A seguito della disciplina dettata dall’art. 6 del decreto legge 11 luglio 1992, n. 333, convertito nella legge 8 agosto 1992, n. 359, l’indennità sostitutiva della mensa non è computabile a nessun effetto attinente a istituti legali e contrattuali, salvo diversa previsione dei contratti collettivi.
Nota a Cass. (ord.) 26 marzo 2024, n. 8090
Alfonso Tagliamonte
“Nella disciplina dettata dall’art. 6, terzo comma, decreto legge 11 luglio 1992 n. 333, convertito con modificazioni in legge 8 agosto 1992 n. 359, il valore del servizio mensa e l’importo della prestazione sostitutiva percepita da chi non usufruisce del servizio aziendale non fanno parte della retribuzione a nessun effetto attinente ad istituti legali e contrattuali del rapporto di lavoro, salva la possibilità di una diversa previsione – nel senso che il servizio mensa debba considerarsi come retribuzione in natura – da parte dei contratti collettivi nazionali e aziendali, anche se stipulati anteriormente all’entrata in vigore del citato decreto”.
È quanto ribadisce la Corte di Cassazione (ord.) 26 marzo 2024, n. 8090 (conf. Cass. n. 8092/2024; Cass. n. 15767/2001 e n. 3623/1994) discostandosi dalla sentenza di merito che aveva incluso l’indennità di mensa tra le voci utili al computo del TFR fino al 31.12.2001. In particolare, i giudici avevano riconosciuto applicabile al rapporto di lavoro il CCNL Comparto Sanità Pubblica integrativo del CCNL 7.4.1999, entrato in vigore il 31.12.2001, il quale, all’art. 46, nell’elencare le voci della retribuzione utili ai fini del TFR, non menzionava l’indennità di mensa. Ed avevano ritenuto che, per il periodo anteriore alla vigenza del CCNL, l’indennità di mensa fosse da computare nel calcolo del TFR, in quanto corrisposta in modo continuativo nel corso del rapporto e non equiparabile ad un rimborso spese.
La Corte specifica che la L. n. 359/1992 ha un valore sostanziale di norma di interpretazione autentica, con la conseguenza che, allo stato, e con valore retroattivo, solo laddove “la volontà collettiva si sia espressamente manifestata nel senso del valore retributivo del pasto o dell’indennità sostitutiva, questi sono computabili ai fini del trattamento di fine rapporto”.
Anche le S.U della Cassazione (n. 3888/1993) hanno escluso la natura ontologicamente retributiva del servizio mensa o dell’indennità sostitutiva della stessa, ribadendo che l’individuazione delle voci da includere nella retribuzione base per il calcolo degli istituti di retribuzione indiretta o differita è rimessa alla fonte legale o contrattuale.
È però possibile che l’autonomia collettiva disponga diversamente, vale a dire includa il valore reale o l’importo della relativa indennità sostitutiva nella base di calcolo di qualsiasi istituto.
L’art. 6, D.L. n. 333/1992, cit. ha poi aggiunto che, sebbene l’indennità sostitutiva della mensa non sia computabile a nessun effetto attinente a istituti legali e contrattuali, “gli accordi collettivi che stabilivano tale principio, in vigore prima dell’introduzione della nuova legge, sono fatti salvi (anche se in contrasto con disposizioni di legge) nella parte in cui prevedevano limiti e valori convenzionali del servizio mensa e dell’importo della prestazione sostitutiva di esso, a qualsiasi effetto attinente a istituti legali e contrattuali del rapporto di lavoro subordinato”.
Sentenza
CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 26 marzo 2024, n. 8090
Lavoro – Differenze retributive – TFR – CCNL Comparto Sanità – Infermiere professionale – Doppia conforme – Indennità di mensa – Esclusione del valore retributivo – Calcolo delle somme dovute al lavoratore sempre al lordo – Accoglimento parziale
Rilevato che
1.la Corte d’Appello di Bari ha parzialmente accolto l’appello proposto dall’Ospedale in epigrafe avverso sentenza del Tribunale di Foggia e, per l’effetto, lo ha condannato al pagamento in favore di G.R. (già dipendente dal 1973 al 2014, con mansioni di infermiere professionale, livello D6 CCNL Comparto Sanità) della somma di € 7.784,54 a titolo di differenze retributive sul trattamento di fine rapporto, al lordo delle ritenute di legge, oltre interessi e rivalutazione monetaria dalla maturazione del credito sino al soddisfo;
2. la Corte territoriale ha così ridotto, previa nuova CTU contabile, la somma riconosciuta dal Tribunale per il medesimo titolo;
3. in particolare, la Corte di merito ha osservato che:
– per l’esatta determinazione dei parametri giuridici e contabili su cui quantificare il TFR sulla base dell’art. 2120 c.c. come novellato dalla legge n. 297/1982, le competenze per il lavoro straordinario e per le altre prestazioni oltre la paga base devono essere considerate ai fini del calcolo del TFR quando siano state percepite in modo continuativo per il periodo precedente maggio 1982 (indennità di anzianità) e in modo non occasionale per il periodo successivo;
– per quanto concerne i cd. accantonamenti relativi al periodo successivo all’entrata in vigore della legge n. 297/1982, il calcolo del TFR andava sviluppato anche secondo l’art. 46 CCNL Comparto Sanità Pubblica integrativo del CCNL del 7.4.1999, contenente specifiche deroghe alla disciplina legale dell’istituto, in vigore dal 31.12.2001;
– in base a tale normativa contrattuale collettiva, non andavano ricompresi tra le voci retributive da prendersi a base per la liquidazione del TFR gli emolumenti percepiti dal lavoratore a titolo di incentivazione o compartecipazione a decorrere dall’1.1.2002 (tenuto conto della data di entrata in vigore della specifica disciplina pattizia), rimanendo da computare per il periodo precedente;
– analogamente per l’indennità di mensa, non menzionata tra le voci retributive utili ai fini del computo del TFR, e quindi da includere fino alla data di entrata in vigore di tale disposizione contrattuale, non essendo conferente l’art. 3, comma 3, d.l. n. 133/1992 convertito in legge n. 359/1992, da applicarsi soltanto alla diversa ipotesi in cui il servizio mensa sia stato attivato presso l’azienda;
– le differenze retributive vanno calcolate al lordo delle imposte, salvo il computo di quanto già eventualmente versato da parte del datore di lavoro come sostituto d’imposta;
– si deve tener conto di quanto previsto dall’art. 5, comma 2, legge n. 297/1982, sul cd. congelamento dell’indennità integrativa speciale trasformata di fatto in elemento fisso e costante della retribuzione (quale emolumento di analoga natura all’indennità di contingenza) – le osservazioni degli ausiliari di parte erano state criticamente riscontrate dal CTU;
4. per la cassazione della sentenza d’appello ricorre l’Ospedale con 5 motivi; controparte è rimasta intimata; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
Considerato che
1.con il primo motivo parte ricorrente deduce (art. 360, n. 5, c.p.c.) omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in relazione agli artt. 115, 116 c.p.c. e 2909 c.c., non avendo la sentenza impugnata tenuto conto della produzione dall’Ospedale, già dalla memoria di costituzione in primo grado, del giudicato del Tribunale di Foggia (sentenza n. 1361 del 13.9.1997), con efficacia riflessa, di accertamento della natura non subordinata per compensi percepiti per attività in plus-orario (cd. compartecipazioni), anche in violazione del principio di non contestazione per avere affermato non esservi prova che il contenzioso tra INPS e l’Ospedale ricorrente, oggetto del giudicato, riguardasse anche la posizione dell’odierno controricorrente (mentre l’accertamento dell’INPS aveva riguardato tutto il personale in data 29.7.1994 prestatore di attività in plus-orario);
2. con il secondo motivo, deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., non avendo la sentenza impugnata correttamente applicato il principio secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile, non avendo in particolare considerato gli effetti del citato giudicato riflesso del Tribunale di Foggia, di accertamento della natura non subordinata per compensi percepiti per attività in plus-orario (cd. compartecipazioni);
3. i due motivi, che si trattano congiuntamente perché sovrapponibili, sono inammissibili per più profili; sia nella parte in cui denunciano l’erronea valutazione di elementi probatori non consentita in questa sede, a maggior ragione in una ipotesi di cd. doppia conforme; sia là dove invocano gli effetti del giudicato esterno, in quanto la deduzione in ordine all’esistenza di un giudicato che si assume inerente alla posizione di controparte e di cui sarebbe stata fornita la prova in giudizio non può prescindere dal deposito della sentenza munita dell’attestazione di irrevocabilità ad opera della cancelleria, ai sensi dell’art. 124 disp. att. c.p.c. (v. Cass. n. 28515/2017, n. 22883/2008, n. 11889/2007, n. 23567/2006), adempimento del tutto omesso;
4. con il terzo motivo, la sentenza impugnata viene censurata (art. 360, n. 3, c.p.c.) per violazione e falsa applicazione dell’art. 6, comma 3, d.l. n. 333/1992, conv. in legge n. 359/1992 e del CCNL Comparto sanità, per avere erroneamente ritenuto non rientrare l’indennità di mensa tra le voci escluse dall’art. 46 CCNL cit. dalla base di computo del TFR, assumendone pertanto la natura retributiva, per la rilevata mancata istituzione di un servizio di mensa, pure in assenza di una previsione di CCNL relativa alla sua natura retributiva, essendo peraltro essa negata per il valore dei pasti dalla giurisprudenza di legittimità;
5. il motivo è fondato per quanto di ragione;
6. la Corte d’Appello ha incluso l’indennità di mensa tra le voci utili al computo del TFR fino al 31.12.2001; ha riconosciuto applicabile al rapporto di lavoro il CCNL Comparto Sanità Pubblica integrativo del CCNL 7.4.1999, il cui art. 46, nell’elencare le voci della retribuzione utili ai fini del TFR, non menziona l’indennità di mensa; ha tuttavia rilevato che il contratto collettivo è entrato in vigore il 31.12.2001 e ha ritenuto che, per il periodo anteriore, l’indennità di mensa fosse da computare nel calcolo del TFR, in quanto corrisposta in modo continuativo nel corso del rapporto e non equiparabile ad un rimborso spese, operando la disciplina dettata dal contratto collettivo solo a partire dal 31.12.2001;
ha giudicato non pertinente la disposizione di cui all’art. 3, terzo comma, del decreto legge n. 333 del 1992, convertito dalla legge n. 359 del 1992 (secondo cui “Salvo che gli accordi e i contratti collettivi, anche aziendali, dispongano diversamente, stabilendo se e in quale misura la mensa è retribuzione in natura, il valore del servizio di mensa, comunque gestito ed erogato, e l’importo della prestazione pecuniaria sostitutiva di esso, percepita da chi non usufruisce del servizio istituito dall’azienda, non fanno parte della retribuzione a nessun effetto attinente a istituti legali e contrattuali del rapporto di lavoro”), in quanto volta a disciplinare i casi in cui il servizio mensa sia stato attivato presso l’azienda, come desumibile dall’utilizzo dei termini “gestito, erogato, istituito” riferiti, appunto, al citato servizio, e quindi non applicabile alla fattispecie oggetto di causa in cui difetta la prova dell’istituzione della mensa;
7. in realtà questa Corte, pronunciandosi sulla normativa del 1992, ha statuito che nella disciplina dettata dall’art. 6, terzo comma, decreto legge 11 luglio 1992 n. 333, convertito con modificazioni in legge 8 agosto 1992 n. 359, il valore del servizio mensa e l’importo della prestazione sostitutiva percepita da chi non usufruisce del servizio aziendale non fanno parte della retribuzione a nessun effetto attinente ad istituti legali e contrattuali del rapporto di lavoro, salva la possibilità di una diversa previsione – nel senso che il servizio mensa debba considerarsi come retribuzione in natura – da parte dei contratti collettivi nazionali e aziendali, anche se stipulati anteriormente all’entrata in vigore del citato decreto (Cass. n. 15767/2001, n. 3623/1994); specificamente, si è attribuito alla legge n. 359/1992 un valore sostanziale di norma di interpretazione autentica, di guisa che, allo stato, e con valore retroattivo, soltanto in quanto la volontà collettiva si sia espressamente manifestata nel senso del valore retributivo del pasto o dell’indennità sostitutiva, questi sono computabili ai fini del trattamento di fine rapporto; al riguardo è certo significativo, e l’interprete deve tenerne conto, che avendo la giurisprudenza nel passato dichiarato la nullità degli accordi sindacali che privavano la mensa o l’indennità retributiva di valore retributivo, la novella legislativa fosse imperniata proprio nella riaffermazione della validità di quegli accordi, anche se assunti in epoca anteriore all’approvazione della legge; si è ulteriormente precisato che le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza n. 3888/1993, hanno escluso che il servizio mensa o l’indennità sostitutiva della stessa abbiano natura ontologicamente retributiva, ribadendo che è rimessa alla fonte legale o contrattuale l’individuazione delle voci da includere nella retribuzione base per il calcolo degli istituti di retribuzione indiretta o differita; si è aggiunto che, a seguito della disciplina dettata dall’art. 6 del decreto legge 11 luglio 1992 n. 333, convertito nella legge 8 agosto 1992 n. 359, l’indennità sostitutiva della mensa non è computabile a nessun effetto attinente a istituti legali e contrattuali, che gli accordi collettivi che stabilivano tale principio, in vigore prima dell’introduzione della nuova legge, sono fatti salvi (anche se in contrasto con disposizioni di legge) nella parte in cui prevedevano limiti e valori convenzionali del servizio mensa e dell’importo della prestazione sostitutiva di esso, a qualsiasi effetto attinente a istituti legali e contrattuali del rapporto di lavoro subordinato, che è tuttavia possibile all’autonomia collettiva disporre diversamente, vale a dire includere il valore reale o l’importo della relativa indennità sostitutiva nella base di calcolo di qualsiasi istituto;
8. i precedenti di legittimità richiamati, e dai quali questo Collegio non ha ragione di discostarsi, non operano alcuna distinzione in base al rilievo dell’effettiva istituzione o meno del servizio mensa, ma si concentrano sulla natura in sé dell’indennità di mensa, escludendone il valore ontologicamente retributivo, salva diversa previsione da parte dei contratti collettivi;
9. deve quindi ritenersi che la Corte d’appello abbia male interpretato l’art. 6 della legge n. 359 del 1992, in contrasto con il significato letterale come unanimemente inteso dalla giurisprudenza di legittimità;
10. con il quarto motivo si denuncia (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione dell’art. 11, commi 3 e 4, d. lgs. n. 47/2000 e degli artt. 2 e 3, commi 15 e 16, legge n. 297/1982, per avere la Corte di merito affermato che il ricalcolo del differenziale del TFR deve essere compiuto al lordo di tutte le trattenute di legge già versate dal datore di lavoro nel corso del rapporto di lavoro;
11. con il quinto motivo si denuncia (art. 360, n. 4, c.p.c.) la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, comma 1, n. 4, c.p.c., per avere la Corte d’Appello reso affermazioni inconciliabili tra loro, avendo statuito, da un lato, che il datore debba versare le differenze retributive e di TFR al lordo e dall’altro che, rispetto all’imposta sulla rivalutazione, il datore conserva la veste di sostituto d’imposta;
12. detti motivi, che possono essere trattati congiuntamente, sono infondati;
13. la Corte d’Appello si è uniformata al principio, costantemente espresso da questa Corte, secondo cui il calcolo delle somme dovute al lavoratore per differenze retributive e trattamento di fine rapporto deve avvenire sempre al lordo (v. Cass. n. 8406/2023, n. 25016/2017, n. 18044/2015);
14. non ricorre il vizio di nullità della sentenza dedotto, atteso che la decisione impugnata dà conto del percorso logico seguito e spiega che la regola, secondo cui il datore di lavoro conserva la veste di sostituto d’imposta finché il rapporto di lavoro ha caratteristiche di regolarità e perde tale ruolo qualora venga meno agli obblighi legali, subisce una deroga per l’imposta sulla rivalutazione; essa viene corrisposta dal datore nel momento in cui eroga le differenze del t.f.r. assumendo la veste di sostituto d’imposta; in linea con i requisiti motivazionali (cd. minimo costituzionale), delineati dalle note sentenze delle S.U. n. 8053 e n. 8054 del 2014;
15. pertanto, in accoglimento del terzo motivo di ricorso, ritenuti infondati gli altri motivi, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla medesima Corte d’appello, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità;
P.Q.M.
Accoglie il terzo motivo di ricorso per quanto di ragione, rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Bari, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.