Il rischio, per essere qualificato come lavorativo, deve verificarsi in un ambiente che possa essere definito “di lavoro”.
Nota a Cass. pen. 6 dicembre 2023, n. 48533
Pamela Coti
Ai fini del concreto sviluppo del rischio lavorativo, quello che conta, in sostanza, è il fatto che la prestazione lavorativa sia posta in essere in un ambiente che possa definirsi “ambiente di lavoro”.
È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione 6 dicembre 2023, n. 48533 in merito al ricorso proposto dal titolare di un’impresa pirotecnica, condannato per l’omicidio, aggravato dalla violazione di norme antinfortunistiche, di un dipendente che, mentre operava con altri il carico dell’automezzo aziendale destinato a una manifestazione pirotecnica parcheggiato su un terreno agricolo con pendenza del 10%, era stato investito e ucciso dall’autonomo, improvviso arretramento dello stesso.
Al riguardo, la Suprema Corte ha rilevato che:
- “per quanto sia condiviso l’orientamento secondo il quale la normativa antinfortunistica sia destinata a tutelare anche i terzi che si trovino nell’ambiente di lavoro, allorquando le lesioni o l’omicidio colposo dei medesimi derivino dalla violazione di tale normativa e sussista un legame causale tra la condotta del datore di lavoro e l’evento…, è ben possibile che nell’evento sia concretizzato il rischio lavorativo anche se avvenuto in danno del terzo, ma ciò richiede che questi si sia trovato esposto a tale rischio alla stessa stregua del lavoratore. Per tale motivo, in positivo, vengono richieste condizioni quali la presenza non occasionale sul luogo di lavoro o un contatto più o meno diretto e ravvicinato con la fonte di pericolo; e, in negativo, che non deve avere esplicato i suoi effetti un rischio diverso”;
- da ciò si desume il principio generale secondo cui: “ai fini dell’integrazione della circostanza aggravante del “fatto commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro” è necessario che venga violata una regola cautelare volta a eliminare o ridurre lo specifico rischio, derivante dallo svolgimento di attività lavorativa, di morte o lesioni in danno dei lavoratori o di terzi esposti alla medesima situazione di rischio e pertanto assimilabili ai lavoratori, e che l’evento sia concretizzazione di tale rischio “lavorativo”, non essendo all’uopo sufficiente che lo stesso si verifichi in occasione dello svolgimento di un’attività lavorativa” (Cass. 8 gennaio 2021, n. 32899);
- nello specifico, il rischio, secondo i giudici, si è concretizzato nell’evento “interno alla sfera rispetto alla quale il datore di lavoro è tenuto direttamente ad assicurare l’incolumità soggettiva altrui”;
- in questa linea, il giudice di prime cure ha correttamente identificato come ambiente di lavoro il fondo agricolo sul quale era stato parcheggiato il furgone utile al trasporto del materiale pirotecnico che, per sua naturale destinazione, deve essere utilizzato all’esterno dell’area di produzione; è stato, dunque, logicamente valutato che l’ubicazione del mezzo in quel luogo, caratterizzato da forte pendenza, fosse strettamente funzionale allo svolgimento dello spettacolo pirotecnico. Ne consegue che il rischio concretizzatosi è dipeso dalla violazione di un precetto rivolto alla tutela della salute dei lavoratori, divieto di svolgimento di attività pirotecnica e inappropriato stazionamento del mezzo a tale attività funzionale.
Sentenza
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, SENTENZA 6 DICEMBRE 2023 N. 48533
Svolgimento del processo
1.La Corte di appello di Napoli, con la sentenza indicata in epigrafe, ha riformato parzialmente, e limitatamente al trattamento sanzionatorio, previa concessione della circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 6 c.p., la pronuncia con la quale il giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Avellino, in data 5/11/2021, aveva riconosciuto A.A. responsabile del reato di cui all’art. 589 c.p. perché, in qualità di titolare dell’omonima azienda pirotecnica, per colpa consistita in imprudenza e negligenza nonché nell’inosservanza delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, aveva cagionato il decesso di B.B.. In particolare, si era recato unitamente ai propri dipendenti, a bordo dell’autocarro furgonato Iveco Daily, in località (Omissis) in agro del Comune di (Omissis) per svolgere una manifestazione di fuochi di artificio autorizzata dal Comune, lasciando il furgone in sosta sul fondo agricolo con pendenza pari al 10%; durante le operazioni di carico di materiale all’interno del vano del veicolo, alle quali partecipava direttamente anche B.B., che svolgeva attività lavorativa di fatto indossando abiti da lavoro e guanti della ditta, quest’ultimo era stato investito dal veicolo che, avanzando autonomamente in modo retrogrado in direzione della pendenza del terreno, lo aveva scaraventato al suolo e sormontato, così derivandone gravissime lesioni politraumatiche alle quali era seguito il decesso. In (Omissis).
2. Nel capo di imputazione era ascritto al A.A., di avere utilizzato un veicolo in mediocri condizioni di manutenzione e con un sistema di stazionamento insufficiente a garantire la sosta in condizioni di sicurezza su una pendenza del 10%, di aver omesso di condurre a bordo del veicolo cunei fermaruota da utilizzare in caso di sosta su strada in pendenza, di non aver osservato maggiore cautela durante le operazioni di sosta e carico del veicolo nonostante la pendenza della strada, omettendo di porre in essere le azioni di sicurezza che potessero garantire la stabilità del mezzo e di aver violato il disposto del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 18 lett. e), omettendo di adottare le misure necessarie affinché nella zona di esposizione dei lavoratori a rischio sostassero coloro che avevano ricevuto adeguate istruzioni e addestramento, tra i quali non rientrava B.B..
3. A.A., propone ricorso per cassazione censurando la sentenza impugnata, con un primo motivo, per inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 589, comma 2, in relazione agli artt. 40e 43 c.p. Secondo la difesa la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare che nei reati colposi non è sufficiente la sussistenza di un nesso eziologico tra la condotta e l’evento ma è necessario, altresì, che quest’ultimo si sostanzi nella concretizzazione del danno che la norma precauzionale trasgredita mira a scongiurare. Nel caso in esame, in particolare, l’aggravante prevenzionistica non si sarebbe dovuta configurare in quanto, pur in presenza delle condizioni che normalmente si associano al rischio lavorativo, quali il contesto aziendale o l’evento in danno di un dipendente, il rischio inveratosi non poteva qualificarsi come rischio lavorativo. Quest’ultimo, in ragione delle caratteristiche dell’attività imprenditoriale esercitata dall’imputato, si sostanzia piuttosto nel rischio di esplosione. La Corte territoriale, secondo la difesa, ha omesso di considerare che l’evento verificatosi non rientrava nell’alea di rischio definita dalla lavorazione in corso in quanto la causa del sinistro era stata individuata unicamente nell’avvio in modo autonomo retrogrado, senza il conducente a bordo, dell’autocarro, il cui sistema di stazionamento è risultato inefficiente a garantire la sosta e tenuta del mezzo in una strada in dislivello con una pendenza del 10%; la norma cautelare violata non poteva qualificarsi come norma antinfortunistica, essendo piuttosto inerente a rischio connesso alla circolazione stradale.
3.1. Con un secondo motivo deduce violazione degli artt. 163 e 164 c.p. e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta insussistenza dei presupposti per la concessione della sospensione condizionale della pena. Secondo la difesa, i giudici di merito avrebbero dovuto riconoscere il beneficio della concessione della sospensione condizionale della pena nonostante tale beneficio fosse stato già concesso due volte in quanto i precedenti consistevano in reati di indole contravvenzionale, estinti in virtù di pronuncia del giudice dell’esecuzione. Al contrario, si sarebbe dovuta evitare l’indiscriminata operatività del divieto di concessione del beneficio per più di due volte, trattandosi di interpretazione irragionevole e foriera di disparità di trattamento rispetto a chi avesse riportato precedenti condanne per reati gravi ma avesse potuto usufruire per due volte della sospensione entro i limiti consentiti dall’art. 163 c.p. La difesa aveva svolto una serie di argomenti a sostegno dell’interpretazione favorevole all’imputato, ma la Corte territoriale si è limitata a fornire una motivazione apparente facendo riferimento alla motivazione della sentenza di primo grado senza mostrare di aver preso cognizione delle censure proposte.
3.2. Con un terzo motivo deduce vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche, fondata su un mero richiamo per relationem alla statuizione di primo grado e su argomentazioni, quali il riferimento al fatto che l’imputato avesse ‘Portato altre volte con sè la vittima, dalle quali non è possibile evincere motivazionale seguito dal giudice di appello.
4. Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione
1. Occorre preliminarmente evidenziare l’inammissibilità per manifesta infondatezza del secondo motivo di appello, essendo consolidato l’orientamento interpretativo dell’art. 164 c.p. nel senso che, fatto salvo il caso dell’abolitio criminis (Sez. 1, n. 22277 del 02/07/2020, Fialdini, Rv. 279438 – 01), in alcun caso il tenore letterale della disposizione consente di concedere il beneficio della sospensione condizionale della pena per più di due volte, come peraltro si desume anche dal disposto dell’art. 168 c.p., u.c., che impone la revoca della sospensione condizionale concessa in violazione del disposto dell’art. 164 c.p., comma 4, Correttamente, dunque, il giudice di appello ha confermato il diniego del beneficio già espresso dal tribunale e per le medesime ragioni già esposte in primo grado con riguardo all’irrilevanza dell’intervenuta estinzione dei reati per i quali sia intervenuta condanna a pena sospesa.
Del pari inammissibile è la censura inerente al diniego delle circostanze attenuanti generiche in quanto, contrariamente a quanto dedotto nel ricorso, tale punto della decisione è stato congruamente giustificato dal giudice di merito. Giova, in ogni caso, ricordare che la ratio della disposizione di cui all’art. 62 bis c.p., che attribuisce al giudice la facoltà di cogliere, sulla base di numerosi e diversificati dati sintomatici, gli elementi che possono condurre ad attenuare la pena edittale, non impone, tuttavia, al giudice di merito di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo” invece, sufficiente l’indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti.
2. E’, poi, infondato il primo motivo di ricorso in quanto non è condivisibile quanto evidenziato dalla difesa, ossia che il rischio concretizzatosi nell’evento che ha condotto a morte la vittima sarebbe stato erroneamente qualificato come rischio lavorativo.
2.1. La doglianza pone la questione della riconducibilità del rischio realizzatosi al novero dei rischi derivanti dallo svolgimento di attività lavorative, cui consegue l’applicabilità delle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 81 del 2008, la cui violazione è contestata all’imputato. La sentenza impugnata muove dalla considerazione che, secondo la giurisprudenza di legittimità, la normativa antinfortunistica sia applicabile anche qualora vi sia espletamento di attività lavorativa per amicizia, riconoscenza o ad altro titolo, purché la prestazione sia posta in un ambiente che possa definirsi “di lavoro”.
2.2. Per quanto sia condiviso l’orientamento secondo il quale la normativa antinfortunistica sia destinata a tutelare anche i terzi che si trovino nell’ambiente di lavoro, allorquando le lesioni o l’omicidio colposo dei medesimi derivino dalla violazione di tale normativa e sussista un legame causale tra la condotta del datore di lavoro e l’evento (Sez. 4, n. 32178 del 16/09/2020, Dentamaro Rv. 280070; Sez. 4, n. 44142 del 19/07/2019, De Remigis, Rv. 277691; Sez. 4, n. 2343 del 27/11/2013, dep. 2014, S., Rv. 258434; Sez. 4, n. 23147 del 17/04/2012, De Lucchi, Rv. 253322; Sez. 4, n. 2383 del 10/11/2005, dep. 2006, Lo Sappio, Rv. 232916), recentemente è stato precisato che “è ben possibile che nell’evento sia concretizzato il rischio lavorativo anche se avvenuto in danno del terzo, ma ciò richiede che questi si sia trovato esposto a tale rischio alla stessa stregua del lavoratore. Per tale motivo in positivo, vengono richieste condizioni quali la presenza non occasionale sul luogo di lavoro o un contatto più o meno diretto e ravvicinato con la fonte di pericolo; e, in negativo, che non deve avere esplicato i suoi effetti un rischio diverso” (cfr. Sez. 4, n. 32899 del 08/01/2021, Castaldo, Rv. 281997, in motivazione), da ciò ricavandosi il generale principio secondo cui: “Ai fini dell’integrazione della circostanza aggravante del “fatto commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro” è necessario che venga violata una regola cautelare volta a eliminare o ridurre lo specifico rischio, derivante dallo svolgimento di attività lavorativa, di morte o lesioni in danno dei lavoratori o di terzi esposti alla medesima situazione di rischio e pertanto assimilabili ai lavoratori, e che l’evento sia concretizzazione di tale rischio “lavorativo”, non essendo all’uopo sufficiente che lo stesso si verifichi in occasione dello svolgimento di un’attività lavorativa” (Sez. 4, n. 32899 del 08/01/2021, Castaldo, Rv. 281997).
2.3. L’evoluzione giurisprudenziale non risulta in contrasto con le argomentazioni esposte nella sentenza impugnata, che ha identificato lo specifico rischio concretizzatosi nell’evento ritenendolo interno alla sfera rispetto alla quale il datore di lavoro era tenuto direttamente ad assicurare l’incolumità soggettiva altrui. In tal senso, la motivazione offerta nella sentenza impugnata soddisfa i requisiti che giustificano l’applicazione della circostanza aggravante, avendo identificato come ambiente di lavoro il fondo agricolo sul quale era stato parcheggiato il furgone utile al trasporto del materiale pirotecnico che, per sua naturale destinazione, deve essere utilizzato all’esterno dell’area di produzione; è stato, dunque, logicamente valutato che l’ubicazione del mezzo in quel luogo, caratterizzato da forte pendenza, fosse strettamente funzionale allo svolgimento dello spettacolo pirotecnico, conseguendone che il rischio concretizzatosi sia dipeso dalla violazione di un precetto rivolto alla tutela della salute dei lavoratori, in quanto esso è scaturito dallo svolgimento di attività pirotecnica e dall’inappropriato stazionamento del mezzo a tale attività funzionale, come pacificamente emergente dalle conformi decisioni di merito.
3. Conclusivamente, non potendosi rilevare l’illegittimità del calcolo della pena in quanto si tratta comunque di pena non illegale, il ricorso deve essere rigettato; al rigetto consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.