Al lavoratore licenziato illegittimamente in tronco, cui spetti la tutela indennitaria forte va liquidata anche l’indennità di mancato preavviso considerata la sua peculiare funzione volta a risarcire il danno derivante dalla risoluzione improvvisa del rapporto a tempo indeterminato, rispetto a quella della indennità risarcitoria prevista dal legislatore quale penale per il danno derivante dall’illegittimità del licenziamento.
Nota a Cass (ord.) 5 febbraio 2024, n. 3247
Marco Mocella
“La tutela “indennitaria risarcitoria” sancita dall’art.18, comma 51, L. n. 300/70 modificato ex lege 28/6/2012 n.92, non esclude il diritto del lavoratore a percepire anche l’indennità di preavviso in caso di licenziamento dichiarato illegittimo, non essendo venute meno anche all’esito della novella del 2012, quelle esigenze proprie dell’istituto, di tutela della parte che subisce il recesso volte a consentirle di fronteggiare la situazione di improvvisa perdita della situazione occupazionale, né autorizzando la lettera e la ratio ad essa sottesa della mentovata disposizione, la restrittiva opzione ermeneutica prospettata dalla società”.
Così si esprime la Corte di Cassazione (ord.) 5 febbraio 2024, n. 3247, la quale precisa che, nell’ipotesi di licenziamento illegittimo, ove si applichi la tutela reale, in ragione dell’efficacia ripristinatoria del contratto, l’indennità sostitutiva del preavviso risulta incompatibile con la reintegra in quanto non si ha interruzione del rapporto.
Diversamente, nel caso di licenziamento in tronco illegittimo, posto il carattere meramente risarcitorio accordato dalla tutela obbligatoria, il diritto all’indennità sostitutiva del preavviso sorge per il fatto che il rapporto è risolto. In questo caso, infatti, l’indennità (prevista dall’art. 2, L. n. 604/1966) compensa i danni derivanti dalla mancanza di giusta causa e giustificato motivo, “mentre l’indennità sostitutiva del preavviso va a compensare il fatto che il recesso, oltre che illegittimo, è stato intimato in tronco”. Di conseguenza, le due prestazioni non sono incompatibili, “mentre sarebbe incongruo sanzionare nello stesso modo due licenziamenti, entrambi privi di giustificazione, l’uno intimato con preavviso e l’altro in tronco” (così, Cass. n. 22127/2006; v. anche Cass. n. 18508/2016 e Cass. n. 23710/2015).
Peraltro, il codice civile stabilisce la regola generale che in tutte le ipotesi di recesso dal contratto a tempo indeterminato (licenziamento o dimissioni del lavoratore) si applica l’istituto del preavviso; salvo l’eccezione alla regola generale, ossia il recesso per giusta causa ex art. 2119 c.c., che sfugge alla disciplina del preavviso.
La differente natura delle due indennità in questione emerge anche dalla diversa rilevanza e dal loro differente trattamento ai fini previdenziali. Posto che l’indennità risarcitoria, non associata alla reintegra di cui all’art. 18, co. 5, Stat. lav. riformulato, assorbe anche il danno di natura previdenziale e non è assoggettata a contribuzione (v. Cass. n. 1507/2021). “Laddove, per contro, l’indennità sostituiva del preavviso è assoggettata alla contribuzione previdenziale nonostante la natura obbligatoria del preavviso” (v. Cass. n. 17606/2021 e n. 6252/2004).
Inoltre, l’indennità sostituiva del preavviso rientra nel novero di “tutto ciò” che il lavoratore “ha diritto di ricevere” e viene attratta nel rapporto assicurativo e il lavoratore ha anche diritto al computo del periodo di preavviso non lavorato ai fini del raggiungimento del requisito d’iscrizione nell’AGO per la maturazione delle prestazioni previdenziali (v. Cass. n. 17606/2021, cit.).
Sentenza
CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 05 febbraio 2024, n. 3247
Lavoro – Illegittimità licenziamento – Risoluzione rapporto – Indennità 12 mensilità – Mancato preavviso – Sanzione conservativa – Tutela indennitaria forte – Rigetto
Fatti di causa
1.- La Corte d’appello di Venezia, con la sentenza in atti, accolto in parte il reclamo proposto da M.F. S.p.A. ed accertata l’illegittimità del licenziamento intimato a G.S., dichiarava risolto il rapporto di lavoro con effetti dalla data di recesso e condannava la società a corrispondere al lavoratore una indennità commisurata a 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto mensile, pari ad € 4.036,74, nonché a corrispondere l’indennità di mancato preavviso pari ad € 22.654,65 oltre accessori e spese nei termini di cui in sentenza.
2.- A fondamento della sentenza la Corte d’appello, ha accolto il motivo di reclamo della società datrice di lavoro e, diversamente dal primo giudice, ha ritenuto sussistente il fatto addebitato e la sua rilevanza dal punto di vista disciplinare; tuttavia, alla luce dei fatti concreti, ha escluso la proporzionalità della sanzione irrogata e la riconducibilità del comportamento commesso ad una previsione disciplinare lieve in relazione alle ipotesi tipiche previste dalle parti collettive per l’applicazione di una sanzione conservativa;
andava accordata dunque al lavoratore la sola tutela indennitaria forte, tenuto conto che l’inadempienza commessa non era così grave da giustificare il recesso immediato del rapporto, né la risoluzione con preavviso per notevole inadempimento degli obblighi lavorativi.
Per quanto riguarda la tutela, la Corte d’appello ha affermato in primis che spettasse al lavoratore l’indennità legale in misura pari a 12 mensilità della retribuzione globale di fatto;
ed inoltre – per quanto ancora rileva in questa sede – ha affermato che, in conformità alla richiamata giurisprudenza di legittimità, andasse liquidata anche l’indennità di mancato preavviso considerata la sua peculiare funzione volta a risarcire il danno derivante dalla risoluzione improvvisa del rapporto a tempo indeterminato, rispetto a quella della indennità risarcitoria prevista dal legislatore quale penale per il danno derivante dall’illegittimità del licenziamento.
3.- Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione A.I. S.p.A. (già M.F. S.p.A in liquidazione) con un motivo di ricorso a cui ha resistito il lavoratore, le parti hanno depositato memorie. Il collegio ha riservato la motivazione all’esito della camera di consiglio.
Ragioni della decisione
1.- Con l’unico motivo di ricorso si deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 18, comma 5 legge 20 maggio 1970 n. 300 in relazione all’articolo 360 c.p.c. numero 3 avendo la Corte d’appello errato nell’interpretazione e applicazione del quinto comma dell’articolo 18 cit. come riformulato dalla legge n. 92 del 2012 per aver riconosciuto il diritto a percepire sia l’indennità risarcitoria, sia l’indennità sostitutiva del preavviso anche ove il licenziamento fosse stato irrogato per giusta causa. Secondo la ricorrente siffatta interpretazione, che ricalca un orientamento di codesta suprema Corte, non sarebbe supportata da alcuna valida argomentazione, finirebbe inevitabilmente col porsi in frontale ed insanabile contrasto con la lettera del testo normativo ed ignorerebbe altresì totalmente l’evolversi della disciplina giuridica dell’atto datoriale di recesso dal rapporto di lavoro subordinato.
Secondo la ricorrente il testo della norma sarebbe infatti assolutamente chiaro là dove prevede che il giudice dichiari risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e riconosca una indennità risarcitoria onnicomprensiva; avendo l’indennità risarcitoria in questione carattere omnicomprensivo non può quindi aggiungersi a, o essere integrata da, qualsivoglia ulteriore erogazione a carico del datore di lavoro recedente; anche perché si sarebbe al cospetto di licenziamenti erogati sulla base di fatti sussistenti ma non ritenuti tali da poter configurare l’ipotesi della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo.
Non sorgendo particolari dubbi sul contenuto della disposizione normativa, ad avvio della ricorrente, non sarebbe consentito al giudice di ricorrere a canoni ermeneutici tipicamente sussidiari ed in particolare all’interpretazione teleologica che si fonda sulla funzione e sullo scopo della norma.
2.- Il motivo di ricorso deve essere disatteso, dovendo darsi continuità e consolidare il motivato indirizzo contrario, il quale si sottrae alle critiche formulate nel giudizio dalla difesa della ricorrente.
3.- Come già osservato da Cassazione n. 18508/2016 – poi ripresa dalla più recente Cass. n. 14192/2018 – salvo che ricorra una giusta causa, nel rapporto di lavoro a tempo indeterminato il recesso deve essere comunicato dal recedente rispettando il termine di preavviso fissato dalla legge, dai contratti collettivi o in difetto, dagli usi o secondo equità (art.2118 c.c.). Scopo del preavviso è quello di preavvertire tempestivamente il lavoratore dell’estinzione prossima del rapporto, onde consentirgli di adoperarsi nella ricerca di una nuova occupazione (vedi ex plurimis Cass. 29/3/2010 n.7531).
Come bene evidenziato in dottrina, l’esigenza che soddisfa l’istituto del preavviso è che la parte che subisce il recesso non si trovi all’improvviso di fronte alla risoluzione del contratto, e, quindi, in caso di dimissioni, il datore di lavoro abbia il tempo di reperire un nuovo lavoratore e, in caso di licenziamento, il lavoratore non sia privato improvvisamente dei beni della vita che dal posto di lavoro derivano ed abbia tempo di reinserirsi in un rinnovato contesto lavorativo.
In tal senso la giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di rimarcare come nella disciplina posta dall’art.2118 c.c. il preavviso abbia la funzione economica di attenuare le conseguenze della interruzione del rapporto per chi subisce il recesso.
Alla medesima funzione va ricondotta l’indennità sostitutiva prevista dalla stessa norma per il caso di violazione del preavviso, in cui tale erogazione appare riferibile non al risarcimento di un danno in senso giuridico (che presuppone un illecito), ma ad un danno in senso economico (vedi in motivazione, Cass. 28/3/2011 n.7033).
4.- La menzionata sentenza n. 18508/2016 ricorda inoltre che in ulteriori arresti di questa Corte è stato ribadito – in relazione a fattispecie di licenziamento illegittimo per carenza di giusta causa e con applicazione della mera tutela indennitaria secondo il regime anteriore alla disciplina introdotta dalla legge n.92 del 2012 – che il diritto all’indennità sostitutiva del preavviso va a compensare il fatto che il recesso, oltre che illegittimo, è stato intimato in tronco, di guisa che, stante la diversità di funzioni, esso non è incompatibile con la prestazione che risarcisce i danni derivanti dalla mancanza di giusta causa o giustificato motivo (vedi ex plurimis, Cass. 19/11/2015 n.23710, Cass. 16/10/2006 n.22127).
5.- Può quindi affermarsi, in coerenza con gli enunciati principi, che la tutela “indennitaria risarcitoria” sancita dall’art.18 comma 51.300/70 modificato ex lege 28/6/2012 n.92, non escluda il diritto del lavoratore a percepire anche l’indennità di preavviso in caso di licenziamento dichiarato illegittimo, non essendo venute meno anche all’esito della novella del 2012, quelle esigenze proprie dell’istituto, di tutela della parte che subisce il recesso volte a consentirle di fronteggiare la situazione di improvvisa perdita della situazione occupazionale, né autorizzando la lettera e la ratio ad essa sottesa della mentovata disposizione, la restrittiva opzione ermeneutica prospettata dalla società.
6.- A fronte di tali puntuali e motivate argomentazioni, riprese dalla citata sentenza n. 18508/2016, prive di pregio si rivelano invece le critiche mosse contro di esse nel motivo di ricorso che si decide.
Anzitutto là dove si sostiene che la lettera della normativa in discorso sarebbe preclusiva di ogni ulteriore interpretazione (letterale, logica, teleologica e costituzionale) differente da quella patrocinata dalla stessa difesa ricorrente.
Sul punto va premesso, in generale, che in una norma possono convivere, già sul piano letterale, tante differenti disposizioni quante l’interprete sia in grado di enucleare nel rispetto del valore semantico della norma.
Con la recente sentenza n. 38596 del 6.12.2021 le Sezioni unite civili di questa Suprema Corte di Cassazione hanno ribadito che “l’attività interpretativa giudiziale è segnata, anzitutto, dal limite di tolleranza ed elasticità dell’enunciato, ossia del significante testuale della disposizione che ha posto, previamente, il legislatore e dai cui plurimi significati possibili (e non oltre) muove necessariamente la dinamica dell’inveramento della norma nella concretezza dell’ordinamento ad opera della giurisprudenza stessa” (sul punto si richiama Cass. sez. un. 11 luglio 2011, n. 15144, nonché Cass. 22 giugno 2018, n. 16957, Cass. 31 ottobre 2018, n. 27755 e Cass. 28 gennaio 2021, n. 2061).
La stessa sentenza chiarisce quindi che “quando una norma, o un sistema di norme, si prestino a diverse interpretazioni, tutte plausibili, dovere primario dell’interprete, e specie del giudice, è di perseguire l’interpretazione più corretta e non una qualsiasi di quelle che il testo consente”.
Deve pertanto escludersi che il giudice possa ritenersi vincolato ad una unica pregiudiziale ed astratta interpretazione letterale della norma senza dover nel contempo ricercare quale tra significati resi possibili dalla lettera della norma risponda, nel modo più congruo e coerente possibile, alla ratio legis ed alla coerenza del sistema in cui la norma va integrata.
Anche sul piano costituzionale, va osservato come la stessa Corte Costituzionale più volte si sia limitata a restituire gli atti ai giudici a quibus invitandoli a praticare una corretta interpretazione sostanziale e costituzionale della legge ed a guardare alla ratio legis (Corte Cost. sentenza n.18/1995 e sentenza 526/1990), andando oltre le strettoie di quella letterale (Corte Cost. sentenza n.1/2013).
In secondo luogo, va pure ricordato che la pretesa interpretazione letterale impone comunque di identificare previamente l’oggetto e la funzione della stessa disposizione interpretata, ed il suo rapporto con le altre disposizioni che devono essere inevitabilmente abbracciate nell’interpretazione di ogni norma.
Ad esempio, stando al caso in esame, è tutt’altro che semplice o risolto dalla lettera della legge il tema dell’identificazione dell’ambito e della natura della indennità omnicomprensiva in questione, di cui parla l’art.18, V comma della l. 300/70 novellato dalla legge 92/2012.
7.- Sulla scorta di tali premesse, alla tutela del preavviso di licenziamento si può dunque pervenire anche nell’ambito della disciplina dell’art. 18, V comma, seguendo i criteri interpretativi positivizzati nel nostro ordinamento (dall’art. 12 preleggi c.c.) senza violare alcun canone nè, tantomeno, quello della interpretazione letterale; distinguendo appunto tra la tutela contro il licenziamento illegittimo delineata in tale norma, e la tutela per l’intimazione del recesso senza il preavviso, di cui la norma in oggetto non si occupa.
8.- Come già visto, un’interpretazione di questo tipo è proprio quella adottata più volte dalla stessa Corte di cassazione nell’area della tutela obbligatoria e che deve ritenersi oramai consolidata al termine di un’evoluzione interpretativa di consapevole e meditata nomofilachia, con cui è stato pure superato l’orientamento in origine contrario.
Come si evince dalla sentenza n. 22127 del 16/10/2006 “In caso di licenziamento illegittimo, mentre in relazione alla tutela reale – in forza dell’efficacia ripristinatoria del contratto attribuita dalla legge – l’indennità sostitutiva del preavviso è incompatibile con la reintegra, perché non si ha interruzione del rapporto, viceversa, stante il carattere meramente risarcitorio accordato dalla tutela obbligatoria, il diritto all’indennità sostitutiva del preavviso sorge per il fatto che il rapporto è risolto. In quest’ultimo caso, l’indennità prevista dall’art. 2 della legge n. 604 del 1966 va a compensare i danni derivanti dalla mancanza di giusta causa e giustificato motivo, mentre l’indennità sostitutiva del preavviso va a compensare il fatto che il recesso, oltre che illegittimo, è stato intimato in tronco. Conseguentemente, non vi è incompatibilità tra le due prestazioni, mentre sarebbe incongruo sanzionare nello stesso modo due licenziamenti, entrambi privi di giustificazione, l’uno intimato con preavviso e l’altro in tronco”.
In tale sentenza la Corte ha pure rilevato che “L’orientamento espresso con la sentenza n. 1404 dell’8 febbraio 2000 è stato convincentemente superato dalla Corte con le decisioni n. 13380 del 16 marzo/8 giugno 2006 e n. 13732 del 10 aprile/14 giugno 2006. È stato rilevato che “in caso di licenziamento illegittimo, mentre in relazione alla tutela reale – in forza dell’efficacia ripristinatoria del contratto attribuita dalla legge – l’indennità sostitutiva del preavviso è incompatibile con la reintegra, perché non si ha interruzione del rapporto, viceversa, stante il carattere meramente risarcitorio accordato dalla tutela obbligatoria, il diritto alla indennità sostitutiva del preavviso sorge per il fatto che il rapporto è risolto. In quest’ultimo caso, l’indennità prevista dalla L. n. 604 del 1966, art. 2 va a compensare i danni derivanti dalla mancanza di giusta causa e giustificato motivo, mentre l’indennità sostitutiva del preavviso va a compensare il fatto che il recesso, oltre che illegittimo, è stato intimato in tronco. Conseguentemente, non vi è incompatibilità tra le due prestazioni, mentre sarebbe incongruo sanzionare nello stesso modo due licenziamenti, entrambi privi di giustificazione, l’uno intimato con preavviso e l’altro in tronco.
Il Collegio rileva la correttezza del principio sopra riportato, mentre la sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione degli artt. 2118 e 2119 c.c., limitandosi a richiamare il precedente di questa Corte n. 1404 del 2000”.
9.- Tale orientamento è stato poi ribadito da Cass. n. 23710 del 19/11/2015 che ha osservato: “In materia di licenziamento illegittimo, l’indennità sostitutiva del preavviso è incompatibile con la reintegra ove operi la tutela cd. reale non essendovi interruzione del rapporto, mentre, ove sia applicata la sola tutela obbligatoria, il diritto all’indennità sostitutiva del preavviso sorge per il fatto che il rapporto è risolto ed è diretto – a differenza dell’indennità prevista dall’art. 2 della l. n. 604 del 1966 che risarcisce i danni derivanti dalla mancanza di giusta causa o giustificato motivo – a compensare l’avvenuta intimazione in tronco del recesso”.
10.- Esso è stato, infine, richiamato da Cass. n. 18508/2016, che, come si è visto, ha raccordato la medesima tesi – in merito alla tutela del preavviso – alla disciplina dell’art.18, V comma novellato dalla legge 92/2012.
11.- Anche nell’area della tutela obbligatoria – in cui rientravano i casi di cui sopra – si trattava infatti di recessi illegittimi ma nondimeno idonei ad estinguere il rapporto di lavoro. Ed in mancanza di giustificabili ragioni per una differente soluzione, la stessa tesi si è quindi imposta – secondo l’orientamento citato – nell’area dal V comma dell’art.18 novellato, in quanto anche in tale norma l’atto di licenziamento, ancorchè illegittimo, è nondimeno efficace ovvero idoneo ad estinguere il rapporto di lavoro mentre la tutela del lavoratore è stata limitata alla corresponsione di una mera indennità.
12.- Tale indennità omnicomprensiva opera però a fronte dell’illegittimità del licenziamento e non può assorbire il diritto del lavoratore a ricevere il preavviso di recesso o in mancanza l’indennità sostitutiva del preavviso; che rimane fermo a prescindere da come sia stato intimato il licenziamento dichiarato illegittimo. Ed infatti il codice civile stabilisce la regola generale che in tutti i casi di recesso dal contratto a tempo indeterminato (licenziamento o dimissioni del lavoratore) debba trovare applicazione l’istituto del preavviso; mentre costituisce una eccezione alla regola generale, sfuggendo alla disciplina del preavviso, il recesso per giusta causa ex art. 2119 c.c.
13.- Talché risulterebbe persino paradossale e foriero di un possibile contrasto col principio di uguaglianza di cui all’art.3 Cost., se la tutela del preavviso di licenziamento fosse lasciata alla mera discrezionalità del datore di lavoro, arbitro di sottrarla a sua scelta solo che ritenga di intimare il licenziamento con preavviso, in un caso sì e nell’altro no.
14.- Né a fronte di possibili casi simili quanto all’ammontare dell’indennità, e contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, potrebbe rivelarsi rimedio congruo la possibilità per il giudice di modulare il risarcimento da 12 a 36 mensilità nei diversi casi, tenendo conto anche dell’ammontare dell’indennità di preavviso; con l’illogica soluzione per cui il giudice sarebbe appunto tenuto a diminuire il risarcimento spettante ad un lavoratore solo perché ha avuto riconosciuto il preavviso che gli è dovuto per legge; violando pure i criteri legali di determinazione delle indennità risarcitorie valevoli nella materia dei licenziamenti (numero dei dipendenti occupati, dimensioni dell’attività economica, comportamento e condizioni delle parti, anzianità di servizio) i quali non identificano nel preavviso un criterio per la modulazione delle medesime indennità, per come si evince pure dalla nota sentenza n. 194/2018 della Corte Cost. che li ha precisamente individuati. Come osserva la stessa Consulta nella sentenza citata invece: “Nel rispetto dei limiti, minimo e massimo, dell’intervallo in cui va quantificata l’indennità spettante al lavoratore illegittimamente licenziato, il giudice terrà conto innanzi tutto dell’anzianità di servizio – criterio che è prescritto dall’art. 1, comma 7, lett. c) della legge n. 184 del 2013 e che ispira il disegno riformatore del d.lgs. n.23 del 2015 – nonché degli altri criteri già prima richiamati, desumibili in chiave sistematica dalla evoluzione della disciplina limitativa dei licenziamenti (numero dei dipendenti occupati, dimensioni dell’attività economica, comportamento e condizioni delle parti).
15.- Inoltre, neppure può rilevare in contrario il termine omnicomprensiva che compare nella norma dell’art.18, V comma; avendo questa Corte già deciso non solo che, rispetto all’indennità di preavviso, si discuta di indennizzi aventi funzioni diverse, ma anche che nell’ambito della stessa indennità omnicomprensiva di cui all’art. 18,V comma non si possa escludere, sullo stesso piano risarcitorio, che sia comunque dovuto l’ulteriore danno per licenziamento ingiurioso o per fatto costituente reato (sentenza n. 1507 del 25/01/2021). Non potendo quindi affermarsi che neppure tutte le conseguenze dannose dello stesso atto di recesso possano essere comunque regolate con il pagamento dell’indennità in discorso, quando venga in rilievo un illecito che rilevi autonomamente rispetto all’atto negoziale.
16.- D’altra parte, quanto alla differente natura delle due indennità in questione, costituisce ulteriore parametro di riscontro anche la loro diversa rilevanza ed il loro differente trattamento ai fini previdenziali. Posto che come affermato (dalla citata sentenza n. 1507 del 25/01/2021) l’indennità risarcitoria non associata alla reintegra di cui all’art. 18, comma 5, st. lav. riformulato, assorbe anche il danno di natura previdenziale e non è assoggettata a contribuzione.
Laddove, per contro, l’indennità sostituiva del preavviso è assoggettata alla contribuzione previdenziale nonostante la natura obbligatoria del preavviso (Cass. Sentenza n. 17606 del 21/06/2021; n. 6252 del 29/03/2004; Cass. n. 6288 del 01/12/1984). Inoltre, non solo l’indennità sostituiva del preavviso rientra nel novero di “tutto ciò che ha diritto di ricevere” il lavoratore e viene attratta nel rapporto assicurativo; ma va anche considerato che il lavoratore ha pure diritto di vedersi computare il periodo di preavviso non lavorato ai fini del raggiungimento del requisito d’iscrizione nell’AGO per la maturazione delle prestazioni previdenziali (ad es. contro la disoccupazione involontaria per la corresponsione dell’indennità ordinaria di disoccupazione; sentenza n. 17606 del 21/06/2021).
17.- Pertanto, alla stregua delle premesse il ricorso de quo va respinto.
Le spese processuali seguono il regime della soccombenza, nella misura liquidata in dispositivo in favore dei controricorrenti, con distrazione in favore del procuratore antistatario; segue altresì il raddoppio del contributo unificato ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 4500,00 per compensi e 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge; con distrazione in favore dell’Avv. V.S. antistatario. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso articolo 13 (ndr comma 1 -bis dello stesso articolo 13), se dovuto.