L’inadempimento del dovere dirigenziale di vigilare sul corretto espletamento dell’attività lavorativa dei propri collaboratori giustifica, in caso di riscontrata tolleranza di irregolarità in servizio o di grave danno all’Ente, l’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio e dalla retribuzione.

Nota a Cass. (ord.) 2 aprile 2024, n. 8642

Sonia Gioia

La condotta del dirigente che ometta di controllare il processo lavorativo e l’operato del personale ad esso addetto costituisce una violazione del dovere di “sovrintendere, nell’esercizio del proprio potere direttivo, al corretto svolgimento dell’attività del personale, anche dirigenziale, assegnato alla struttura nonché al rispetto delle norme del codice di comportamento e disciplinare” (art. 34 ccnl relativo al personale dell’Area Funzioni Locali sottoscritto il 17 dicembre 2020) ed è tale da giustificare l’irrogazione della misura sanzionatoria della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione, laddove l’inadempimento abbia cagionato un grave pregiudizio all’Amministrazione di appartenenza o a terzi, o sia accertata la tolleranza di irregolarità in servizio.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione (ord.) 2 aprile 2024, n. 8642 (conforme ad App. Milano n. 505/2018) in relazione ad una fattispecie concernente un dirigente del settore “procedure sanzionatorie e Traffico della Polizia Locale” del Comune di Milano sospeso per mesi uno dal servizio e dalla retribuzione per mancato controllo e omessa vigilanza sulle procedure di data entry che avevano determinato, per difetto di registrazione del sistema, la mancata notifica di un numero rilevante di atti, con annesso grave danno economico per l’Amministrazione.

Al riguardo, la Cassazione ha rilevato che, tenuto conto dell’esigenza di garantire servizi amministrativi di qualità e il rispetto dei principi dell’imparzialità e del buon andamento (art. 97 Cost.), il dirigente ha il dovere sovrintendere, nell’esercizio del proprio potere direttivo, al corretto svolgimento delle attività dei propri collaboratori nonché al rispetto delle nome del codice di comportamento e di disciplina, ivi compresa l’attivazione dell’azione disciplinare, secondo le disposizioni vigenti.

Tale dovere “non può non implicare quello di controllare il processo lavorativo e l’operato del personale a esso addetto, guidandone, con direttive di carattere generale, le attività”, tra cui vi rientrano anche quelle di inserimento dei dati riguardanti gli accertamenti di infrazioni rilevate con le apparecchiature autovelox.

Ciò comporta, a fronte della riscontrata “tolleranza di irregolarità in servizio” o della configurabilità del “grave danno all’Ente o a terzi”, l’applicazione, previo esperimento del procedimento disciplinare, della sanzione conservativa della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da un minimo di tre giorni ad un massimo di sei mesi ai sensi degli artt. 35 e 36, co. 8, lett. d) e l) ccnl cit.

In caso di ritenuta illegittimità della sanzione irrogata, il lavoratore può impugnare il provvedimento datoriale dinanzi all’autorità giurisdizionale affinché eserciti un controllo sulla gravità della condotta contestata e la proporzionalità della misura sanzionatoria applicata: tale accertamento, in quanto implicante un apprezzamento dei fatti storici che hanno dato origine alla controversia, costituisce un giudizio di fatto riservato al giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità, salvo che “la motivazione della sentenza impugnata sul punto manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni o argomenti tra loro inconciliabili, oppure perplessi ovvero manifestamente ed obiettivamente incomprensibili” (v., tra le tante, Cass. n. 14811/2020; Cass. n. 8293/2012; Cass. n. 7948/2011).

Pertanto, laddove sia contestata la valutazione del giudice in relazione alla proporzionalità della sanzione irrogata – “che è il frutto di selezione e valutazione di una pluralità di elementi” – la parte ricorrente, per ottenere la cassazione della pronuncia impugnata, non può limitarsi ad invocare una diversa combinazione di tali elementi o un diverso peso specifico di ciascuno di essi, ma deve denunciare (seppur entro i limiti della c.d. “doppia conforme”) l’omesso esame di un “fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti” (art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c.), nel senso che “l’elemento trascurato avrebbe condotto ad un diverso esito della controversia con certezza e non con grado di mera probabilità” (Cass. n. 20817/2016; Cass. n. 18715/2016).

In attuazione di tali principi, la Cassazione, nel confermare la pronuncia di merito che aveva ritenuto proporzionata l’applicazione della sanzione conservativa della sospensione dal servizio e dal compenso (ex artt. 5, 6 e 7 ccnl del personale dirigente del comparto Regioni e Autonomie Locali sottoscritto il 22 febbraio 2010, applicabile ratione temporis),  ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso presentato dal lavoratore in quanto diretto a contestare il giudizio di proporzionalità, senza però denunciare il fatto decisivo omesso che sarebbe stato trascurato dalla Corte territoriale, nonché  a criticare l’apprezzamento della gravità della condotta tenuta dal dirigente, sollecitando, tuttavia, in questo modo, “un sindacato che esonda dai confini del giudizio di legittimità perché spettano inevitabilmente al giudice di merito le connotazioni valutative dei fatti accertati nella loro materialità, nella misura necessaria ai fini della loro riconducibilità – in termini positivi o negativi – all’ipotesi normativa”.

Sentenza 

CORTE DI CASSAZIONE, ordinanza 2 aprile 2024 n. 8642

Svolgimento del processo

1.con sentenza del 19.4.2018 la Corte d’appello di Milano confermava la decisione del locale Tribunale che aveva rigettato la domanda di A.A., dirigente del settore “Procedure sanzionatorie e Traffico della Polizia Locale” del Comune di Milano, volta all’annullamento della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per mesi uno, irrogata, come da contestazione del 3.3.2014, per mancato controllo e omessa vigilanza sulle procedure di data entry che avevano determinato, per difetto di registrazione del sistema, la mancata notifica di un numero rilevante di atti (1511 verbali d’accertamento prescritti e 2244 tardivamente caricati) con connesso grave danno economico;

2. il giudice d’appello rilevava che: i) all’epoca della messa in funzione dei nuovi autovelox (novembre 2012) A.A. era dirigente responsabile del settore, sicché l’errata registrazione del periodo maggio-dicembre 2013 ricadeva nell’ambito delle sue responsabilità, ii) la scoperta degli erronei inserimenti nel sistema era stata frutto di un casuale controllo di altri operatori della polizia locale (Servizio Radio Mobile), iii) la A.A. nessuna indicazione generale aveva fornito sulle modalità di effettuazione dei controlli, peraltro non estesi ai dati degli autovelox, iv) l’attività di controllo era stata lasciata alla libera interpretazione del singolo operatore; ciò posto, riteneva i fatti addebitati totalmente acclarati;

3. quanto alla proporzionalità della sanzione, il difettoso inserimento dati che aveva compromesso il procedimento di notificazione aveva recato un danno potenziale di Euro 250.000,00 il cui importo era di notevole entità in relazione agli obblighi previsti dal C.C.N.L. Area dirigenti;

4. avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione A.A. sulla base di due motivi assistiti da memoria, resistiti dal Comune di Milano con controricorso illustrato da memoria.

Motivi della decisione

1.con il primo motivo si denuncia violazione dell’art. 2106 cod. civ. e degli artt. 6 e 7 C.C.N.L. dirigenti comparto regioni e autonomie locali del 22.2.2010, per avere il giudice d’appello erroneamente ritenuto proporzionata la sanzione della sospensione dal servizio e dalla retribuzione per un mese, senza considerare tutti gli aspetti della condotta nonché il fatto che il sistema (Omissis) non aveva un sistema di Alert (oltretutto la percentuale degli accertamenti non inseriti sul totale complessivo di 2.370.052 era pari soltanto allo 0,064%);

1.1 il motivo è inammissibile;

secondo un risalente e costante insegnamento, infatti, il giudizio di proporzionalità è devoluto al giudice di merito (ex pluribus: Cass. n. 8293 del 2012; Cass. n. 7948 del 2011; Cass. n. 24349 del 2006; Cass. n. 3944 del 2005; Cass. n. 444 del 2003). La valutazione in ordine alla suddetta proporzionalità, implicante inevitabilmente un apprezzamento dei fatti storici che hanno dato origine alla controversia, è ora sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione della sentenza impugnata sul punto manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro inconciliabili, oppure perplessi ovvero manifestamente ed obiettivamente incomprensibili (in termini v. Cass. n. 14811 del 2020); tale pronuncia ribadisce, poi, che in caso di contestazione circa la valutazione sulla proporzionalità della condotta addebitata – che è il frutto di selezione e di valutazione di una pluralità di elementi – la parte ricorrente, per ottenere la cassazione della sentenza impugnata, non solo non può limitarsi ad invocare una diversa combinazione di detti elementi o un diverso peso specifico di ciascuno di essi, ma con la nuova formulazione del n. 5 dell’art. 360, deve denunciare – beninteso, entro i limiti della cd. “doppia conforme” – l’omesso esame di un fatto avente, ai fini del giudizio di proporzionalità, valore decisivo, nel senso che l’elemento trascurato avrebbe condotto ad un diverso esito della controversia con certezza e non con grado di mera probabilità (cfr. Cass. n. 18715 del 2016; Cass. n. 20817 del 2016).

Nel caso all’attenzione del Collegio, la sostanza della censura mira a contestare il giudizio di proporzionalità – senza però enucleare il fatto decisivo omesso che sarebbe stato trascurato dalla Corte territoriale -, nonché a criticare l’apprezzamento della gravità della condotta tenuta in concreto dal lavoratore, che, secondo la ricorrente, non avrebbe giustificato l’applicazione della sanzione conservativa in concreto irrogata; ma così si sollecita un sindacato che esonda dai confini del giudizio di legittimità perché spettano inevitabilmente al giudice di merito le connotazioni valutative dei fatti accertati nella loro materialità, nella misura necessaria ai fini della loro riconducibilità – in termini positivi o negativi – all’ipotesi normativa; fatti qui accertati non solo con riferimento alle caratteristiche della condotta nelle sue componenti soggettive e oggettive, criticamente vagliate dal giudice di secondo grado, ma anche con riferimento alla gravità del danno da essa potenzialmente arrecato;

2. con il secondo mezzo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 5 C.C.N.L. dirigenti del comparto regioni del 22.10.2010, per avere la Corte di merito errato nel ritenere che rientrassero tra le responsabilità dirigenziali della ricorrente anche quella di mettere in atto un sistema adeguato di controllo sulle procedure di inserimento dei dati; secondo la ricorrente, l’istruttoria espletata dimostrava che i controlli sull’attività di data entry erano stati eseguiti dal Servizio procedure sanzionatorie gestione verbali cui era addetto il singolo operatore, il quale “comunque riportava alla A.A.”;

2.1 il motivo è, prima ancora che infondato, inammissibile;

da un lato, sollecita un diverso esame, che è precluso in sede di legittimità, del compendio istruttorio, dall’altro non coglie che il dovere di “sovrintendere, nell’esercizio del proprio potere direttivo, al corretto svolgimento dell’attività del personale, anche di livello dirigenziale, assegnato alla struttura, nonché al rispetto delle norme del codice di comportamento e disciplinare” (art. 5 C.C.N.L. cit.) non può non implicare quello di controllare il processo lavorativo e l’operato del personale a esso addetto, guidandone, con direttive di carattere generale, le attività, tra cui quelle di data entry riguardanti, appunto, gli accertamenti di infrazioni rilevate con le apparecchiature autovelox (qui oggetto dell’inserimento con codice errato nel sistema “(Omissis)”); il che comporta, come rettamente rilevato dal giudice d’appello, a fronte della riscontrata “tolleranza di irregolarità di servizio” o della configurabilità del “grave danno all’ente”, l’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio “con privazione della retribuzione da un minimo di 3 giorni fino a un massimo di 6 mesi” (così come previsto dall’art. 7, comma 8, del C.C.N.L., cit.);

3. conclusivamente, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro. 200,00 per esborsi e Euro. 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali al 15 % e accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.

 

Omesso controllo sull’operato dei dipendenti: giustificata la sospensione del dirigente
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