Nel caso di reiterazione illegittima di contratti a tempo determinato, la stabilizzazione del lavoratore presso altra amministrazione non esclude il diritto al risarcimento del danno.
Nota a Cass. 3 ottobre 2023, n. 27882
Gennaro Ilias Vigliotti
“In tema di pubblico impiego privatizzato, nell’ipotesi di illegittima reiterazione di contratti a termine, la successiva offerta di immissione in ruolo del lavoratore, che intervenga solo dopo che questo è stato assunto a tempo indeterminato da altra pubblica amministrazione e senza alcuna connessione con la successione dei contratti a termine, non è idonea a reintegrare le conseguenze pregiudizievoli dell’illecito e, pertanto, non esclude il diritto del lavoratore al risarcimento per equivalente pecuniario, nei termini in cui esso è riconosciuto dall’ordinamento”.
Questo il principio ribadito dalla Corte di Cassazione 3 ottobre 2023 n. 27882, la quale accoglie il ricorso di un lavoratore avverso la decisione della Corte d’Appello di Bologna n. 613/2021 che, pur confermando l’illiceità della reiterazione dei contratti di lavoro a termine presso un Comune, aveva ritenuto satisfattiva anche del “danno comunitario” una proposta di assunzione intervenuta solo dopo che la situazione di precariato era stata risolta in altro modo, grazie all’assunzione a tempo indeterminato da parte del MIUR.
I giudici muovono dal principio, consolidato in giurisprudenza, secondo cui “in materia di pubblico impiego, l’impossibilità di convertire i rapporti a termine abusivi in rapporti di lavoro a tempo indeterminato (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 5) e la necessità di garantire, tuttavia, al lavoratore un’effettiva tutela risarcitoria (come imposto dalla normativa Eurounitaria) si contemperano nel riconoscimento in favore del lavoratore di un diritto soggettivo al risarcimento, in misura forfettizzata tra un minimo e un massimo (L. n. 183 del 2010, ex art. 32, comma 5, poi sostituito dal D.Lgs. n. 81 del 2015, art. 28, comma 2), senza necessità di provare l’effettiva esistenza del danno (e ferma la possibilità di provare l’esistenza di un danno ulteriore; v., per tutte, Cass. S.U. n. 5072 del 2016)”.
Ed affermano che la successiva stabilizzazione di un rapporto di lavoro per sanare il pregiudizio subito dal lavoratore “deve essere la causa diretta del superamento della situazione di prolungata e illegittima precarietà in cui il lavoratore viene a trovarsi a causa dell’abuso dei contratti a termine”.
Qualora all’atto dell’offerta di stabilizzazione, il prestatore abbia già risolto da solo, per altra via, la sua situazione di precarietà, “l’illecito rimane – con la sua dannosità presunta, sottratta eccezionalmente all’onere della prova, nei limiti della forfettizzazione sopra ricordata – e viene meno la stessa possibilità che la situazione pregiudizievole sia eliminata per effetto dell’assunzione in ruolo”.
Nel caso di specie l’assunzione avvenuta presso il MIUR non ha cancellato l’interesse del lavoratore a vedere accertata l’illeceità del reiterato utilizzo di contratti a termine e ad ottenere il risarcimento del relativo danno. Trattandosi di stabilizzazione tardiva inidonea a rimediare al precariato, ai fini della rimozione del danno è infatti necessario (per l’effettività della tutela del lavoratore e, conseguentemente, per la compatibilità del diritto interno al diritto dell’Unione Europea) il risarcimento per equivalente, anche senza prova.
CORTEDI CASSAZIONE 3 OTTOBRE 2023, N. 27882
Svolgimento del processo
La ricorrente, insegnante di scuola dell’infanzia, venne assunta dal Comune di (Omissis) con plurimi e reiterati contratti di lavoro a termine tra il (Omissis), quando ella recedette anticipatamente dall’ennesimo contratto per essere stata assunta a tempo indeterminato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR). All’esito di tale vicenda, la ricorrente convenne in giudizio il Comune di (Omissis) per chiederne la condanna al risarcimento dei danni, previo accertamento dell’abuso nella utilizzazione dei contratti a termine.
Instauratosi il contraddittorio, il Tribunale di Forlì, in funzione di giudice del lavoro, accolse parzialmente la domanda e condannò l’ente comunale al risarcimento del danno, liquidato nella misura di otto mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, dopo che il Comune di (Omissis) aveva offerto alla lavoratrice, in corso di causa, l’assunzione a tempo indeterminato a partire dal (Omissis) (assunzione rifiutata dalla lavoratrice, perchè ormai assunta dal MIUR).
Il Comune di (Omissis) impugnò la sentenza di primo grado, che venne riformata dalla Corte d’Appello di Bologna, rigettando la domanda di risarcimento del danno e compensando le spese. La corte territoriale ritenne, infatti, satisfattiva, a fini risarcitori, l’offerta di assunzione a tempo indeterminato, quantunque pervenuta in corso di causa e quando ormai la lavoratrice aveva già ottenuto l’assunzione dal Ministero.
Contro tale decisione la lavoratrice ha proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi. Il Comune di (Omissis) si è difeso con controricorso e ha presentato memoria nel termine di legge, anteriore alla data inizialmente fissata per la trattazione in Camera di consiglio davanti all’apposita sezione indicata nell’art. 376 c.p.c., comma 1. Con ordinanza interlocutoria n. 37310/2022 la causa è stata rimessa alla pubblica udienza ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 3. Il Pubblico Ministero ha depositato le proprie conclusioni scritte per l’accoglimento del ricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria ad ulteriore illustrazione delle rispettive posizioni in vista della pubblica udienza, nella quale sono anche intervenute per la discussione orale.
Motivi della decisione
1.Con il primo motivo di ricorso si denuncia “violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, e della L. n. 183 del 2010, art. 32, in connessione con la clausola n. 5 della Direttiva UE 1999/70”.
La ricorrente si lamenta che la corte territoriale, pur confermando l’illiceità della reiterazione dei contratti di lavoro a termine, abbia ritenuto satisfattiva anche del “danno comunitario” una proposta di assunzione intervenuta solo dopo che la situazione di precariato era stata risolta in altro modo, grazie all’assunzione a tempo indeterminato da parte del MIUR.
2. Il secondo motivo di ricorso censura la “violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 75 del 2017, art. 20, comma 1, e L. n. 208 del 2015, art. 1, comma 228-bis”.
Con questo motivo la ricorrente rileva che, alla data della sua assunzione da parte del MIUR, non vi era alcuna certezza della futura stabilizzazione in tempi ravvicinati del suo rapporto di lavoro precario con il Comune di (Omissis), posto che la legislazione all’epoca vigente dava una mera facoltà agli enti locali di procedere a un piano straordinario di assunzioni a tempo indeterminato, facoltà esercitata con ritardo dal Comune di (Omissis).
3. Il terzo motivo di ricorso denuncia “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.
Il fatto decisivo il cui esame si assume omesso dalla Corte d’appello è che la prolungata situazione di precarietà lavorativa aveva costretto la ricorrente a cercare un altro posto di lavoro presso una diversa pubblica amministrazione.
4. I tre motivi – che vanno esaminati congiuntamente, in quanto pongono, sotto diversi profili, la medesima questione – sono fondati.
4.1. Non è in discussione il presupposto della sussistenza, nel caso di specie, di un’illegittima reiterazione di contratti di lavoro a termine, accertata sia dal Tribunale che dalla Corte d’appello, con decisioni sul punto conformi e non censurate dal controricorrente.
4.2. Nemmeno è in discussione, sul piano del diritto, il consolidato principio secondo cui, in materia di pubblico impiego, l’impossibilità di convertire i rapporti a termine abusivi in rapporti di lavoro a tempo indeterminato (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 5) e la necessità di garantire, tuttavia, al lavoratore un’effettiva tutela risarcitoria (come imposto dalla normativa Eurounitaria) si contemperano nel riconoscimento in favore del lavoratore di un diritto soggettivo al risarcimento, in misura forfettizzata tra un minimo e un massimo (L. n. 183 del 2010, ex art. 32, comma 5, poi sostituito dal D.Lgs. n. 81 del 2015, art. 28, comma 2), senza necessità di provare l’effettiva esistenza del danno (e ferma la possibilità di provare l’esistenza di un danno ulteriore; v., per tutte, Cass. S.U. n. 5072 del 2016).
4.3. La Corte d’Appello ha tuttavia respinto la domanda della ricorrente, in dichiarato ossequio alla successiva giurisprudenza secondo cui l’assunzione del lavoratore a tempo indeterminato “rappresenta una misura ben più satisfattiva di quella per equivalente” ed è quindi idonea a cancellare tutte le conseguenze dell’abuso, senza necessità di ristoro pecuniario del “danno comunitario” (Cass. n. 22552/2016 e altre coeve e successive; principio inizialmente affermato con specifico riferimento alla stabilizzazione del personale docente della scuola, ma poi esteso anche ad altre categorie del pubblico impiego: v. Cass. n. 16336/2017).
Siffatta giurisprudenza ha però precisato che l’immissione in ruolo, per avere tale efficacia sanante, deve provenire dal medesimo ente che ha commesso l’abuso (Cass. n. 7982/2018) e deve avvenire in rapporto di diretta derivazione causale con l’illegittima successione dei contratti a termine (Cass. n. 15353/2020; conf. Cass. n. 14815/2021, alla quale si rinvia per una più completa disamina dei precedenti in termini).
4.4. Nel caso di specie, l’assunzione a tempo indeterminato della ricorrente è avvenuta presso altra pubblica amministrazione (MIUR) e non in forza di una procedura di stabilizzazione da mettere in qualsiasi modo in correlazione con l’abuso dei contratti a termine posti in essere dal Comune di (Omissis).
Sotto questo profilo, sulla scorta della citata e condivisibile giurisprudenza, è del tutto evidente che l’assunzione a tempo indeterminato da parte del MIUR non può avere avuto efficacia sanante dell’illecito perpetrato dal Comune di (Omissis), mancando sia il requisito soggettivo (assunzione da parte dello stesso ente), sia quello oggettivo (stretta correlazione tra assunzione e abuso) della stabilizzazione sanante.
4.5. Infatti, la Corte d’appello non ha attribuito efficacia sanante dell’abuso (e pienamente satisfattiva del pregiudizio subito dalla lavoratrice) all’assunzione a tempo indeterminato da parte del MIUR, bensì all’offerta di assunzione formulata dal Comune di (Omissis) in corso di causa e – ciò su cui occorre focalizzare l’attenzione – solo dopo che la ricorrente era stata assunta e immessa in ruolo dal MIUR. La Corte territoriale ha infatti opinato che “La sopravvenuta assenza di interesse non appare… di per sè dirimente essendo la (ricorrente) stata concretamente facultata ad ottenere la stabilizzazione presso il Comune ancorchè ella abbia preferito non avvalersene in costanza di altro rapporto di lavoro diversamente conseguito e già in essere”.
Si tratta di opinione che non può essere condivisa.
La stabilizzazione del rapporto di lavoro, per essere sanante del pregiudizio subito dal lavoratore, deve essere la causa diretta del superamento della situazione di prolungata, e illegittima, precarietà in cui il lavoratore viene a trovarsi a causa dell’abuso dei contratti a termine. Se, nel momento in cui la stabilizzazione viene offerta, il lavoratore ha già risolto da solo, per altra via, la situazione di precarietà, l’illecito rimane – con la sua dannosità presunta, sottratta eccezionalmente all’onere della prova, nei limiti della forfettizzazione sopra ricordata – e viene meno la stessa possibilità che la situazione pregiudizievole sia eliminata per effetto dell’assunzione in ruolo. In altri termini, per essere sanante, la stabilizzazione da parte dell’ente che ha commesso l’abuso deve essere effettiva e non meramente virtuale, in quanto postuma rispetto al momento in cui il lavoratore ha cessato di essere precario e non ha più l’esigenza della stabilizzazione.
L’errore in cui è incorsa la Corte d’appello è di avere trattato la riscontrata “sopravvenuta assenza di interesse” della ricorrente alla stabilizzazione presso il Comune di (Omissis) come se fosse una sopravvenuta carenza di interesse ad agire per il risarcimento del danno, con conseguente rigetto della domanda. Viceversa, non vi è dubbio che l’assunzione presso il MIUR non faceva venir meno l’interesse della lavoratrice a vedere accertata l’illeceità del reiterato utilizzo di contratti a termine e a ottenere il risarcimento del relativo danno nella misura in cui questo è riconosciuto dal “diritto vivente” (ed eventualmente nella ulteriore misura che fosse stata in grado di provare). Il tema non è dunque quello dell’interesse ad agire della ricorrente, bensì quello della irrilevanza della stabilizzazione tardiva – perchè ormai inidonea a rimediare al precariato – ai fini della rimozione del danno il cui risarcimento per equivalente, anche senza prova, è necessario per l’effettività della tutela del lavoratore e, conseguentemente, per la compatibilità del diritto interno al diritto dell’Unione Europea.
4.6. Rispetto a tale ordine di idee risulta irrilevante anche stabilire se, come sostiene il controricorrente, la certezza di una prossima assunzione a tempo indeterminato possa essere fatta risalire, ancor prima dell’offerta di assunzione, all’approvazione del piano straordinario di assunzioni e della successiva graduatoria definitiva. Si tratta, infatti, di eventi risalenti, rispettivamente, al 2017 e al 2018 (v. pag. 18 del controricorso) e, quindi, comunque successivi all’assunzione della ricorrente da parte del MIUR, che risale al settembre 2016.
4.7. Il ricorso deve essere dunque accolto, affermando il seguente principio di diritto, che si inserisce nel solco di quelli già affermati nella citata giurisprudenza: “In tema di pubblico impiego privatizzato, nell’ipotesi di illegittima reiterazione di contratti a termine, la successiva offerta di immissione in ruolo del lavoratore, che intervenga solo dopo che questo è stato assunto a tempo indeterminato da altra pubblica amministrazione e senza alcuna connessione con la successione dei contratti a termine, non è idonea a reintegrare le conseguenze pregiudizievoli dell’illecito e, pertanto, non esclude il diritto del lavoratore al risarcimento per equivalente pecuniario, nei termini in cui esso è riconosciuto dall’ordinamento”.
5. Accolto il ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Bologna, in diversa composizione, perché decida, anche sulle spese del presente giudizio di legittimità. Il rinvio si rende necessario per il dichiarato assorbimento degli “ulteriori motivi d’appello”, che rimangono impregiudicati senza necessità di alcuna impugnazione incidentale della parte vittoriosa in appello (Cass. n. 15893/2023).
6. Si dà atto che, visto l’accoglimento del ricorso, non sussistono i presupposti, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello eventualmente dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Bologna, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del presente giudizio di legittimità.