Le società per azioni con partecipazione pubblica non mutano la propria natura di soggetti di diritto privato solo perché un ente pubblico ne possiede, in tutto o in parte, le azioni, rimanendo, di conseguenza, assoggettate all’applicazione del regime privatistico con conseguente obbligo di corrispondere l’indennità sostitutiva di ferie.
Nota a Trib. Napoli 21 marzo 2024, R.G. n. n. 916/22
Pamela Coti
La società in house non può invocare a suo favore, in maniera utilitaristica, ora l’applicazione della disciplina privatistica ora l’applicazione della disciplina pubblicistica.
È quanto stabilito dal Tribunale di Napoli 21 marzo 2024 in relazione al caso di un lavoratore che si era visto negato il diritto all’ottenimento dell’indennità sostitutiva delle ferie da parte della società datrice di lavoro. Il giudice ha precisato che:
- “la società per azioni con partecipazione pubblica non muta la propria natura di soggetto di diritto privato solo perché un ente pubblico ne possegga, in tutto o in parte, le azioni, atteso che il rapporto tra società ed ente è di assoluta autonomia, al secondo non essendo consentito di incidere unilateralmente sullo svolgimento del rapporto medesimo e sull’attività della società per azioni mediante l’esercizio di poteri autoritativi o discrezionali, ma solo avvalendosi degli strumenti previsti dal diritto societario, da esercitare a mezzo dei membri di nomina pubblica presenti negli organi della società”;
- ne consegue è escluso sia che la società in house sia tenuta a rispettare i divieti introdotti, per le pubbliche amministrazioni, dalle norme nazionali e regionali, sia che essa sia assoggettata al regime di cui all’art. 52, D.Lgs. n. 165/2001 e non all’art. 2103 c.c.;
- l’art. 52, co. 1, D.Lgs. n. 165/2001, è una norma eccezionale rispetto alla previsione generale contenuta nell’art. 2103 c.c.. Pertanto, essa, risulta “applicabile esclusivamente al lavoro prestato alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, novero nel quale non può essere ricompresa la società a totale partecipazione pubblica”;
- in tal senso, “il maneggio di denaro pubblico ed il suo utilizzo per il pagamento delle retribuzioni dei lavoratori della partecipata non costituiscono un valido argomento per sottrarre i rapporti di lavoro in questione dalla disciplina di cui all’art. 2019 c.c., giacché tale disposizione nel settore del pubblico impiego, direttamente applicabile ai sensi dell’art. 2, co. 2, D.Lgs. n.165/2001, prevede espressamente ed in ogni caso il diritto al periodo annuale di ferie retribuito”.
Alla luce dei richiamati principi, confortati da consolidata giurisprudenza, il Tribunale ha altresì dichiarato il diritto del lavoratore ricorrente a percepire l’indennità sostitutiva per le ferie maturate e non godute. Ciò, rilevando che “il mancato godimento delle ferie non può essere ascritto all’inerzia del dipendente, essendo l’organizzazione delle ferie dei dipendenti stessi una prerogativa del datore di lavoro, nella specie esercitata a mezzo del dirigente sovraordinato; ne consegue che la mancata concessione delle ferie è condotta per definizione riconducibile alla sfera del datore di lavoro. Il datore di lavoro:
a) può essere liberato dalla sua obbligazione soltanto a seguito della messa in mora del lavoratore – creditore ovvero allorché questi rifiuti di godere delle ferie concessegli”;
b) può sottrarsi all’obbligo di indennizzare il lavoratore che non abbia goduto delle ferie annuali solo laddove provi di avere effettivamente messo il lavoratore stesso in condizione di esercitare il proprio diritto alle ferie medesime. Diversamente, il prestatore di lavoro ha diritto ad un’indennità per le ferie annuali non godute sino alla cessazione del rapporto di lavoro (v. art. 7, paragr. 2, Direttiva 2003/88/CE).