Il licenziamento disciplinare del dipendente pubblico condannato, in via definitiva, per aver cagionato l’interruzione della gravidanza della compagna è legittimo.

Nota a Cass. 3 aprile 2024, n. 8728

Alfonso Tagliamonte

La Corte di Cassazione 3 aprile 2024, n. 8728 conferma il giudizio del giudice di secondo grado in merito alla legittimità del licenziamento disciplinare intimato ad un dipendente comunale ritenuto penalmente responsabile del reato consistito nell’aver compiuto atti idonei, in modo non equivoco, a cagionare l’interruzione della gravidanza della compagna. Ciò, considerando, quale violazione degli obblighi contrattuali, la condanna penale definitiva emessa a suo carico.

I giudici, in linea con il pronunciamento della corte territoriale, hanno dato rilievo ai profili soggettivi legati: a) alla particolare condizione psicologica del lavoratore; b) al ruolo rivestito nell’ambito dell’organizzazione dell’ente; c) alla condotta pregressa tenuta nell’ambiente lavorativo; d) alla idoneità  lesiva della condotta rispetto all’oggettiva gravità del reato iscritto; e) al disvalore sociale del reato in questione; alla situazione di conflitto con le finalità e gli interessi morali dell’Ente; f) “al rigore con il quale un’istituzione pubblica è chiamata a valutare l’affidabilità sociale e morale del proprio personale”.

La Cassazione ha quindi rigettato il ricorso del lavoratore, confermando la legittimità del licenziamento disciplinare allo stesso comminato.

Sentenza

CORTE DI CASSAZIONE  3 aprile 2024 n. 8728

Fatti di causa

Con sentenza del 23 marzo 2023, la Corte d’Appello di Bologna, in riforma della decisione resa dal Tribunale di Bologna rigettava la domanda proposta da De.An. nei confronti del Comune di Valsamoggia, avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità del licenziamento disciplinare intimato al De.An., dipendente del Comune con la qualifica di “Collaboratore tecnico – Autista scuolabus – Categoria B4C”, in relazione alla ritenuta rilevanza quale violazione degli obblighi contrattuali della subita condanna penale definitiva per il reato ascritto, consistito nell’aver compiuto atti idonei in modo non equivoco a cagionare l’interruzione della gravidanza della compagna.

La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto di dover riconoscere, diversamente dal primo giudice, rilevante sotto il profilo disciplinare, dovendo l’Ente datore dare rilievo alle ricadute che una specifica condotta del lavoratore possa avere sull’immagine dell’Ente medesimo e nella percezione della popolazione che vi fa capo, a muovere dal disvalore sociale della condotta da apprezzarsi indipendentemente dal ruolo ricoperto nell’organizzazione dell’ente e di gravità tale da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro, con conseguente proporzionalità della sanzione.

Per la cassazione di tale decisione ricorre il De.An., affidando l’impugnazione a tre motivi, cui resiste, con controricorso, il Comune di Valsamoggia.

Il procuratore generale ha depositato la propria requisitoria concludendo per il rigetto del ricorso.

Ragioni della decisione

Con il primo motivo, il ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt. 2119 e 2106 c.c., 55 e ss., d.lgs. n. 165/2001 e 3, CCNL per il comparto Regioni e Autonomie locali sottoscritto l’11.4.2008, imputa alla Corte territoriale di aver erroneamente valutato il comportamento extralavorativo fatto oggetto di addebito disciplinare idoneo ad integrare gli estremi della giusta causa di recesso ed a non consentire la prosecuzione del rapporto non avendo condotto quel giudizio secondo i criteri normativi e contrattuali che impongono la considerazione delle caratteristiche oggettive e soggettive della condotta.

Con il secondo motivo, denunciando ancora una volta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2119 e 2106 c.c. e 55 e ss. d.lgs. n. 165/2001, il ricorrente ribadisce a carico della Corte territoriale la ricorrenza dell’errore valutativo in ordine alla ravvisabilità nella specie della giusta causa di recesso, dato dalla mancata considerazione delle caratteristiche soggettive della condotta asseritamente assunte come idonee a mitigarne la gravità, anche a voler dare rilievo, come ritenuto necessario dalla Corte territoriale, alla natura pubblica del soggetto datore.

Nel terzo motivo il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio è prospettato in relazione alla mancata considerazione da parte della Corte territoriale di elementi di fatto acquisiti agli atti che, ridimensionando l’idoneità lesiva della condotta del ricorrente nella sua consistenza oggettiva e facendo emergere la peculiare condizione psicologica del medesimo in cui quella condotta è maturata, condizione contrastante con i tratti caratteriali dal medesimo manifestati in ambito lavorativo, avrebbero dovuto incidere sul giudizio condotto dalla Corte medesima circa la rilevanza disciplinare di detta condotta.

Tutti gli esposti motivi, i quali, in quanto strettamente connessi, possono essere qui trattati congiuntamente, devono ritenersi, al di là dei profili di inammissibilità che comunque presentano per essere l’impugnazione complessivamente orientata ad un riesame degli apprezzamenti di merito della Corte territoriale, infondati, atteso che il denunciato scostamento dai criteri valutativi cui la giurisprudenza di questa Corte vuole sia improntato il giudizio circa la ricorrenza della giusta causa di recesso come l’omessa considerazione di elementi di fatto utili ai fini della formulazione di quel giudizio non sono ravvisabili, derivando il pronunciamento della Corte territoriale dall’aver la Corte stessa, nell’applicazione dei prescritti criteri e nell’apprezzamento dei fatti acquisiti, ritenuto recessivi i profili attinenti agli aspetti soggettivi legati alla peculiare condizione psicologica del ricorrente, al ruolo rivestito in seno all’organizzazione dell”Ente, alla condotta pregressa tenuta in ambiente lavorativo, alla carente idoneità lesiva della condotta, rispetto all’oggettiva gravità del reato ascritto, al disvalore sociale del medesimo, alla situazione di conflitto ingenerata rispetto alle finalità e morali dell’Ente, al rigore con il quale una istituzione pubblica e chiamata a valutare l’affidabilità sociale e morale del proprio personale.

Il ricorso va, dunque, rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 3.500,00 per compensi oltre spese generali al 15 % ed altri accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Licenziamento in seguito a condanna penale
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