Roberta Stazi
L’art. 28 dello Statuto dei lavoratori riconosce la legittimazione ad agire per la repressione della condotta antisindacale non a tutte le associazioni sindacali, ma solo agli “organismi locali delle associazioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse”.
Come ribadito più volte dalla Corte di Cassazione (v., fra tante, Cass. n. 1307/2006), con tale disposizione il legislatore ha dettato una disciplina differenziata, operando una distinzione tra associazioni sindacali che hanno accesso anche a questo strumento processuale di tutela rafforzata dell’attività sindacale e altre associazioni sindacali che hanno accesso solo alla tutela ordinaria attivabile ex art. 414 c.p.c. ss.
La Corte Costituzionale (v. sentenza n. 89/1995) ha riconosciuto la legittimità di questa scelta, sottolineando che:
– il procedimento di repressione della condotta antisindacale si aggiunge alle tutele già assicurate alle associazioni sindacali e rappresenta un mezzo ulteriore per garantire in modo particolarmente rapido ed efficace i diritti del sindacato;
– l’opzione di un livello rappresentativo nazionale, oltre a corrispondere al ruolo tradizionalmente svolto dal movimento sindacale italiano, si uniforma al principio solidaristico nel quale va inserito anche l’art. 39 Cost. Ciò, in quanto gli interessi tutelati dalla procedura dell’art. 28 cit. trascendono quelli soggettivi dei singoli lavoratori così come quelli localistici poiché coincidono con “quelli di un’associazione sindacale che si proponga di operare e operi a livello nazionale per tutelare gli interessi di una o più categorie di lavoratori” (cfr. Cass. n. 5209/2010 e Trib. Milano 28 settembre 2023, annotata in q. sito da C. GIAGHEDDU SAITTA).
I requisiti di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 19, per la costituzione di rappresentanze sindacali titolari dei diritti di cui al titolo III° non vanno confusi con la legittimazione prevista ai fini dell’art. 28 cit. (cfr. Cass. n. 5209/2010 cit; Cass. n. 13240/209). Da una parte, infatti, l’art. 19 richiede la sottoscrizione di contratti collettivi nazionali (o anche provinciali o aziendali, purché applicati in azienda), oppure (a seguito dell’intervento additivo della Corte Cost. con sentenza n. 231/2013), la partecipazione del sindacato alla negoziazione relativa agli stessi contratti, quali rappresentanti dei lavoratori; dall’altra, l’art. 28 postula solo che l’associazione sia nazionale.
Il requisito della nazionalità è stato oggetto di numerose pronunce della Corte di Cassazione (v. Cass. n. 21931/2014; Cass. n. 6206/2012; Cass. n. 16637/2014 e Cass. n. 29257/2008) secondo cui:
a) esso non può desumersi da dati meramente formali e da una dimensione statica, puramente organizzativa e strutturale, dell’associazione, essendo necessaria anche un’azione diffusa a livello nazionale;
b) esso non deve necessariamente coincidere con la stipula di contratti collettivi di livello nazionale;
c) non è neppure indispensabile che l’associazione faccia parte di una confederazione né che sia maggiormente rappresentativa.
Ciò che rileva, in sintesi è la diffusione del sindacato sul territorio nazionale. A tal fine è necessario e sufficiente lo svolgimento di un’effettiva azione sindacale non su tutto, ma su gran parte del territorio nazionale (così, Cass. S.U. n. 28269/2005).
Inoltre, l’interesse tutelato dall’art. 28 non è solo quello alla propria libertà sindacale, bensì quello alla libertà di tutti i lavoratori e di tutti i sindacati, Pertanto, l’interesse ad agire delle associazioni sindacali non va limitato ai soli casi in cui il sindacato agisca per la tutela dei diritti sindacali dei propri membri (v. Cass. n. 10324/1998).