La consegna di libretti di assegni senza liquidità e la mancanza del questionario antiriclaggio giustificano il licenziamento in tronco.
Nota a Cass. (ord.) 5 febbraio 2024, n. 3232
Claudia Giagheddu Saitta
La gravità della condotta e la conseguente perdita di fiducia nei confronti del lavoratore anche in ragione della sua posizione apicale e quindi della maggiore responsabilità ed intensità del vincolo fiduciario (Cass. ord. n. 10775/2020,) costituisce la base del licenziamento in tronco (ex art. 2119 c.c.) di un dipendente di una banca di credito cooperativo.
Lo afferma la Corte di Cassazione (ord. 5 febbraio 2024, n. 3232; conf. ad App. Venezia, n. 50/2020) in una fattispecie in cui il dipendente di un istituto di credito aveva aperto un conto corrente senza acquisire alcuna informazione sui soggetti interessati, in violazione delle disposizioni che disciplinano l’attività bancaria, non aveva compilato correttamente il questionario antiriciclaggio ed aveva consegnato un libretto di assegni senza liquidità. Inoltre, a seguito del trasferimento del prestatore ad altra filiale, “inspiegabilmente il rapporto con la società veniva trasferito presso la stessa filiale” ed il rapporto continuava ad essere esclusivamente gestito dal prestatore medesimo. Ancora, nonostante il conto presentasse un saldo sostanzialmente pari a zero era stato consegnato al cliente un secondo libretto di assegni e l’ufficio legale interno aveva informato la filiale e il dipendente della segnalazione con cui sostanzialmente American Express comunicava che la società in questione non aveva provveduto al saldo di quanto sborsato mediante utilizzo della carta di credito.
Sentenza
La Corte d’appello di Venezia, con la sentenza in atti, in parziale accoglimento del reclamo ed in riforma della sentenza impugnata, ha condannato la Banca A Credito Cooperativo società cooperativa al pagamento dell’importo di Euro 2.593,89 oltre accessori a Be.Lu. ed ha rigettato per il resto il reclamo proposto confermando la sentenza impugnata in punto di legittimità del licenziamento intimato al Be.Lu. per una serie di addebiti disciplinari relativi alla apertura ed alla gestione di un conto corrente nei confronti di Ma. DI. PA. Srl. così come formulati con la lettera di contestazione (nn. 1-9); e con i quali si addebitava, tra l’altro, al ricorrente che presso la filiale di V dove era preposto veniva aperto un conto corrente intestato alla Ma. DI. PA. Srl senza acquisire alcuna informazione sui soggetti interessati (Pa. e Ci.Bi.), in violazione delle disposizioni che disciplinano l’attività bancaria; che era stato consegnato un libretto di assegni senza liquidità; che non fosse stato correttamente compilato il questionario antiriciclaggio; che a seguito del trasferimento del Be.Lu. alla filiale di B inspiegabilmente il rapporto con la società Ma. DI. PA. Srl veniva trasferito presso la stessa filiale ed il rapporto continuava ad essere esclusivamente gestito dal Be.Lu.; che nonostante il conto presentasse un saldo sostanzialmente pari a zero era stato consegnato al cliente un secondo libretto di assegni; che l’ufficio legale interno in data 10 gennaio 2017 aveva comunicato alla filiale di B ed al ricorrente personalmente la segnalazione CAI CARTER con cui sostanzialmente American Express comunicava che la società (…) non avesse provveduto al saldo di quanto sborsato mediante utilizzo della carta di credito.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione Be.Lu. con due motivi ai quali ha resistito la Banca con controricorso. Le parti hanno depositato memorie; il collegio ha riservato la motivazione all’esito della camera di consiglio.
1.- Col primo motivo di ricorso si deduce il travisamento della prova in relazione all’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. in quanto la motivazione della impugnata sentenza sarebbe, a dire del ricorrente, costellata da un considerevole numero di elementi probatori travisati che anche complessivamente considerati sono stati decisivi per il rigetto dell’appello e la conferma della legittimità del licenziamento del lavoratore. In particolare i dati probatori travisati dalla Corte di merito sarebbero decisivi, in quanto emerge che, in conseguenza di tali clamorose sviste, l’impugnata sentenza ha errato: – nell’affermare che il Be.Lu. avrebbe confermato nella denuncia ai Carabinieri e nelle proprie giustificazioni in sede disciplinare di aver avuto contezza dell’insoluto a partire dalle 10.30 (l’unico dato oggettivo, costituito dal file log, indica un orario ben successivo); – nell’affermare che il ricorrente non avrebbe mai contestato nella loro materialità gli addebiti mossi dalla banca; – nell’affermare che il 27.06.2020 il direttore della filiale aveva dato corso all’apertura del conto corrente a nome del sig. Ci.Bi, non essendovi alcuna prova del contatto diretto tra il Ci.Bi. e il Be.Lu.; – nell’affermare che non vi sarebbe stata alcuna verifica riguardo al legale rappresentante della società Ma.Di.Pa.; – nell’affermare che i controlli Scipafi e World Compliance avrebbero dovuto essere obbligatoriamente eseguiti; – nell’affermare che la valutazione del rischio gravasse sul direttore di filiale e non sull’Ufficio Sistemi di Pagamento; – nell’affermare che il Be.Lu. era stato messo al corrente dall’Ufficio Sistemi di Pagamento sui rischi cui la Banca poteva incorrere con l’utilizzo degli SDD B2B.
Si tratta, ad avviso del ricorrente, di travisamenti delle risultanze documentali che ricadono sulle principali contestazioni poste dalla banca a fondamento del licenziamento e che, se correttamente valutate, avrebbero comportato un differente esito processuale, considerato che le altre contestazioni – relative tutt’al più a mere violazioni formali – non sarebbero state idonee a sorreggere il provvedimento disciplinare più drastico.
1.1.- Il motivo di ricorso in oggetto è inammissibile atteso che deduce il vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. in una ipotesi preclusa per la ricorrenza di una cd. “doppia conforme” (cfr. art. 348 ter, ultimo comma, c.p.c., in seguito art. 360, comma 4, c.p.c., per le modifiche introdotte dall’art. 3, commi 26 e 27, d. lgs. n. 149 del 2022), senza indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (v. Cass. n. 26774 del 2016; conf. Cass. n. 20944 del 2019).
1.2. Inoltre il dedotto vizio mira in realtà ad una nuova e generale rivalutazione delle prove ed a sostituire, alla decisione ampiamente motivata della quaestio facti, effettuata dalla Corte di merito, una nuova valutazione da parte di questa Corte che non è deputata a questo compito dall’ordinamento.
Ed invero, secondo la consolidata giurisprudenza (Sez. 3 sentenza n. 13918 del 03/05/2022), nel giudizio di cassazione, la parte non può dolersi del modo in cui il giudice di merito ha compiuto le proprie valutazioni discrezionali, in ordine ai diversi significati in astratto ricavabili dai mezzi di prova acquisiti al giudizio, mentre l’illegittima utilizzazione di prove inesistenti, perché riferite a fonti mai dedotte in giudizio oppure a informazioni probatorie prive di alcuna possibile o immaginabile connessione con le fonti appartenenti al processo, è sindacabile ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., in quanto integrante violazione dell’art. 115 c.p.c.,
1.3. Inoltre, come è noto, il giudice del merito non è tenuto a prendere in esame tutte le risultanze processuali prospettate dalle parti, essendo sufficiente che egli abbia indicato gli elementi posti a fondamento della statuizione adottata. In tal senso, la selezione degli elementi probatori e la valutazione di essi rientrano nella sfera di discrezionalità del giudice di merito il quale non è tenuto a confutare dettagliatamente le singole argomentazioni svolte dalle parti su ciascuna delle risultanze probatorie – sempreché la o le risultanza/e non considerata/e partitamente non sia/siano tale/i da condurre ad una diversa decisione – dovendo solo fornire un’adeguata motivazione sulla base degli elementi ritenuti più attendibili e pertinenti (Cass. n. 16467/2017; Cass. n. 12751/2001; Cass. n. 5045/1999) e, nel vigore del novellato n. 5 dell’art. 360 c.p.c., una motivazione che sia rispettosa del cd. “minimo costituzionale” (cfr. Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014); trattandosi tuttavia di un tipo di sindacato che nel caso in esame, per quanto già detto, è precluso per l’esistenza di un caso di doppia conforme.
1.4. Risulta in ogni caso che la Corte territoriale, ha adeguatamente e diffusamente motivato in ordine alle ragioni per cui il licenziamento del ricorrente è stato ritenuto legittimo, essendo stati considerati sussistenti dai giudici di merito i vari addebiti a lui mossi dalla Banca (nn. 1-9) per come partitamente considerati nella motivazione della impugnata sentenza, anche in rapporto alla disposizione collettiva invocata dal reclamante che all’art. 44 prevede il licenziamento in ipotesi di “giusta causa”.
1.5. La sentenza impugnata ha inoltre correttamente motivato in ordine alla gravità delle condotte poste in essere dal ricorrente, che era la figura apicale della filiale e che, come tale, era tenuto a conoscere la normativa applicabile, sia interna che esterna, relativa alle operazioni attuate.
2. Con il secondo motivo si deduce il vizio di motivazione apparente ex art 360 n. 4 c.p.c. in relazione alla ritenuta proporzionalità della sanzione applicata e l’omesso esame di fatti decisivi ex art. 360 n. 5 c.p.c., perché l’impugnata sentenza si sarebbe pronunciata in maniera del tutto apparente in merito alle doglianze del reclamante relative all’omesso giudizio di “proporzionalità” tra sanzione e gravità del comportamento addebitato (motivi n. 1 del reclamo ex art. 1 co. 58 L. 92/2012, pag. 15 e ss., e n. 3, pag. 69 e ss.)
2.1. Il motivo è infondato. Secondo la giurisprudenza consolidata di legittimità il vizio di motivazione apparente esiste solo quando (ordinanza nn. 13248/2020, 6758/2022) la motivazione, pur se graficamente esistente ed, eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regola la fattispecie dedotta in giudizio, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 comma 6 Cost. Nel caso in esame, come già osservato, la Corte ha riscontrato, in vari punti della sentenza, la gravità delle condotte commesse dal Be.Lu. anche in relazione alla disciplina collettiva e ne ha quindi tratto, con coerenza , la logica conclusione che fosse integrata la “giusta causa” in conformità all’art. 2119 c.c. ed alla sua consolidata applicazione ad opera di questa Corte di legittimità, anche in ragione della posizione apicale del lavoratore e quindi della maggiore responsabilità ed intensità del vincolo fiduciario (Cass. Ordinanza n. 10775 del 05/06/2020).
Ne risulta quindi una disamina argomentativa chiara ed idonea a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento (Cass. n. 6758/2022).
3.- Pertanto, sulla scorta delle premesse il ricorso de quo deve essere respinto.
Le spese processuali seguono il regime della soccombenza, nella misura liquidata in dispositivo in favore della parte controricorrente; segue altresì il raddoppio del contributo unificato ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
4.- In considerazione della natura dei fatti e delle questioni sollevate, non sussistono invece i presupposti per la condanna del ricorrente per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c. invocato dalla controricorrente.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 5.500,00 per compensi Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un importo pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.