdenziale connessi, rimangono, comunque, rapporti diversi;

15. nelle dette controversie, l’accertamento con forza di giudicato è chiesto solo con riferimento al rapporto previdenziale per le obbligazioni che ne derivano, di guisa che l’insorgere di una contestazione fra le parti circa la sussistenza del rapporto di lavoro non implica necessità di integrazione del contraddittorio nei confronti dell’uno o dell’altro soggetto di quello stesso rapporto, rimasto estraneo alla causa in corso, potendo la relativa questione essere risolta in via meramente incidentale, al limitato fine dell’accertamento dei presupposti suddetti, senza che tale soggetto subisca pregiudizio da una decisione incidenter tantum, inidonea a costituire giudicato nei suoi confronti;

16. in conclusione, la sentenza che non si è conformata ai predetti principi va cassata e, per non essere necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa ve decisa nel merito, con il rigetto dell’originaria domanda;

17. le spese, per tutti i gradi di giudizio, liquidate come in dispositivo seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originaria domanda; condanna V.M. alla rifusione delle spese, liquidate, per compensi professionali, in euro 1.350,00 per il primo grado, euro 1.860,00 per l’appello, euro 2.000,00 per il giudizio di legittimità, oltre euro 200,00 per esborsi, accessori di legge e rimborso forfetario del 15 per cento.

 

Omissione contributiva e rendita vitalizia
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