La tutela del lavoratore nei confronti del licenziamento illegittimo si aggiunge a quella apprestata con la c.d. clausola sociale in caso di cambio appalto.
Nota a Cass. (ord.) 11 aprile 2024, n. 9770
Francesca Fedele
La costituzione ex novo di un rapporto di lavoro con un diverso soggetto, nell’ipotesi di cambio appalto prevista dalla procedura collettiva al fine di tutela dell’occupazione, riguarda i rapporti fra i soggetti stipulanti e non incide sul piano del rapporto individuale di lavoro; la tutela apprestata dalla disciplina collettiva “non esclude, ma si aggiunge, a quella apprestata a favore del lavoratore nei confronti del datore di lavoro che ha intimato il licenziamento, con i limiti posti dalla legge all’esercizio del suo potere di recesso”.
Questo, il principio ribadito dalla Corte di Cassazione (ord. 11 aprile 2024, n. 9770; conf. Cass. n. 5601/2023 e n. 29922/2018) la quale ha precisato che:
– l’art. 1, co. 10, L. n. 11/2016, codifica “la regola di continuità del rapporto di lavoro con l’appaltatore subentrante, in caso di successione di imprese nel contratto di appalto con il medesimo committente e per la medesima attività di call center, secondo le modalità e le condizioni previste dai contratti collettivi nazionali di lavoro applicati e vigenti alla data del trasferimento, ovvero la cd. clausola sociale prevista da numerosi contratti collettivi”;
– la tutela prevista dalla suddetta normativa si aggiunge a quella apprestata a favore del lavoratore licenziato, con i limiti posti dalla legge all’esercizio del potere di recesso datoriale, non incidendo sul diritto del prestatore di impugnare il licenziamento al fine ottenere il riconoscimento della continuità giuridica del rapporto originario (v. anche. Cass. n. 13438/2018; e Cass. n. 22121/2016).
Sentenza
CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 aprile 2024, n. 9770
Lavoro – Annullamento licenziamento – Reintegra nel posto di lavoro – Indennità risarcitoria – Versamento contributi previdenziali e assistenziali – Cambio appalto – Rifiuto assunzione presso società subentrante – Rigetto
Rilevato che
1.la Corte d’Appello di Roma, in riforma di sentenza del Tribunale della medesima sede, annullava il licenziamento intimato con missiva del 18.2.2019 ai sei lavoratori in epigrafe, ordinava a C. la reintegra degli stessi nel posto di lavoro, condannava la società al pagamento di un’indennità risarcitoria pari a 10 mensilità della retribuzione globale di fatto per ciascuno indicata e al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione;
2. la domanda dei lavoratori, operatori di call center, addetti all’appalto di servizi affidato da A. s.p.a. a C. sino al 31.5.2019, licenziati a seguito di cambio appalto e rifiuto dell’assunzione presso la società subentrante nell’appalto, disponibile ad assumere il personale già impiegato in quel servizio di appalto con la società uscente ma a condizioni ritenute deteriori, era stata accolta dal Tribunale in esito alla fase sommaria e rigettata a seguito di opposizione della società;
3. con la sentenza qui gravata, la Corte di merito, in particolare, riportata la lettera di recesso in cui si faceva richiamo alla cd. clausola sociale di cui all’art.1, comma 10, legge n. 11/2016 e all’art 53-bis CCNL Telecomunicazioni, escludeva il transito automatico dei lavoratori, per così dire, unitamente alla commessa oggetto di cambio appalto; affermava che la tutela per cambio appalto si aggiungeva a quella prestata a favore del lavoratore nei confronti del datore di lavoro in via generale a fronte di ingiustificato recesso; che i termini “continua” e “riassunti” nella norma speciale erano stati utilizzati nella legislazione speciale in senso atecnico (lavoratori riassumibili); che non era applicabile la normativa sul licenziamento collettivo; che il licenziamento era comunque illegittimo per violazione dell’obbligo di repêchage, non essendo stata dimostrata l’impossibilità di reimpiego o l’infungibilità dei lavoratori, quantunque fosse necessaria una certa formazione per il loro reimpiego;
4. per la cassazione della sentenza d’appello la società propone ricorso affidato a sette motivi; resistono i lavoratori con controricorso, e propongono ricorso incidentale condizionato con tre motivi; al ricorso incidentale condizionato replica la società con controricorso; entrambe le parti hanno comunicato memorie; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
Considerato che
1.con il primo motivo di ricorso per cassazione, la società denuncia (art. 360, n. 5, c.p.c.) omesso esame della saturazione delle commesse con conseguente impossibilità di repêchage;
2. con il secondo (art. 360, n. 3, c.p.c.), violazione o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. in relazione al principio di non contestazione sulle circostanze che il repêchage dei resistenti fosse impossibile (a prescindere dalla loro fungibilità) per assenza di posizioni vacanti a loro assegnabili per essere le commesse nella zona di Roma e limitrofa sature;
3. con il terzo (art. 360, n. 3, c.p.c.), violazione o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 24 Cost., per non essere stato consentito alla società di dimostrare di non aver violato alcun obbligo essendo la ricollocazione dei lavoratori impossibile;
4. con il quarto (art. 360, n. 3, c.p.c.), violazione o falsa applicazione dell’art. 3 legge n. 604/1966 e dell’art. 41 Cost., assumendo che non vi è fungibilità e ricollocabilità dei lavoratori quando essa può essere assicurata solo imponendo al datore di lavoro di organizzare ed erogare una formazione con rilevanti investimenti;
5. con il quinto (art. 360, n. 3, c.p.c.), violazione o falsa applicazione dell’art. 1, comma 10, legge n. 11/2016; si sostiene che la Corte, erroneamente ritenendo che l’obbligo direpêchage sussiste anche nel caso di cambio appalto, ha fatto sì che un eventuale rifiuto al passaggio al fornitore subentrante opposto dai lavoratori del fornitore uscente ponga a carico di quest’ultimo gli oneri e i rischi di una ricollocazione di lavoratori licenziandi, in contrasto con la ratio della norma che persegue il duplice obiettivo, da un lato, di tutela dei lavoratori addetti alla commessa persa, garantendo loro la conservazione del posto di lavoro (con obbligo per il fornitore subentrante di accoglierli nel proprio organico), dall’altro lato, di tutela del fornitore uscente, aiutandolo nell’affrontare le conseguenze organizzative, produttive ed economiche che subirà a causa della perdita della commessa;
6. con il sesto (art. 360, n. 3, c.p.c.), violazione o falsa applicazione degli artt. 18, commi 4, 5 e 7, legge n. 300/1970, contestando l’applicazione della tutela di cui al comma 4 dell’art. 18 cit.;
7. con il settimo (art. 360, n. 3 e n. 4, c.p.c.), vizio di motivazione e violazione degli artt. 116, 132, 118 disp. att. c.p.c., 111 Cost.;
8. i primi tre motivi, connessi perché tutti riguardanti la valutazione delle prove sulle circostanze della fungibilità e possibilità di ricollocazione dei lavoratori odierni controricorrenti, non sono ammissibili;
9. in tema di ricorso per cassazione, può essere dedotta la violazione dell’art. 115 c.p.c. qualora il giudice, in contraddizione con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove inesistenti e, cioè, sia quando la motivazione si basi su mezzi di prova mai acquisiti al giudizio, sia quando da una fonte di prova sia stata tratta un’informazione che è impossibile ricondurre a tale mezzo, ipotesi diversa dall’errore nella valutazione dei mezzi di prova, non censurabile in sede di legittimità, che attiene alla selezione da parte del giudice di merito di una specifica informazione tra quelle astrattamente ricavabili dal mezzo assunto; ciò a condizione che il ricorrente assolva al duplice onere di prospettare l’assoluta impossibilità logica di ricavare dagli elementi probatori acquisiti i contenuti informativi individuati dal giudice e di specificare come la sottrazione al giudizio di detti contenuti avrebbe condotto a una decisione diversa, non già in termini di mera probabilità, bensì di assoluta certezza (v., tra le molte, Cass. n. 12971/2022), oneri non adempiuti nel motivo in esame;
10. le censure in esame, in effetti, esprimono una contestazione della valutazione probatoria della Corte territoriale, riservata al giudice di merito e pertanto, qualora congruamente argomentata, insindacabile in sede di legittimità (Cass. n. 29404/2017, n. 1229/2019, S.U. n. 34476/2019, S.U. 20867/2020, n. 5987/2021, n. 6774/2022, n. 36349/2023);
11. il quarto motivo risulta parimenti inammissibile;
12. nel caso di specie, la Corte territoriale ha rilevato, anche in questo caso con accertamento in fatto congruamente motivato e dunque non sindacabile in sede di legittimità, che erano stati illegittimamente trascurati il livello di professionalità proprio dell’inquadramento posseduto da ciascun lavoratore e le competenze eventualmente acquisibili attraverso un normale periodo di formazione di riqualificazione on the job, e ne ha tratto, quindi, le conseguenze conformi alla giurisprudenza di legittimità citata;
13. il quinto motivo non è fondato;
14. il Collegio intende in proposito dare continuità all’orientamento di questa Corte secondo il quale la procedura prevista dalle parti collettive al fine di tutela dell’occupazione per l’ipotesi di cambio appalto, mediante la costituzione ex novo di un rapporto di lavoro con un diverso soggetto, si pone sul piano dei rapporti fra i soggetti stipulanti, di regola le organizzazioni sindacali e le associazioni datoriali, ma non è destinata ad incidere sul piano del rapporto individuale di lavoro; la tutela apprestata mediante la disciplina collettiva non esclude, ma si aggiunge, a quella apprestata a favore del lavoratore nei confronti del datore di lavoro che ha intimato il licenziamento, con i limiti posti dalla legge all’esercizio del suo potere di recesso (Cass. n. 5601/2023, n. 29922/2018, n. 12613/2007);
15. la previsione legislativa di cui dell’art. 1, comma 10, legge n. 11/2016 codifica nello specifico settore la regola di continuità del rapporto di lavoro con l’appaltatore subentrante, in caso di successione di imprese nel contratto di appalto con il medesimo committente e per la medesima attività di call center, secondo le modalità e le condizioni previste dai contratti collettivi nazionali di lavoro applicati e vigenti alla data del trasferimento, ovvero la cd. clausola sociale prevista da numerosi contratti collettivi;
16. non vi sono perciò motivi per discostarsi dagli approdi interpretativi in materia ora ricordati, nel senso che la tutela prevista dalla specifica normativa si aggiunge a quella apprestata a favore del lavoratore nei confronti del datore di lavoro che ha intimato il licenziamento, con i limiti posti dalla legge all’esercizio del suo potere di recesso, non incidendo sul diritto del lavoratore di impugnare il licenziamento intimatogli per ottenere il riconoscimento della continuità giuridica del rapporto originario; tanto più in un contesto probatorio da cui è emerso che la necessaria riassunzione del lavoratore nell’azienda subentrante non era stata prevista a parità di condizioni economiche e normative (cfr. Cass. n. 22121/2016, n. 13438/2018);
17. il sesto motivo è infondato;
18. come noto, l’art. 18, comma 7, della legge n. 300/1970 (come novellato dalla legge n. 92/2012) – che regola l’apparato sanzionatorio da applicare in caso di accertamento della illegittimità di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo – è stato inciso da due recenti sentenze della Corte Costituzionale, proprio con riguardo ai requisiti per l’applicazione della tutela reintegratoria; la sentenza n. 59 del 2021 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, settimo comma, secondo periodo, della legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dall’art. 1, comma 42, lettera b), della legge 28 giugno 2012, nella parte in cui prevede che il giudice, quando accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, «può altresì applicare» – invece che «applica altresì» – la disciplina di cui al medesimo art. 18, quarto comma; la sentenza n. 125 del 2022 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, settimo comma, secondo periodo, della legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dall’art. 1, comma 42, lettera b), della legge 28 giugno 2012, n. 92, limitatamente alla parola «manifesta» (cfr. Cass n. 1299/2023);
19. neppure è meritevole di accoglimento il settimo motivo, in realtà incompatibile con i precedenti, con cui è stata criticata la motivazione ampia e articolata, e quindi non viziata di apparenza (cfr. Cass. n. 8053/2014);
20. il ricorso principale deve, pertanto, essere rigettato;
21. rimane di conseguenza assorbito il ricorso incidentale condizionato, con il quale è stata dedotta, con il primo motivo (art. 360, n. 3, c.p.c.), violazione dell’art. 7, comma 4-bis, D.L. n. 248/2007, per mancato accoglimento della domanda principale dei lavoratori diretta alla declaratoria di illegittimità dei licenziamenti per violazione dell’obbligo di osservare la procedura per i licenziamenti collettivi; con il secondo motivo (art. 360, n. 4, c.p.c.), nullità della sentenza per violazione degli artt. 112, 132, 118 disp. att. c.p.c., 111 Cost., per omesso pronuncia sul motivo di reclamo sulla deroga all’applicabilità della procedura ex legge n. 223/1991; con il terzo motivo (art. 360, n. 3, c.p.c.), in subordine, violazione dell’art. 18, comma 7, legge n. 300/1970, nel testo modificato da Corte Cost. n. 125/2022;
22. parte ricorrente, in quanto soccombente, dev’essere condannata al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, con distrazione in favore dei difensori dichiaratisi antistatari, ed è tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 10.000 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge, da distrarsi.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.