Il lavoratore ha diritto alle ferie annuali ed alla garanzia dei livelli di retribuzione durante il godimento delle stesse, posto che una diminuzione del livello retributivo potrebbe dissuaderlo dall’esercizio del diritto in questione.
Nota a Cass. (ord.) 4 gennaio 2024, n. 284
Raffaele Fabozzi
La retribuzione dovuta nel periodo di godimento delle ferie annuali, in base all’art. 7 della Direttiva 2003/88/CE (che ha codificato le prescrizioni contenute nella Direttiva 93/104/CE del Consiglio, del 23 novembre 1993, recepita con D.LGS. n. 66/2003), così come interpretata dalla Corte di Giustizia UE, “comprende qualsiasi importo pecuniario che si pone in rapporto di collegamento all’esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo status personale e professionale del lavoratore (Cass. 30/11/2021 n. 37589).
È quanto afferma la Corte di Cassazione (ord. 4 gennaio 2024, n. 284; conf. Cass. n. 36345/2023; Cass. n. 7589/2021; Cass. n. 37589/2021, cit.; Cass. n. 13425/2019, in q. sito con nota di F. DURVAL), in linea con la decisione della Corte di merito (App. Milano 25 marzo 2022) la quale aveva accertato che il lavoratore, durante il periodo di ferie, non aveva percepito compensi di natura continuativa, quali l’incentivo per attività di condotta e quello per attività di riserva “connessi ad attività ordinariamente previste dal contratto collettivo, ai sensi dell’art. 28, punto 2, lett. c) del c.c.n.l. mobilità/settore attività ferroviarie” ed aveva ravvisato l’idoneità della mancata erogazione di tali compensi ad integrare una diminuzione della retribuzione idonea a dissuadere il lavoratore dal godimento delle ferie.
Come noto, la nozione di retribuzione va interpretata alla luce delle sentenze della Corte di Giustizia UE la quale ha inteso assicurare al lavoratore una situazione retributiva sostanzialmente equiparabile a quella ordinaria erogata nei periodi di lavoro. Ciò, “sul rilievo che una diminuzione della retribuzione potrebbe essere idonea a dissuadere il lavoratore dall’esercitare il diritto alle ferie, il che sarebbe in contrasto con le prescrizioni del diritto dell’Unione. Qualsiasi incentivo o sollecitazione che risulti volto ad indurre i dipendenti a rinunciare alle ferie è infatti incompatibile con gli obiettivi del legislatore europeo, che si propone di assicurare ai lavoratori il beneficio di un riposo effettivo, anche per un’efficace tutela della loro salute e sicurezza” (in questo senso, v. CGUE 13.1.2022, C-514/20, 20.1.2009, C-350/06 e C- 520/06; 13.12.2018, C-155/10; 13.12.2018, C-385/17).
Sentenza
CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 gennaio 2024, n. 284
Lavoro – Diritto alle ferie annuali e alla garanzia dei livelli di retribuzione durante il godimento delle ferie – Computabilità di voci e indennità nella retribuzione del periodo feriale – Incentivo per attività di condotta e per l’attività di riserva – Diminuzione della retribuzione che potrebbe essere idonea a dissuadere il lavoratore dall’esercitare il diritto alle ferie – Rigetto
Rilevato che
1.con sentenza 25 marzo 2022, la Corte d’appello di Milano ha rigettato l’appello di T. s.r.l. avverso la sentenza di primo grado, di nullità, in accoglimento del ricorso dei lavoratori indicati in epigrafe con qualifica tutti di macchinisti, dell’art. 31, sesto comma CCNL mobilità e attività ferroviarie del 20 luglio 2012 e dell’art. 20, terzo comma CCA T. del 22 giugno 2012 – nella parte in cui escludono dalla retribuzione da corrispondere durante le ferie le voci incentivanti per attività di condotta, per giornate di riserva e compenso per assenza dalla residenza – e di condanna della datrice al pagamento in loro favore delle differenze retributive dal gennaio 2013 al dicembre 2018, sulla base dei conteggi esposti dalla società nella sua memoria difensiva, accettati dai lavoratori;
2. in esito all’argomentato esame della normativa interna ed eurounitaria sul diritto alle ferie annuali e della giurisprudenza della Corte di Giustizia UE sul diritto alla garanzia dei livelli di retribuzione durante il godimento delle ferie, al fine di non impedirne il legittimo godimento da parte del lavoratore, essa ha ritenuto – anche per relationem ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c. ad un recente precedente della stessa Corte in fattispecie del tutto analoga – che le suindicate indennità e compensi debbano essere inclusi, quali emolumenti relativi alle ordinarie modalità dell’attività lavorativa e correlate allo status personale e professionale del lavoratore, nella retribuzione giornaliera loro dovuta anche durante la fruizione delle ferie.
La Corte d’appello ha pure negato l’assorbimento delle indennità dalla voce “patto di competitività”, per il pagamento di tale voce in misura fissa mensile, indipendentemente dall’effettiva presenza in servizio e comunque, per distinta previsione del CCA T., delle voci di incentivo;
3. infine, essa ha ribadito l’esclusione della prescrizione degli emolumenti in questione, siccome decorrente dalla cessazione del rapporto, per tutti ancora in corso, in considerazione della perdita di stabilità del regime di tutela dell’art. 18 legge 300/1970, come novellato dalla legge 92/2012;
4. con atto notificato il 22 settembre 2022, la società ha proposto ricorso per cassazione con quattro motivi, cui i lavoratori hanno resistito con controricorso;
5. entrambe le parti hanno comunicato memoria finale.
6. il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
Considerato che
1.la ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 7 Direttiva 2003/88/CE, 10 d.lgs. 66/2003, 36 Cost., 2109 c.c., per l’erroneo presupposto, a fondamento dell’impianto argomentativo della sentenza impugnata, dell’interpretazione vincolante della Corte di Giustizia UE in ordine al concetto di “ferie retribuite” della norma della Direttiva denunciata, non automaticamente applicabile analogicamente all’art. 10 d.lgs. 66/2003, in attuazione delle diverse Direttive 93/104/CE e 2000/34/CE, né tanto meno alle altre norme interne denunciate (primo motivo);
violazione e falsa applicazione degli artt. 36 Cost., 2109 c.c., in relazione alla definizione e al concetto di “ferie retribuite” come espressi dalla Corte di Cassazione – di verifica, in ordine alla computabilità di voci e indennità nella retribuzione del periodo feriale, delle previsioni della contrattazione collettiva – cui la sentenza impugnata non si è uniformata, con la conseguente violazione e falsa applicazione dell’art. 20, terzo comma CCA T., per il riconoscimento delle voci di “incentivo per attività di condotta” e di “indennità di riserva”, non ricomprese nella sua previsione di retribuzione feriale dei dipendenti di T. (secondo motivo); violazione e falsa applicazione dell’art. 7 Direttiva 2003/88/CE, in relazione all’interpretazione fornita dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE in tema di “ferie retribuite”, avendo fatto – coerentemente con la ratio della disciplina unionale di evitare un effetto dissuasivo del loro godimento – riferimento alla nozione di non “paragonabilità”, non già di identità, bensì di insuscettibilità di un “confronto valutativo” con la retribuzione ordinaria, nel senso di evitare una retribuzione feriale irrisoria: con istanza subordinata, in caso di non condivisione di una tale interpretazione, di sospensione del giudizio per rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia della relativa interpretazione (terzo motivo);
2. essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono infondati;
3. tutte le questioni illustrate con i suesposti motivi di ricorso sono già state esaminate e ritenute non fondate da decisioni della Corte rese in controversie concernenti la stessa vicenda (Cass. nn. 18160, 19663, 19711, 19716 del 2023; vedi, altresì, in precedenza, con riguardo al personale navigante dipendente di compagnia aerea, Cass. n. 20216 del 2022).
Pertanto, in mancanza di ragioni nuove e diverse da quelle disattese nei giudizi analoghi, deve operare il principio di fedeltà ai precedenti, sul quale si fonda, per larga parte, l’assolvimento della funzione ordinamentale e, al contempo, di rilevanza costituzionale, di assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge nonché l’unità del diritto oggettivo nazionale affidata alla Corte di cassazione (vedi Cass., sez. un, 4 luglio 2003, n. 10615; 15 aprile 2003, n. 5994;). Si rinvia, di conseguenza, alla motivazione dei precedenti richiamati, di cui si espongono in sintesi i punti essenziali;
4. la nozione di retribuzione durante il periodo di godimento delle ferie è influenzata dalla interpretazione data dalla Corte di giustizia dell’Unione europea (sentenze R.S. del 2006; S.H. e altri, 20.1.2009, cause C-350/06 e C- 520/06; W. e altri, 13.12.2018, C-155/10; T.H., 13.12.2018, C-385/17) che ha inteso assicurare al lavoratore una situazione che, a livello retributivo, sia sostanzialmente equiparabile a quella ordinaria erogata nei periodi di lavoro, sul rilievo che una diminuzione della retribuzione potrebbe essere idonea a dissuadere il lavoratore dall’esercitare il diritto alle ferie, il che sarebbe in contrasto con le prescrizioni del diritto dell’Unione. Qualsiasi incentivo o sollecitazione che risulti volto ad indurre i dipendenti a rinunciare alle ferie è infatti incompatibile con gli obiettivi del legislatore europeo, che si propone di assicurare ai lavoratori il beneficio di un riposo effettivo, anche per un’efficace tutela della loro salute e sicurezza (cfr. in questo senso anche la recente C.G.U.E. 13.1.2022, C-514/20);
4.1. le sentenze della Corte di Giustizia dell’UE hanno efficacia vincolante, diretta e prevalente sull’ordinamento nazionale, così come confermato dalla Corte Costituzionale con le sentenze n. 168/1981 e n. 170/1984, ed hanno perciò “valore di ulteriore fonte del diritto comunitario, non nel senso che esse creino ex novo norme comunitarie, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia erga omnes nell’ambito della Comunità” (cfr. Cass. n. 13425 del 2019 ed ivi la richiamata Cass. n. 22577 del 2012).
Di tali principi si è fatta interprete questa Corte che in più occasioni ha ribadito che la retribuzione dovuta nel periodo di godimento delle ferie annuali, ai sensi dell’art. 7 della Direttiva 2003/88/CE (con la quale sono state codificate, per motivi di chiarezza, le prescrizioni minime concernenti anche le ferie contenute nella direttiva 93/104/CE del Consiglio, del 23 novembre 1993, cfr. considerando 1 della direttiva 2003/88/CE, e recepita anch’essa con il d.lgs. n. 66 del 2003), per come interpretata dalla Corte di Giustizia, comprende qualsiasi importo pecuniario che si pone in rapporto di collegamento all’esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo status personale e professionale del lavoratore (cfr. Cass. n. 13425 del 2019). Del pari, con riguardo all’indennità spettante in caso di mancato godimento delle ferie, questa Corte ha affermato che detta indennità deve comprendere qualsiasi importo pecuniario che si pone in rapporto di collegamento all’esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo status personale e professionale del lavoratore (cfr. Cass. n. 37589 del 2021);
4.2. a questi principi si è attenuta la Corte di merito che ha proceduto, correttamente, ad una verifica ex ante della potenzialità dissuasiva dell’eliminazione di voci economiche dalla retribuzione erogata durante le ferie al godimento delle stesse senza trascurare di considerare la pertinenza di tali compensi rispetto alle mansioni proprie della qualifica rivestita; ha poi verificato che durante il periodo di godimento delle ferie al lavoratore non erano erogati dalla società compensi (l’incentivo per attività di condotta e quello per l’attività di riserva) connessi ad attività ordinariamente previste dal contratto collettivo, ai sensi dell’art. 28 punto 2 lett. c del c.c.n.l. mobilità/settore attività ferroviarie; ha accertato la continuatività della loro erogazione e l’incidenza tutt’altro che residuale sul trattamento economico mensile;
5. ritiene allora il Collegio che l’interpretazione delle norme collettive aziendali che regolano gli istituti di cui era stata chiesta l’inclusione nella retribuzione feriale, oltre ad essere del tutto plausibile, sia in linea con la finalità della direttiva, recepita dal legislatore italiano, di assicurare un compenso che non possa costituire per il lavoratore un deterrente all’esercizio del suo diritto di fruire effettivamente del riposo annuale;
6. in ordine all’idoneità della mancata erogazione di tali compensi ad integrare una diminuzione della retribuzione idonea a dissuadere il lavoratore dal godere delle ferie, trattasi di valutazione in concreto appartenente al giudice di merito, che ha ragionevolmente dato conto delle ragioni per le quali l’ha ravvisata;
7. infine, non sussistono i presupposti per procedere alla sospensione della causa e rinviare alla Corte di Giustizia, posto che il rinvio pregiudiziale interpretativo richiesto pone una questione sulla quale la Corte di Giustizia si è più volte pronunciata, anche recentemente (cfr., da ultimo, sentenza 13.1.2022 citata; cfr. inoltre, CGUE 6.10.1982 srl C. e L. di G. spa contro Ministero della Sanità e 6.10.2021, C-561/19 C.I.M.) e che, in ogni caso, la valutazione del caso concreto – vale a dire la verifica se alcune indennità aggiuntive legate al concreto svolgimento di una determinata mansione possano o meno essere escluse dal computo della retribuzione da erogare nei giorni per le ferie annuali – è attività riservata al giudice nazionale;
8. la ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 2948 c.c., 18 legge 300/1970, come novellato dalla legge 92/2012, per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto la decorrenza della prescrizione dei crediti retributivi vantati dai lavoratori dalla cessazione del rapporto di lavoro, anziché dalla loro maturazione, nel suo corso (quarto motivo);
9. anch’esso è infondato;
10. questa Corte ha recentemente affermato – proprio in ordine alla questione della decorrenza della prescrizione dei crediti maturati nel corso del rapporto di lavoro – che, per effetto delle modifiche apportate dalla legge n. 92/2012 e dal d.lgs. 23/2015, nel rapporto di lavoro a tempo indeterminato è venuto meno uno dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, e pertanto del suo regime di stabilità; con la conseguenza della decorrenza del termine di prescrizione, a norma del combinato disposto degli artt. 2948, n. 4 e 2935 c.c., dalla cessazione del rapporto di lavoro per tutti i diritti che, come nella specie, non siano prescritti al momento di entrata in vigore della legge n. 92/2012 (Cass. 6 settembre 2022 n. 26246);
11. per le suesposte ragioni il ricorso deve essere rigettato, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza e distrazione in favore del difensore antistatario, secondo la sua richiesta e con raddoppio del contributo unificato per la ricorrente, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 10.000,00 per compensi professionali, con distrazione al difensore antistatario, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.