Il licenziamento causato dal superamento del limite di assenze stabilite dal ccnl di categoria, è nullo se parte delle assenze medesime sono imputabili a mansioni svolte dal lavoratore incompatibili con la sua salute.
Nota a Trib. Parma 18 aprile 2023, n. 1341
Francesco Belmonte
Ai fini della verifica dell’effettivo superamento da parte del lavoratore del termine di comporto, occorre detrarre dai giorni di assenza per malattia quelli che sono causati dal datore di lavoro, il quale, assegnando il dipendente a mansioni incompatibili con il proprio stato di salute, abbia determinato l’insorgere o l’ingravescenza della malattia.
In tale linea si è pronunciato il Tribunale di Parma (18 aprile 2023, n. 1341) facendo propri i principi espressi dalla Corte di Cassazione in fattispecie analoghe (Cass. n. 18711/2006, Cass. n. 26583/2017).
La fattispecie in controversia concerne, in particolare, il licenziamento intimato ad un dipendente, affetto da “spondilodiscoartrosi lombare con ernia discale recidivata L4-L5”, che si era assentato per malattia dal lavoro per più di 240 giorni (nel periodo annuale intercorso tra il 23 maggio 2019 ed il 22 maggio 2020), superando, così, il limite stabilito dal ccnl di categoria.
Egli, a partire dal 2016, previa valutazione positiva del medico del lavoro, svolgeva la mansione di “vuotatore dei parcometri cittadini delle aziende Infomobiliy e Tep, che comportava la necessità di trasportare i bussolotti (pesanti 2-3 kg quando vuoti e dai 10 ai 15 kg quando pieni di monetine) e caricarli in macchina, da cui bisognava continuare a salire e scendere.” Durante il turno di lavoro, quest’ultimo svuotava circa 90 parcometri.
Il CTU, nominato dal Tribunale, ha ricostruito la storia medica del lavoratore, accertando che la patologia da questi sofferta aveva avuto eziologia professionale nell’esperimento delle mansioni citate.
Per di più, secondo il consulente, «l’abnorme sollecitazione lavorativa derivante dall’attività di sollevamento dei bussolotti e di loro impilamento sul basso pianale dell’auto aziendale ha determinato “un aggravamento anatomico dell’ernia discale riscontrata nel 2012 […] ed un peggioramento del quadro clinico algico/disfunzionale con necessità di intervento chirurgico di decompressione della radice interessata”».
In conclusione, il CTU ha ritenuto che la perdurante assenza per malattia è stata determinata dall’aggravamento della patologia lombare del dipendente “causato dalle eccessive stimolazioni a cui era sottoposta la sua muscolatura dorso-lombo-sacrale nell’adempimento delle mansioni assegnategli dal datore di lavoro”.
Il giudice ha scelto di aderire alle citate valutazioni, stabilendo che le assenze per malattia del prestatore sono da imputare al datore di lavoro, in quanto egli, nel fare affidamento sulle valutazioni di idoneità alla mansione del medico competente, non “sopporta il rischio delle conseguenze derivanti dal giudizio errato di quest’ultimo” (Cass. n. 23068/2013).
In ragione di ciò, il Tribunale dichiara nullo il licenziamento, in quanto intimato in violazione della norma imperativa di cui all’art. 2110, co. 2, c.c., e dispone la reintegrazione del dipendente, oltre al pagamento di un’indennità risarcitoria pari a 12 mensilità, che corrisponde al limite massimo fissato dalla legge (c.d. tutela reale “debole” – art. 18, co. 4, Stat. Lav.).