Ai fini del licenziamento in tronco è sufficiente il danno potenziale.
Nota a Cass. 4 marzo 2024, n. 5677
Fabio Iacobone
Va qualificata in termini di gravità ex art. 2119 c.c. la condotta del lavoratore che arrechi un vulnus alle obbligazioni che scandiscono la prestazione lavorativa, compromettendo altresì il particolare affidamento che l’utenza ripone in ordine alla corretta esecuzione del servizio relativo alla gestione dei rapporti finanziari.
In particolare, in base alla normativa contrattuale di settore, il pregiudizio all’azienda che giustifica il licenziamento: a) può essere anche potenziale ed eventuale; b) comprende non solo il danno patrimoniale, ma anche l’imminente pericolo per l’interesse dei soggetti coinvolti.
Lo afferma la Corte di Cassazione (4 marzo 2024, n. 5677; v. anche Cass. n. 30461 del 2021 e Cass. n. 14373 del 2020 ) in relazione al licenziamento per giusta causa di un dipendente di Poste italiane addetto al servizio di sportello che aveva ripetutamente violato la procedura aziendale volta ad assicurare la trasparenza nell’effettuazione di operazioni finanziarie in merito alla negoziazione di assegni provenienti da compagnie assicurative. Egli aveva altresì compiuto una serie di gravi irregolarità schematiche e reiterate, “consistenti nella mancata attivazione del “gestore code” (algoritmo che gestisce i flussi dei clienti, disatteso dal lavoratore solamente a favore di alcuni clienti chiamati direttamente allo sportello) e nell’apertura di un libretto di risparmio per riscuotere un unico assegno munito di sbarramento generale (che richiede particolari verifiche preliminari al fine di essere incassato, verifiche mai attuate dall’A.A.)”.
Il comportamento del prestatore è tale da giustificare il licenziamento anche sulla base della “scala valoriale” enunciata dalla contrattazione collettiva di settore che, al co. 6, lett. c) dell’art.54 CCNL 30.11.2017, “contempla la sanzione del licenziamento senza preavviso per le ipotesi di violazione dolose di leggi o regolamenti o dei doveri d’ufficio che possano arrecare o abbiano arrecato forte pregiudizio alla società o a terzi, nonché alla lett. k), fatti e atti dolosi, anche nei confronti di terzi, compiuti in connessione con il rapporto di lavoro, di gravità tali da non consentire la prosecuzione del rapporto”.
Nello specifico, la reiterazione, in un ristretto arco temporale, delle suddette violazioni procedurali aveva evidenziato la particolare gravità della condotta inadempiente tale da integrare la fattispecie di cui alla lett. k), art. 54, CCNL applicato; nonché il potenziale pregiudizio e il discredito all’immagine per la società (v. lett. c), art. 54, CCNL).
Sentenza
CORTE DI CASSAZIONE 4 MARZO 2024, N. 5677
Svolgimento del processo
1.Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Napoli, in riforma della sentenza del Tribunale di Torre Annunziata (e in accoglimento del ricorso incidentale di Poste Italiane Spa), ha dichiarato legittimo il licenziamento intimato dal datore di lavoro in data 25.9.2018 a A.A. ai sensi dell’art.54, comma 6 lett. c) e k) CCNL 30.11.2017 per violazioni dolose di leggi o regolamenti o dei doveri d’ufficio che possano arrecare o abbiano arrecato forte pregiudizio alla società o a terzi, e per fatti o atti dolosi anche nei confronti dei terzi, compiuti in connessione con il rapporto di lavoro, di gravità tale da non consentirne la prosecuzione.
2. La Corte territoriale, ha rilevato che, all’esito di un’ampia ricognizione del quadro probatorio acquisito, era emersa l’evidenza del compimento da parte del dipendente, di 4 operazioni sospette, tutte concernenti la negoziazione di assegni provenienti da compagnie assicurative per risarcimenti danni da infortunistica stradale, e tutte connotate da una serie di gravi irregolarità schematiche e reiterate, consistenti nella mancata attivazione del “gestore code” (algoritmo che gestisce i flussi dei clienti, disatteso dal lavoratore solamente a favore di alcuni clienti chiamati direttamente allo sportello) e nell’apertura di un libretto di risparmio per riscuotere un unico assegno munito di sbarramento generale (che richiede particolari verifiche preliminari al fine di essere incassato, verifiche mai attuate dall’A.A.). La reiterazione, in un ristretto arco temporale, delle violazioni procedurali dimostrava la particolare gravità della condotta inadempiente, sintomatica di un complessivo modus operandi del lavoratore (gravità tale da integrare la fattispecie di cui alla lett. k, art. 54, CCNL applicato), dovendosi, in ogni caso, rinvenirsi altresì il potenziale pregiudizio e il discredito all’immagine per la società (elemento tipico della fattispecie di cui alla lett. c, art. 54, CCNL applicato).
3. Avverso tale sentenza il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi. La società ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.
4. La Procura generale ha chiesto il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione
1.Con il primo motivo di ricorso è dedotta violazione dell’art. 2119c.c., ex art. 360, primo comma, n.3 c.p.c., avendo, la Corte territoriale, erroneamente valutato i dati fattuali accertati che non può ritenersi abbiano leso il vincolo fiduciario in quanto è stato trascurato il grado di affidamento richiesto dalle mansioni dell’A.A. (operatore di sportello) e l’assenza di precedenti sanzioni disciplinari.
2. Con il secondo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1375, 2104, 2106, 2118, 2119c.c., 3 della legge n. 604 del 1966, 7 della legge n. 300 del 1970, nonché degli artt. 53, 54, 56, 80 lett. e) del CCNL personale non dirigente delle Poste Italiane, ex art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., avendo, la Corte territoriale, fondato il proprio ragionamento su una circostanza (“profilo comportamentale schematico e sostanzialmente ripetitivo…”) inveritiera e priva di danno per la società (non sussistendo alcuna prova di truffa assicurativa o denuncia sporta da uno degli utenti coinvolti), con conseguente insussistenza delle fattispecie delineate alle lett. c) e k) dell’art. 54 CCNL. L’assenza di pregiudizio, effettivo o potenziale, per la società doveva indurre la Corte territoriale a sussumere il fatto nella lettera n) dell’art. 54 CCNL che prevede l’applicazione di sanzione conservativa.
3. I motivi, che possono congiuntamente trattarsi in quanto strettamente connessi, sono inammissibili.
4. Deve, in primo luogo, rimarcarsi che in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (ex aliis: Cass. 16 luglio 2010 n. 16698; Cass. 26 marzo 2010 n. 7394).
4.1. Nella specie è evidente che il ricorrente lamenta la erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta, e dunque, in realtà, non denuncia un’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalla norma di legge (ossia un problema interpretativo, vizio riconducibile all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.) bensì un vizio – motivo, da valutare alla stregua del novellato art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., che – nella versione ratione temporis applicabile – lo circoscrive all’omesso esame di un fatto storico decisivo (cfr. sul punto Cass. Sez. U. n. 19881 del 2014), riducendo al “minimo costituzionale” il sindacato di legittimità sulla motivazione (Cass. Sez. U. n. 8053 del 2014).
4.2. Invero, come questa Corte ha affermato, l’attività di integrazione del precetto normativo di cui all’art. 2119 c.c. compiuta dal giudice di merito – mediante la valorizzazione o di principi che la stessa disposizione richiama o di fattori esterni relativi alla coscienza generale ovvero di criteri desumibili dall’ordinamento generale, a cominciare dai principi costituzionali ma anche dalla disciplina particolare, collettiva appunto, in cui si colloca la fattispecie – “è sindacabile in Cassazione a condizione, però, che la contestazione del giudizio valutativo operato in sede di merito non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di non coerenza del predetto giudizio rispetto agli standards, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale (cfr. Cass. n. 13534 del 2019; nello stesso senso, Cass. n. 985 del 2017; Cass. n. 5095 del 2011; Cass. n. 9266 del 2005).
4.3. L’accertamento della concreta ricorrenza, nella fattispecie dedotta in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e sue specificazioni e della loro attitudine a costituire giusta causa di licenziamento opera sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito.
4.4. Solamente l’integrazione a livello generale e astratto della clausola generale si colloca sul piano normativo e consente una censura per violazione di legge; invece, l’applicazione in concreto del più specifico canone integrativo così ricostruito, rientra nella valutazione di fatto devoluta al giudice del merito, “ossia il fattuale riconoscimento della riconducibilità del caso concreto nella fattispecie generale e astratta”, spettando inevitabilmente al giudice di merito le connotazioni valutative dei fatti accertati nella loro materialità, nella misura necessaria ai fini della loro riconducibilità – in termini positivi o negativi – all’ipotesi normativa” (in termini Cass. n. 18247 del 2009 e Cass. n. 7838 del 2005).
4.5. La parte ricorrente, per ottenere la cassazione della sentenza impugnata sotto il profilo del vizio di sussunzione, non può limitarsi ad invocare una diversa combinazione dei parametri ovvero un diverso peso specifico di ciascuno di essi (perché in tal modo trasmoderebbe nella revisione dell’accertamento di fatto, di competenza del giudice di merito), ma deve piuttosto denunciare che la combinazione e il peso dei dati fattuali (gravità dei fatti addebitati, portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, circostanze in cui sono state commessi, intensità dell’elemento intenzionale, etc.), così come definito dal giudice del merito, non consente comunque la riconduzione alla nozione legale di giusta causa di licenziamento (cfr. Cass. n. 18715 del 2016); il giudice di legittimità, invero, non può, “sostituirsi al giudice del merito nell’attività di riempimento dei concetti giuridici indeterminati … se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza”; “il sindacato di legittimità sulla ragionevolezza è quindi, non relativo alla motivazione del fatto storico, ma alla sussunzione dell’ipotesi specifica nella norma generale, quale sua concretizzazione” (così Cass. SS.UU. n. 23287 del 2010).
4.6. La Corte di merito si è attenuta ai suindicati principi giurisprudenziali, procedendo ad una ricognizione approfondita delle acquisizioni probatorie; qualificando in termini di gravità la condotta del lavoratore il quale aveva arrecato un vulnus alle obbligazioni che scandivano la prestazione lavorativa; operando una corretta sussunzione dei fatti nell’ambito della categoria dell’inadempimento grave, rubricato all’art. 2119 c.c. ed in tale prospettiva, validamente richiamandosi anche alla “scala valoriale” enunciata dalla contrattazione collettiva di settore (vedi, per comportamenti dello stesso tenore, Cass. n. 14373 del 2020 e Cass. n. 30461 del 2021) che al comma 6, lettera c) dell’art.54 CCNL, contempla la sanzione del licenziamento senza preavviso per le ipotesi di violazione dolose di leggi o regolamenti o dei doveri d’ufficio che possano arrecare o abbiano arrecato forte pregiudizio alla società o a terzi nonché alla lettera k) fatti e atti dolosi, anche nei confronti di terzi, compiuti in connessione con il rapporto di lavoro, di gravità tali da non consentire la prosecuzione del rapporto.
5. Le censure sviluppate nel secondo motivo non colgono, inoltre, la ratio decidendi della sentenza impugnata perché il ricorrente insiste sull’assenza di pregiudizio, effettivo o potenziale, per la società (al fine di ricondurre la condotta inadempiente nell’alveo delle sanzioni conservative previste dal CCNL applicato dalla società) ma nulla deduce sul rilievo effettuato dalla Corte territoriale che, dopo aver sottolineato che, nella fattispecie della lettera c), art. 54, CCNL, il pregiudizio può essere solo potenziale ed eventuale, ha aggiunto la “assoluta estraneità dell’elemento del pregiudizio rispetto alla successiva lettera k) pure legittimante, in via indipendente, il licenziamento senza preavviso” (pag. 8 della sentenza impugnata).
6. In ogni caso, questa Corte ha già affermato che a seguito della trasformazione in società per azioni dell’ente pubblico postale, l’impegno di capitale pubblico nella società e lo stesso fine pubblico perseguito (tali da comportare l’assoggettamento della società a verifiche periodiche da parte dell’azionista Ministero dello sviluppo economico sul livello di efficienza nella fornitura del servizio e da sottomettere l’attività svolta ai principi di imparzialità e di buon andamento di cui agli artt. 3 e 97 Cost.), non sono senza riflesso quanto ai doveri gravanti sui lavoratori dipendenti, i quali devono assicurare affidabilità, nei confronti del datore di lavoro e dell’utenza (vedi Cass. n. 776 del 2015) e che la nozione di pregiudizio alla società o a terzi, previsto dall’art. 54, lett. c) CCNL non comprende soltanto il danno patrimoniale ma anche l’imminente pericolo per l’interesse dei soggetti coinvolti (cfr. Cass. n. 16464 del 2015; Cass. n. 30461 del 2021). Questa è la prospettiva che ha correttamente indirizzato la Corte distrettuale, consentendole di connotare come “forte” il pregiudizio arrecato alla società, per avere la condotta del dipendente compromesso quel particolare affidamento riposto in ordine alla corretta esecuzione del servizio relativo alla gestione dei rapporti finanziari (cfr. con riguardo, anche, ad una condotta di mancata attivazione del sistema “gestione code”, Cass. n. 12746 del 2022).
7. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile e le spese di lite seguono il regime della soccombenza, nella misura in dispositivo liquidata.
8. Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso articolo 13, se dovuto.