Il dipendente ha diritto al trasferimento anche se la sede più vicina al parente disabile risulti coperta.
Nota a Cass. 12 settembre 2023, n. 26343
Pamela Coti
Il lavoratore che assiste un familiare disabile ha il diritto ad essere trasferito nella sede più vicina al parente che accudisce, anche se l’organico risulta già coperto.
È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione 12 settembre 2023, n. 26343, ribadendo un consolidato orientamento, in relazione al caso di una dipendente che si era vista respingere la richiesta di trasferimento a una delle sedi più vicine al padre portatore di handicap, in ragione della copertura dell’organico delle stesse.
Al riguardo la Corte ha precisato che:
- il diritto del lavoratore che assiste un disabile in situazione di gravità di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio ai sensi dell’art. 33, co. 5, L. n. 104/1992, deve essere inteso nel senso che tale diritto può essere esercitato oltre che al momento dell’assunzione, anche nel corso del rapporto di lavoro. Ciò si desume sia dal tenore letterale della norma che dalla funzione solidaristica della disciplina posta a tutela ed a garanzia dei diritti del soggetto portatore di handicap, diritti previsti dalla Costituzione e dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità;
- le misure previste dall’art. 33 co. 5, devono essere interpretate in un’ottica costituzionalmente orientata e devono trovare attuazione mediante meccanismi di solidarietà che, da un lato, non si identificano esclusivamente con l’assistenza familiare e, dall’altro, devono coesistere con altri valori costituzionali (Cass. n. 24015/2017); “ne consegue che le posizioni giuridiche soggettive in capo agli interessati, proprio per il loro fondamento costituzionale e di diritto sovranazionale, vanno individuate quali diritti soggettivi (e non interessi legittimi) ma richiedenti, di volta in volta, un bilanciamento necessario di interessi, con il relativo onere probatorio in capo al datore di lavoro” (Cass. n. 7120/2018);
- il diritto al trasferimento ai sensi della L. n. 104/1992, art. 33, co. 5, deve essere, comunque, pur sempre compatibile con le “esigenze economiche, produttive o organizzative del datore di lavoro, esigenze cui tale diritto resta subordinato e con le quali esso deve essere necessariamente coordinato e non è sufficiente la vacanza del posto a cui il lavoratore richiedente, familiare dell’handicappato, aspira.” Tale condizione esprime una mera potenzialità, che assurge ad attualità soltanto con la decisione organizzativa di coprire la vacanza in organico. In sostanza, il diritto non si configura come assoluto ed illimitato, in quanto l’inciso “ove possibile” contenuto nella richiamata normativa di riferimento postula un adeguato bilanciamento degli interessi in conflitto.
Nel caso in esame, la Corte territoriale si è proprio ispirata a tali principi ed ha accertato che la società datrice, che ne era onerata, non aveva dato la prova che nel bilanciamento delle esigenze organizzative tra la sede chiesta e quella ricoperta vi erano ragioni che precludevano il trasferimento della lavoratrice in posizione di particolare tutela essendo la stessa incontestatamente titolare del diritto ad ottenere un avvicinamento al disabile da lei assistito.
Sentenza
Corte di Cassazione, ordinanza 12 settembre 2023, n. 26343
Svolgimento del processo
1.A.A. convenne in giudizio (Omissis) Spa per ottenere l’assegnazione alla sede di residenza del congiunto portatore di handicap, comunque alla sede più prossima, ai sensi della L. n. 104 del 1992, art. 33 comma 5.
1.1. Rigettata la domanda dal giudice di primo grado, la Corte di appello di Roma, in parziale accoglimento del ricorso della A.A., ha invece dichiarato il suo diritto ad essere trasferita presso un ufficio postale sito nel comune di (Omissis) ((Omissis)) ovvero in altro in regione, città o comune ad esso prossimo, ed ha condannato la società ai conseguenti adempimenti.
1.2. La Corte territoriale – premesso che l’oggetto della domanda era la richiesta di verifica delle condizioni per il trasferimento della lavoratrice presso la sede di (Omissis) ((Omissis)) richiesta il 16.1.2016, sede di residenza del padre disabile e convivente, sul rilievo della inesistenza di ragioni ad esso ostative – ha accertato che la L. n. 104 del 1992, art. 33 trova applicazione sia quando la situazione di handicap sopravvenga in corso di rapporto sia quando essa preesista osservando che la norma risponde ad una funzione solidaristica di tutela dell’handicap e garantisce l’effettività del diritto al lavoro del familiare del portatore di handicap, seppur nell’ambito di un bilanciamento con le esigenze organizzative produttive ed economiche del datore di lavoro. Il giudice di appello ha ritenuto inconferente il richiamo all’accordo sindacale nazionale sulla mobilità, alle graduatorie ivi costituite ed agli obblighi di permanenza in sede ivi disciplinati. Ha osservato infatti che, diversamente, si pregiudicherebbe con una norma collettiva, che preveda criteri diversi di assegnazione delle sedi, l’esistenza stessa del diritto del familiare del portatore di handicap a prestare la sua attività in una sede prossima a quella dell’assistito previsto da una norma di legge non derogabile convenzionalmente. Conseguentemente ha ritenuto irrilevante il possesso dei requisiti per il tramutamento su base volontaria. Ha poi aggiunto che la norma della L. n. 104 del 1992 all’epoca dei fatti non richiedeva neppure l’esistenza di una convivenza con il portatore di handicap requisito di cui, peraltro, la lavoratrice era in possesso avendolo mantenuto anche dopo l’assegnazione alla sede attraverso congedi straordinari per motivi familiari. Ha sottolineato che (Omissis) non aveva provato che l’assegnazione ad una sede più prossima avrebbe gravemente leso le esigenze economiche, organizzative e produttive ma solo che le sedi della Campania nel 2016 erano coperte. Non aveva chiarito però se tale situazione si era ulteriormente protratta per tutto l’anno 2016 e non era stato spiegato in che modo l’esistenza di posizioni in sovrannumero sarebbe stata di ostacolo allo spostamento della lavoratrice protetta. Inoltre, nulla era stato allegato quanto all’esistenza di sedi prossime, ma fuori regione, che pure erano state richieste. Pertanto, il giudice di appello, in mancanza di prova dell’inesistenza di sedi più prossime a (Omissis) libere, il cui onere gravava sulla datrice di lavoro, ha accolto per tale aspetto la domanda della lavoratrice. Al contrario ha respinto la domanda risarcitoria, pure avanzata, ritenendola priva di allegazione e prova.
2. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso (Omissis) Spa affidato a tre motivi. La lavoratrice ha resistito con tempestivo controricorso ed entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative. Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
Motivi della decisione
3. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c. e 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. e si deduce che, diversamente da quanto affermato nella sentenza impugnata, si era tempestivamente eccepito sin dal primo grado che la lavoratrice non aveva i requisiti per beneficiare dell’agevolazione prevista dalla L. n. 104 del 1992, art. 33 comma 5 e che tale censura era stata reiterata anche in appello.
4. Il motivo è generico e perciò inammissibile in quanto la società nel ricorso in cassazione ha trascurato di riprodurre le difese del giudizio di primo grado con la conseguenza che è precluso alla Corte di verificare sin dalla lettura del ricorso che, come affermato, l’eccezione era stata ritualmente sollevata sin dal primo grado di giudizio e dunque erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto che la stessa fosse stata proposta per la prima volta in appello e perciò tardivamente.
5. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione degli accordi sindacali nazionali del 28 gennaio 2010, del 22 maggio 2013 e del 12 novembre 2016 nonché della L. n. 104 del 1992, art. 33, comma 5, tanto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
5.1. Lamenta che erroneamente la sentenza impugnata ha ritenuto che, ai fini del diritto ad ottenere il trasferimento, sarebbe irrilevante il fatto che la A.A. non possedesse i requisiti a tale scopo previsti dall’accordo “sulla mobilità, così come il suo posizionamento nella graduatoria costituita in esito a tale accordo”, in quanto il predetto accordo non potrebbe “derogare alla previsione di legge formale ordinaria” e sostiene che al contrario tali accordi si applicano anche ai trasferimenti disposti ai sensi della L. n. 104 del 1992 atteso che detti accordi sono obbligatori per (Omissis) e la società è tenuta ad attenervisi in quanto l’esigenza perseguita è proprio quella di evitare decisioni soggettive e personalistiche. Si tratta infatti di intese che ancorano il diritto al trasferimento dei dipendenti a criteri oggettivi, razionali ed uguali per tutti ed hanno lo scopo di consentire una applicazione oggettiva e uniforme della legge limitando i poteri datoriali, realizzando il contemperamento delle istanze dei dipendenti con le esigenze produttive ed organizzative della specifica azienda.
5.2. Sottolinea inoltre che detti accordi non escludono il diritto al trasferimento dei lavoratori che si trovino nelle condizioni di cui alla L. n. 104 del 1992, art. 33, comma 5. Al contrario, essi regolamentano proprio l’esercizio di quel diritto tenendo conto della complessa organizzazione e dell’elevato numero di istanze di trasferimento incidenti sulla stessa zona; stabilendo criteri oggettivi per determinare le priorità delle diverse istanze in considerazione delle esigenze organizzative proprio in adesione a quanto disposto dalla L. n. 104 del 1992, art. 33 comma 5.
5.3. Rammenta che in adesione all’insegnamento della Cassazione, anche a sezioni unite, “il diritto del genitore o del familiare che assiste con continuità un handicappato di scegliere la sede lavorativa più vicino al proprio domicilio e di non essere trasferito ad altra sede senza il suo consenso non si configura come un diritto assoluto o illimitato perché detto diritto può essere fatto valere allorquando – alla stregua della regola di un equo bilanciamento tra i diritti – il suo esercizio non finisca per ledere in maniera consistente le esigenze economiche, produttive o organizzative del datore di lavoro e per tradursi – soprattutto nei casi in cui si sia in presenza di rapporti di lavoro pubblico – con l’interesse della collettività” e che “l’inciso, “ove possibile”, indicato nella stessa norma (n.d.r.: L. n. 104 del 1992, art. 33), richiede un adeguato bilanciamento degli interessi in conflitto e il recesso del diritto stesso ove risulti incompatibile con le esigenze economiche ed organizzative del datore di lavoro” sostenendo in definitiva che il diritto al trasferimento ai sensi della L. n. 104 del 1992, art. 33, comma 5, deve essere, comunque, pur sempre compatibile con le “esigenze economiche, produttive o organizzative” del datore di lavoro, esigenze cui tale diritto resta subordinato e con le quali esso deve essere necessariamente coordinato. Tutto ciò premesso ritiene che dalla documentazione presente in atti risultasse che la lavoratrice che aveva partecipato alla mobilità volontaria verso la Provincia di (Omissis) nel maggio del 2016 era stata esclusa dalla relativa graduatoria perché non aveva totalizzato un punteggio sufficiente ad ottenere il trasferimento e che tale situazione di fatto non era stata mai oggetto di contestazione e tantomeno di impugnazione.
6. Il motivo non può essere accolto.
6.1. Va ricordato in primo luogo che il diritto del lavoratore che assiste un disabile in situazione di gravità di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio di cui alla L. n. 104 del 1992, art. 33, comma 5, nel testo modificato dalla l. n. 53 del 2000 e dalla l. n. 183 del 2010, va interpretato nel senso che tale diritto può essere esercitato, al ricorrere delle condizioni di legge, oltre che al momento dell’assunzione, anche nel corso del rapporto di lavoro. Tanto si desume sia dal tenore letterale della norma che dalla funzione solidaristica della disciplina posta a tutela ed a garanzia dei diritti del soggetto portatore di handicap, diritti previsti dalla Costituzione e dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, ratificata e resa esecutiva con l. n. 18 del 2009 (cfr. Cass. 01/03/2019 n. 6150).
6.2. La disposizione della L. n. 104 del 1992, art. 33 comma 5 deve essere interpretata in termini costituzionalmente orientati -alla luce della Cost., art. 3 comma 2, dell’art. 26 della Carta di Nizza e della Convenzione delle Nazioni del 13.12.2006 sui diritti dei disabili, ratificata con L. n. 18 del 2009- in funzione della tutela della persona disabile (cfr. Cass. 7.6.2012 n. 9201); le misure previste dall’art. 33 comma 5 devono intendersi come razionalmente inserite in un ampio complesso normativo – riconducibile al principio sancito dalla Cost., art. 3 comma 2 – che deve trovare attuazione mediante meccanismi di solidarietà che, da un lato, non si identificano esclusivamente con l’assistenza familiare e, dall’altro, devono coesistere con altri valori costituzionali (cfr. da ultimo Cass. n. 24015/2017); ne consegue che le posizioni giuridiche soggettive in capo agli interessati, proprio per il loro fondamento costituzionale e di diritto sovranazionale, vanno individuate quali diritti soggettivi (e non interessi legittimi) ma richiedenti, di volta in volta, un bilanciamento necessario di interessi, con il relativo onere probatorio in capo al datore di lavoro (cfr. sull’onere probatorio Cass. 18/02/2009 n. 3896) (cfr. Cass. 22/03/2018 n. 7120).
6.3. Certamente il diritto al trasferimento ai sensi della L. n. 104 del 1992, art. 33, comma 5, deve essere, comunque, pur sempre compatibile con le “esigenze economiche, produttive o organizzative” del datore di lavoro, esigenze cui tale diritto resta subordinato e con le quali esso deve essere necessariamente coordinato e non è sufficiente la vacanza del posto a cui il lavoratore richiedente, familiare dell’handicappato, aspira. Tale condizione esprime una mera potenzialità, che assurge ad attualità soltanto con la decisione organizzativa di coprire la vacanza. In sostanza il diritto non si configura come assoluto ed illimitato, in quanto l’inciso “ove possibile” contenuto nella L. n. 104 del 1992, art. 33 comma 5 postula un adeguato bilanciamento degli interessi in conflitto.
6.4. Tuttavia, nel caso in esame la Corte territoriale si è proprio ispirata a tali principi ed ha accertato che la società datrice, che ne era onerata, non aveva dato la prova che nel bilanciamento delle esigenze organizzative tra la sede chiesta e quella ricoperta vi erano ragioni che precludevano il trasferimento della lavoratrice in posizione di particolare tutela essendo la stessa incontestatamente titolare del diritto ad ottenere un avvicinamento al disabile da lei assistito.
7. Con il terzo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione della L. n. 104 del 1992, art. 33 comma 5 e dell’art. 2697 c.c. nonché dell’art. 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. e viene censurata la sentenza nella parte in cui afferma che il diniego al trasferimento della lavoratrice sarebbe illegittimo, poiché non avrebbe comportato alcuna “grave lesione delle esigenze economiche, organizzative e produttive” che sarebbe stato onere di (Omissis) dimostrare. Sostiene che, al contrario, proprio con riguardo all’anno 2016, era stata offerta la prova dell’esistenza di un’eccedenza di personale nella regione di provenienza della A.A.. Rileva che la stessa sentenza ne darebbe atto e che contraddittoriamente la decisione afferma poi che sarebbero inesistenti esigenze produttive ed organizzative impeditive del trasferimento sottolineando che, quanto alle regioni limitrofe, la lavoratrice non aveva allegato alcunché.
8. Il motivo non può essere accolto.
8.1. Rileva il Collegio che, in primo luogo, con la censura non viene idoneamente censurato l’accertamento della Corte territoriale che ha affermato che il diritto ad ottenere il trasferimento ai sensi della L. n. 104 più volte richiamata non era limitato nella sua estensione territoriale alla sola sede di residenza dell’invalido da assistere e che si sarebbe dovuto tenere conto delle aree limitrofe, nello specifico anche fuori regione, il cui interesse specifico era testimoniato dal fatto che la lavoratrice aveva presentato domande di trasferimento anche per tali sedi al fine di avvicinarsi. Va ribadito che in tale contesto era onere della datrice di lavoro dimostrare che vi era una situazione di eccedentarietà tale da non consentire il trasferimento della lavoratrice in nessuna delle sedi prossime a quella di residenza dell’invalido da assistere.
8.2. Inoltre la Corte d’appello ha fatto corretta applicazione dei principi che si sono più sopra richiamati ed ha fondato la sua decisione essenzialmente sull’accertamento che il datore di lavoro, che ne era onerato, non aveva dato la prova dell’esistenza di ragioni ostative al trasferimento ovvero della sussistenza di una lesione consistente delle esigenze economiche, produttive ed organizzative che in un bilanciamento degli opposti interessi avrebbe impedito il trasferimento della lavoratrice a tutela del diritto di cui era pacificamente titolare.
8.3. In tale prospettiva l’accertamento di fatto del giudice di secondo grado che ha verificato che, pur nella copertura delle sedi, comunque, la datrice di lavoro aveva proceduto ad assegnazioni anche in esubero, è sintomatica proprio dell’insussistenza delle ragioni ostative al trasferimento la cui funzione è quella di assicurare speciale tutela a coloro che siano chiamati ad assistere familiari con handicap. Il motivo laddove censura la valutazione operata dal giudice del gravame in merito alla sussistenza o meno di una lesione consistente delle esigenze economiche, produttive ed organizzative, allora, finisce con il sollecitare una nuova valutazione del merito che però non è consentita in questa sede (cfr. per un caso analogo Cass. 14/01/2019 n. 428).
9. In conclusione, per le ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 bis del citato D.P.R. n., se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in Euro 5.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 bis del citato D.P.R. n., se dovuto.