Nel quadro della libertà d’iniziativa economica (di cui all’art. 41 Cost.), la soppressione di una posizione dirigenziale può legittimamente fondarsi su esigenze di riorganizzazione aziendale purché non pretestuose, arbitrarie o persecutorie.
Nota a Cass. 4 gennaio 2024, n. 265
Paolo Pizzuti
Il licenziamento individuale del dirigente d’azienda per soppressione del posto:
a) si può fondare su ragioni oggettive concernenti esigenze di riorganizzazione aziendale, non necessariamente coincidenti con “l’impossibilità della continuazione del rapporto o con una situazione di crisi tale da rendere particolarmente onerosa detta continuazione”, in quanto il principio di correttezza e buona fede, quale parametro su cui misurare la legittimità del licenziamento medesimo, va coordinato con la libertà di iniziativa economica garantita dall’art. 41 Cost.;
b) è consentito in tutte le ipotesi in cui “sia stato adottato in funzione di una ristrutturazione aziendale dettata da scelte imprenditoriali non arbitrarie, non pretestuose e non persecutorie”.
Tali principi sono ribaditi dalla Corte di Cassazione 4 gennaio 2024, n. 265 (v. anche Cass. n.12668/2016; Cass. n. 3628/2012; Cass. n. 21748/2010; Cass. n. 17013/2006).
La Corte precisa altresì che la nozione di giustificatezza del recesso si differenzia da quella di giustificato motivo poiché “è ravvisabile ove sussista l’esigenza, economicamente apprezzabile in termini di risparmio, della soppressione della figura dirigenziale in attuazione di un riassetto societario e non emerga, in base ad elementi oggettivi, la natura discriminatoria o contraria a buona fede della riorganizzazione”.
Inoltre, ai fini della “giustificatezza” del licenziamento del dirigente il giudice:
– non può sindacare il merito delle scelte imprenditoriali, garantite dall’art. 41 Cost., dovendosi limitare al controllo sull’effettività delle scelte stesse poste a base del licenziamento (Cass. n. 9665/2019);
– non deve procedere necessariamente all’”analitica verifica di specifiche condizioni”. È infatti “sufficiente una valutazione globale, che escluda l’arbitrarietà del recesso, in quanto intimato con riferimento a circostanze idonee a turbare il rapporto fiduciario con il datore di lavoro, nel cui ambito rientra l’ampiezza di poteri attribuiti al dirigente” (Cass. n. 34736/2019; Cass. n. 6110/2014).
Sentenza
CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 4 gennaio 2024, n. 265
Lavoro – Licenziamento del dirigente – Soppressione della posizione dirigenziale – Riorganizzazione aziendale – Principio di correttezza e buona fede nel licenziamento coordinato con la libertà di iniziativa economica – Giustificatezza del licenziamento del dirigente – Inammissibilità
Fatto
1.Con sentenza 23 luglio 2019, la Corte d’appello di Milano ha rigettato l’appello di M.R. avverso la sentenza di primo grado, di reiezione della sua impugnazione, per illegittimità o comunque ingiustificatezza, del licenziamento intimatogli – quale dirigente con incarico di Vicedirettore Generale e mansioni di Responsabile della Direzione Commerciale, il 13 febbraio 2017 dalla Banca C.C.C. (alle cui dipendenze egli aveva lavorato dall’11 settembre 2015) – e della conseguente domanda di condanna della datrice al pagamento, in proprio favore, dell’indennità supplementare prevista dal CCNL di settore nella misura massima di € 395.061,26 pari a 22 mensilità (essendo stata conciliata in corso di causa quella di pagamento di differenze sull’indennità di preavviso).
2. In esito ad articolato ragionamento argomentativo, essa ha ritenuto la giustificatezza – in conformità ai canoni di correttezza e buona fede integranti il suo parametro di valutazione – del licenziamento intimato dalla banca al proprio dirigente, per ragioni (riorganizzative interne di accorpamento della Direzione Crediti con la Direzione Commerciale in un’unica Direzione degli Affari assegnata al Direttore della prima, comportante la soppressione della posizione dirigenziale del lavoratore appellante, in funzione di una rivitalizzazione del circuito reddituale) accertate come effettive, né pretestuose e pertanto insindacabili dal giudice.
3. La Corte territoriale ha poi ritenuto inammissibile la doglianza riguardante la natura sostanzialmente disciplinare del licenziamento, siccome estranea ai motivi di impugnazione formulati in primo grado ed infine sottratto al sindacato giudiziale il denunciato contrasto tra il nuovo assetto organizzativo aziendale e la normativa regolamentare di settore (in particolare: Circolare Bankitalia n. 285 del 17 dicembre 2013, in recepimento della Direttiva 2013/36/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013), siccome relativo al merito delle misure organizzative e, in ogni caso, insussistente alcun conflitto tra le funzioni “operative e di business” del settore commerciale e invece “tipicamente di controllo” del settore preposto all’erogazione del credito, unificate nella Direzione Affari affidata ad altro dipendente, già Direttore del secondo.
4. Con atto notificato il 23 gennaio 2020, il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione con cinque motivi, cui la banca ha resistito con controricorso.
5. Entrambe le parti hanno comunicato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.: quella del ricorrente peraltro inammissibile, in quanto depositata il 6 dicembre 2023 e pertanto tardiva rispetto al termine di dieci giorni prima dell’udienza, fissato dal novellato testo dell’art. 378, secondo comma, applicabile ratione temporis.
Ragioni della decisione
1.Con il primo motivo, il ricorrente ha dedotto omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, quale il mancato approfondimento, da parte della Corte territoriale, in ordine alla propria contestazione di effettività della riorganizzazione aziendale (consistente nell’accorpamento della Direzione Crediti con la Direzione Commerciale, in capo al medesimo, in un’unica Direzione degli Affari assegnata al Direttore della prima, comportante la soppressione della propria posizione dirigenziale), invece data per ammessa, sulla base di un convincimento erroneamente ricavato nelle parti della sentenza specificamente impugnate.
2. Con il secondo, egli ha dedotto violazione degli artt. 115, 116, 360, n. 5, 366 c.p.c., per avere la Corte d’appello travisato il dato informativo “per cui l’area crediti, che ha sostituito la direzione del dott. R., fosse sottordinata alla nuova Direzione Affari, e di un “livello inferiore” … ”, ritenendolo incontestato in assenza di una propria ammissione, avendo egli sempre negato l’equivalenza delle nuove “aree” alle precedenti Direzioni ed anzi dedotto come artificio per il licenziamento del predetto, in evidente violazione del principio di buona fede.
3. Con il terzo motivo, il ricorrente ha dedotto nullità della sentenza per violazione degli artt. 115, 416, 421, 437 c.p.c., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto l’inidoneità delle proprie allegazioni difensive alla confutazione dell’effettiva soppressione della posizione dirigenziale propria, avendo anzi egli ciò negato, argomentando e deducendo mezzi istruttori per dimostrare che si trattasse di una mera “formalità”, che “celasse l’originario intento del Direttore Generale di “defenestrarlo”.
4. Con il quarto, egli ha dedotto violazione degli artt. 54 e 16 CCNL Cassa Rurale Artigiani, in relazione agli artt. 1382, 1337, 1366, 1375 c.c. e falsa applicazione dell’art. 41 Cost., per non avergli la Corte territoriale consentito – negando anche l’integrazione istruttoria richiesta (quand’anche ammessa, ma non concessa, l’effettiva riorganizzazione delle due Direzioni della banca in una unica) – di dimostrarne la pretestuosità e la conseguente mancanza di buona fede del licenziamento intimatogli, non accertandone l’evidente ingiustificatezza, non applicando correttamente la norma costituzionale denunciata.
5. Con il quinto motivo, il ricorrente ha dedotto omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte d’appello ignorato “di ricostruire i fatti storici … per come dedotti dal dott. R. … ”, non offrendone “una ricostruzione accettabilmente precisa ed organica”, posto che “non si poteva guardar prima e non guardar dopo all’atto di recesso, e il fatto storico erano tutte le condotte da cui potersi o meno convincere che la mira della Banca era quella di defenestrare il Ricorrente … e che il fine reale … quello di togliersi di torno il Dott. R.”.
6. Essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono inammissibili.
7. Giova premettere, in linea di diritto, che il licenziamento individuale del dirigente d’azienda può fondarsi su ragioni oggettive concernenti esigenze di riorganizzazione aziendale, che non debbono necessariamente coincidere con l’impossibilità della continuazione del rapporto o con una situazione di crisi tale da rendere particolarmente onerosa detta continuazione, dato che il principio di correttezza e buona fede, che costituisce il parametro su cui misurare la legittimità del licenziamento, deve essere coordinato con la libertà di iniziativa economica, garantita dall’art. 41 Cost. (Cass. 8 marzo 2012, n. 3628; Cass. 20 giugno 2016, n. 12668, che nella specie ha confermato la decisione di merito, che aveva ritenuto giustificato il licenziamento del responsabile della produzione del reparto stampa, a causa della soppressione del posto, con suddivisione delle relative mansioni tra il responsabile della produzione aziendale ed i capi reparto):
essendo consentito in tutti i casi in cui sia stato adottato in funzione di una ristrutturazione aziendale dettata da scelte imprenditoriali non arbitrarie, non pretestuose e non persecutorie (Cass. 26 luglio 2006, n. 17013; Cass. 22 ottobre 2010, n. 21748).
La nozione di giustificatezza del recesso si discosta, infatti, da quella di giustificato motivo ed è ravvisabile ove sussista l’esigenza, economicamente apprezzabile in termini di risparmio, della soppressione della figura dirigenziale in attuazione di un riassetto societario e non emerga, in base ad elementi oggettivi, la natura discriminatoria o contraria a buona fede della riorganizzazione; sicché, il giudice deve limitarsi al controllo sull’effettività delle scelte imprenditoriali poste a base del licenziamento, non potendo sindacare il merito di tali scelte, garantite dal precetto di cui all’art. 41 Cost. (Cass. 5 aprile 2019, n. 9665).
Inoltre, ai fini della “giustificatezza” del licenziamento del dirigente, non è necessaria un’analitica verifica di specifiche condizioni, ma è sufficiente una valutazione globale, che escluda l’arbitrarietà del recesso, in quanto intimato con riferimento a circostanze idonee a turbare il rapporto fiduciario con il datore di lavoro, nel cui ambito rientra l’ampiezza di poteri attribuiti al dirigente (Cass. 17 marzo 2014, n. 6110; Cass. 30 dicembre 2019, n. 34736). E detta valutazione, rimessa al giudice di merito, è sindacabile, in sede di legittimità, solo per vizio riconducibile all’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. (Cass. 11 giugno 2008, n. 15496), nel testo applicabile ratione temporis.
8. In esatta applicazione dei suenunciati principi di diritto (richiamati dal quart’ultimo capoverso di p. 5 al primo di p. 6 della sentenza), la Corte territoriale ha accertato, con articolata e perspicua argomentazione: a) l’effettività delle ragioni organizzative addotte a fondamento giustificativo del licenziamento intimato (per le ragioni esposte dal terzo capoverso di p. 6 al secondo di p. 7 della sentenza e ancora dal primo all’ultimo capoverso di p. 8 della sentenza), in particolare argomentando dalle stesse deduzioni del lavoratore, analiticamente scrutinate in corretta applicazione del principio di “non contestazione”: integrato, nel rito del lavoro, dall’onere del convenuto di contestare in termini specifici, e non limitati a una generica negazione, le circostanze di fatto dedotte a fondamento della domanda, ai sensi dell’art. 416, terzo comma c.p.c. (Cass. 27 giugno 2018, n. 16970; Cass. 12 luglio 2021, n. 19834) e spettando l’apprezzamento di una condotta della parte di non contestazione dei fatti rilevanti – quale contenuto della sua posizione processuale, rientrante nel quadro dell’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza dell’atto della parte – esclusivamente al giudice del merito, nell’ambito del giudizio di fatto riservatogli (Cass. 7 febbraio 2019, n. 3680; Cass. 28 ottobre 2019, n. 27490; Cass. 12 maggio 2020, n. 8801); b) l’inesistenza di ragioni pretestuose a fondamento dello stesso (per le ragioni esposte dal secondo al penultimo capoverso di p. 9 della sentenza).
9. Sono poi inammissibili i motivi relativi ad omesso esame di un fatto decisivo, posto che, sussistendo nel caso di specie l’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348ter, quinto comma c.p.c., applicabile ratione temporis, il ricorrente non ha indicato, né tanto meno dimostrato, per evitare l’inammissibilità del motivo dedotto ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., la diversità delle eventuali ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 22 dicembre 2016, n. 26774; Cass. 6 agosto 2019, n. 20994; Cass. 13 aprile 2021, n. 9656).
10. Non si configurano, inoltre, le violazioni di legge denunciate, non implicando le censure un loro problema interpretativo, né di falsa applicazione della legge, consistente nella sussunzione della fattispecie concreta in una qualificazione giuridica che non le si addica, perché la fattispecie astratta da essa prevista non è idonea a regolarla, oppure nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che ne contraddicano la pur corretta interpretazione (Cass. 30 aprile 2018, n. 10320; Cass. 25 settembre 2019, n. 23851); trattandosi piuttosto di allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa esterna all’esatta interpretazione della norma e inerente alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass. 29 ottobre 2020, n. 23927), oggi peraltro nei rigorosi limiti del novellato art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c.
10.1. In particolare, non ricorre la violazione dell’art. 115 c.p.c., per cui occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa al di fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.; neppure, tuttavia, ricorrendo violazione di tale norma, correttamente denunciata solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutarla secondo il suo prudente apprezzamento; mentre, ove si deduca che il giudice abbia solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass. s.u. 30 settembre 2020, n. 20867; Cass. 9 giugno 2021, n. 16016). Ed è pure inammissibile il profilo di “travisamento della prova”, dedotto specificamente dal ricorrente, con la sollecitazione di una diversa valutazione, da parte di questa Corte, delle risultanze istruttorie (come detto, correttamente scrutinate dalla Corte d’appello), riservata al giudice di merito (ancora da ultimo: Cass. 13 novembre 2023, n. 31523).
11. Le censure si risolvono, conclusivamente, in una diversa interpretazione e valutazione delle risultanze processuali e ricostruzione della fattispecie operata dalla Corte territoriale, insindacabili in sede di legittimità (Cass. 7 dicembre 2017, n. 29404; Cass. s.u. 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass. 4 marzo 2021, n. 5987), esse spettando esclusivamente al giudice del merito, autore di un accertamento in fatto, argomentato in modo pertinente e adeguato a giustificare il ragionamento logico-giuridico alla base della decisione, per le ragioni dette.
12. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile, con la regolazione delle spese secondo il regime di soccombenza e il raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535)
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il lavoratore alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 10.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.