Svalutare automaticamente il lavoro a tempo parziale ai fini delle progressioni economiche orizzontali configura discriminazione a danno delle donne.
Nota a Cass. (ord.) 19 febbraio 2024, n. 4313
Alfonso Tagliamonte
L’automatismo tra riduzione dell’orario di lavoro e riduzione dell’anzianità di servizio in merito alle progressioni economiche configura una discriminazione del lavoratore a tempo parziale e di genere.
Lo stabilisce la Corte di Cassazione (ord.) 19 febbraio 2024, n. 4313, confermando la decisione dei giudici territoriali che avevano preso le distanze dall’assunto secondo il quale, a parità di anzianità lavorativa, il lavoratore full-time acquisisce più esperienza di chi è impegnato parzialmente. Nella fattispecie, la ricorrente era, all’epoca della selezione interna, impiegata a tempo parziale e, nella valutazione dell’anzianità di servizio ai fini della progressione economica, le era stato attribuito un punteggio ridotto in proporzione al minor numero di ore di lavoro svolte rispetto ai colleghi con pari anzianità, ma impiegati a tempo pieno. Con il risultato che il suo punteggio finale risultava inferiore a quello del collega controinteressato, mentre sarebbe stato superiore qualora l’anzianità di servizio della lavoratrice a tempo parziale fosse stata valutata per intero, senza tenere conto della ridotta presenza oraria sul luogo di lavoro.
Ciò, in quanto la preparazione dipende da più variabili e, tra queste, la quantità di ore non è determinante. Occorre infatti “verificare se, in base alle circostanze del caso concreto (tipo di mansioni svolte, modalità di svolgimento, ecc.), il rapporto proporzionale tra anzianità riconosciuta e ore di presenza al lavoro abbia un fondamento razionale oppure non rappresenti, piuttosto, una discriminazione in danno del lavoratore a tempo parziale. E l’onere della prova dei presupposti di fatto che determinano la razionalità, in tale contesto, del riproporzionamento è a carico del datore di lavoro” (v. Cass. n. 10328/2023).
Per tale motivo, i giudici hanno affermato che, stante la preponderante presenza femminile (tra i dipendenti dell’Agenzia delle Entrate) che chiedono di usufruire del part-time, svalutare questa tipologia contrattuale, ai fini delle progressioni economiche orizzontali, significherebbe penalizzare le donne rispetto agli uomini nel miglioramento del trattamento economico. Tale discriminazione nella progressione economica dei lavoratori part-time andrebbe peraltro a penalizzare indirettamente proprio quelle donne che già subiscono un condizionamento nell’accesso al mondo del lavoro, in quanto indotte ad optare per un lavoro a tempo parziale per ragioni di ordine sociale, quali il prevalente impegno in ambito familiare e assistenziale.