La sistematica richiesta o accettazione di prestazioni eccedenti i limiti massimi stabiliti dalla legge o dalla contrattazione collettiva dà diritto al risarcimento del danno alla salute qualora il dirigente provi che le prestazioni, per le irragionevoli condizioni temporali, in una eventualmente al contesto in cui si sono svolte, sono state in concreto lesive della personalità morale del lavoratore.
Nota a Cass. (ord.) 5 aprile 2024, n. 9126
Maria Novella Bettini
“In tema di dirigenza medica nel pubblico impiego privatizzato, lo svolgimento di lavoro straordinario inteso quale prestazione eccedente gli orari stabiliti dalla contrattazione collettiva non fa sorgere in capo al dirigente diritti retributivi ulteriori rispetto a quanto previsto a titolo di retribuzione di risultato o a titolo di remunerazione di specifiche attività aggiuntive (ad es. pronta disponibilità, guardie mediche, prestazioni autorizzate non programmabili, ecc.). Tuttavia, la sistematica richiesta o accettazione di prestazioni eccedenti i limiti massimi stabiliti dalla legge o dalla contrattazione collettiva rispetto alla misura (giornaliera, settimanale, periodale o annua) del lavoro o la violazione delle regole sui riposi, come anche, qualora tali norme non si applichino o, per talune scansioni temporali, manchino, lo svolgimento della prestazione secondo modalità temporali irragionevoli, rendono il datore di lavoro responsabile, ai sensi dell’art. 2087 c.c., del risarcimento del danno cagionato alla salute (art. 32 Cost.) o alla personalità morale (artt. 35 e 2 Cost., in relazione all’art. 2087 c.c.) del lavoratore; peraltro, mentre il danno derivante dal carattere gravoso o usurante della prestazione, quando sia allegata e provata la violazione sistematica di norme specifiche sui limiti massimi dell’orario o la violazione di norme sui riposi, è da ritenere “in re ipsa”, nel caso in cui viceversa tali norme non siano applicabili o manchino, chi agisce per ottenere il risarcimento è tenuto ad allegare e provare che le prestazioni, per le irragionevoli condizioni temporali, in una eventualmente al contesto in cui si sono svolte, sono state in concreto lesive della personalità morale del lavoratore.”
Questo, il principio ribadito dalla Corte di Cassazione (ord. 5 aprile 2024, n. 9126; analogamente, v. Cass. n. 34968/2022, in q. sito con nota di F.DURVAL; e Cass. n. 16711/2020), la quale ha rilevato che:
– le Sezioni unite della Corte medesima hanno evidenziato come l’art. 65, ccnl 5 dicembre 1996, area dirigenza medica e veterinaria (disapplicato dall’art. 71 ccnl vigente, che regola retribuzione di risultato, ndr) laddove prevede l’erogazione di una retribuzione di risultato compensativa anche dell’eventuale superamento dell’orario lavorativo per il raggiungimento dell’obiettivo assegnato, esclude in via generale il diritto del dirigente medico, incaricato della direzione di struttura, al compenso per lavoro straordinario. Ciò, senza distinguere fra superamento dell’orario di lavoro preordinato al raggiungimento dei risultati assegnati e orario imposto dalle esigenze del servizio ordinario, “poiché la complessiva prestazione del dirigente deve essere svolta al fine di conseguire gli obiettivi propri ed immancabili dell’incarico affidatogli” (v. Cass. SU, n. 9146/2009; e, fra tante, Cass. n. 28942/2019; Cass. n. 18271/2018 e Cass. n. 28787/2017);
– trattandosi di esigenze comuni all’intera dirigenza medica, il suddetto principio si applica anche al personale dirigente in posizione non apicale e risponde ad una lettura sistematica delle norme contrattuali, tranne quando abbiano inteso riconoscere (come per l’attività connessa alle guardie mediche o alla cosiddetta pronta disponibilità) un compenso delle ore straordinarie per i medici-dirigenti (v. Cass. n. 21010/2015 e Cass. n. 8958/2012);
– in sintesi, ai fini di un possibile risarcimento del danno per lesione del bene salute, rileva l’accettazione di prestazioni eccedenti i limiti massimi stabiliti dalla legge o dalla contrattazione collettiva o, comunque, l’accettazione di una prestazione resa, per esigenze di servizio, con modalità temporali irragionevoli. Ciò in ragione dell’obbligo di tutelare la salute e la personalità morale dei dipendenti, che grava sul datore di lavoro, ai sensi dell’art. 2087 c.c., il quale risulta violato dall’imposizione di ritmi di lavoro usuranti come dalla accettazione, e quindi dal mancato impedimento, di una prestazione lavorativa che ecceda il ragionevole tempo di lavoro.
Nel caso di specie, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso del dirigente medico in quanto egli non aveva fornito gli elementi di prova necessari in relazione alle caratteristiche qualitative della prestazione ulteriore, né in relazione alla specifica natura dell’attività espletata durante la quota oraria asseritamente eccedente l’orario normale di lavoro.
Sentenza
CORTE DI CASSAZIONE Ordinanza 5 aprile 2024, n. 9126
Dirigenti medici di struttura complessa
Rilevato che:
1.La Corte d’Appello di Bari ha respinto l’appello di A.A., confermando la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda dal medesimo proposta nei confronti della Fondazione Casa Sollievo della Sofferenza – I.R.C.C.S. Opera Padre Pio da Pietrelcina (d’ora in avanti anche “Fondazione”) al fine di ottenere la retribuzione del lavoro straordinario svolto nel periodo compreso tra l’1 gennaio 2007 e il 31 novembre 2009, quale responsabile di struttura complessa dell’Unità Operativa di Anatomia Patologica del predetto Ospedale.
2. La Corte territoriale ha richiamato, a sostegno del decisum, l’orientamento espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 9146 del 2009 secondo cui, nei confronti dei lavoratori con qualifica dirigenziale, esclusi dalla disciplina legale delle limitazioni dell’orario di lavoro, il diritto al compenso per il lavoro straordinario può sorgere nel caso in cui la normativa collettiva (o la prassi aziendale o il contratto individuale) delimiti anche per essi un orario normale di lavoro, che risulti in concreto superato, oppure, ove non sussista tale delimitazione oraria, nel caso in cui la prestazione lavorativa ecceda i limiti della ragionevolezza in rapporto alla tutela, costituzionalmente garantita, del diritto alla salute; ha rilevato come successive pronunce della S.C. abbiano escluso, in base all’art. 65 c.c.n.l. Area dirigenza medica e veterinaria – parte normativa quadriennio 1994-1997, il diritto del dirigente, incaricato della direzione di struttura complessa, ad essere compensato per il lavoro straordinario, non essendo possibile distinguere tra il superamento dell’orario di lavoro preordinato al raggiungimento dei risultati assegnati e quello imposto da esigenze di servizio ordinario, dovendo la complessiva prestazione del dirigente essere svolta al fine di seguire gli obiettivi propri e immancabili dell’incarico affidatogli; che le stesse pronunce hanno evidenziato, alla luce di una lettura sistematica delle previsioni contrattuali, i casi in cui la disciplina collettiva ha inteso riconoscere (come per l’attività connessa alle guardie mediche) un compenso per il lavoro straordinario anche a favore dei dirigenti medici; ha osservato che una analoga regolamentazione è dettata dal c.c.n.l. ARIS-ANMIRS 1998-2001, applicabile ai dirigenti medici dipendenti dagli Ospedali classificati IRCCS, che all’art. 8, secondo comma, esclude i dirigenti di struttura complessa dall’obbligo di osservare un orario di lavoro e all’art. 39 statuisce che “quando l’eccedenza oraria è finalizzata all’ottenimento di un risultato la stessa è compensata dalla retribuzione di risultato di cui all’art. 41, in quanto facente parte del budget concordato per il raggiungimento degli obiettivi assegnati (di cui al comma 1 art. 41) al singolo medico”; che con l’Accordo Ponte del 28.12.2006 le parti collettive hanno confermato integralmente, per il quadriennio 2002-2005, la regolamentazione normativa del rapporto di lavoro come definita dal c.c.n.l. 1998-2001, prevedendo che le relative disposizioni sarebbero rimaste in vigore fino alla loro sostituzione ad opera del successivo contratto collettivo; ha quindi ritenuto che il sistema retributivo disciplinato dalla contrattazione collettiva per compensare l’attività dei dirigenti medici deponesse in senso univoco per la non configurabilità del lavoro straordinario da parte dei dirigenti preposti ad una struttura complessa; ha giudicato irrilevanti le difese dell’appellante volte a dimostrare, oltre all’orario straordinario svolto, l’esistenza di una autorizzazione a tal fine o di una prassi di remunerazione dello stesso anche a favore dei dirigenti; ha, comunque, interpretato la nota dell’8 ottobre 1996 come volta a consentire la remunerazione di sole due ore settimanali di straordinario per i dirigenti di struttura complessa, in via di eccezione e in deroga alla contrattazione collettiva, e la nota del 29 dicembre 2006 come escludente, a partire dal 2004, ogni possibilità di compenso dell’eccedenza oraria per i predetti (rilevando come le buste paga prodotte per documentare l’avvenuto pagamento del lavoro straordinario dell’appellante si fermassero al 2004) ed ha giudicato potenzialmente “assorbente” tale accertamento; ha negato il diritto al risarcimento per prestazione di lavoro che valichi il limite di ragionevolezza osservando come l’appellante, oltre ad avere percepito la retribuzione di risultato (come allegato nella memoria di costituzione della Fondazione, a p. 15, e dalla stessa documentato attraverso la produzione delle buste paga), non è stato autorizzato allo svolgimento di lavoro straordinario né ha richiesto di prestare lo stesso, risultando invece espressi richiami di segno contrario da parte datoriale e mancando una prova rigorosa delle esigenze di servizio che avrebbero imposto ritmi di lavoro usuranti; ha confermato il rigetto della domanda proposta ai sensi dell’art. 2041 c.c. per difetto dei presupposti normativi, osservando che la facoltà del lavoratore di ottenere la remunerazione delle prestazioni eccedentarie eseguite, rivendicando la retribuzione di risultato o il risarcimento del danno per l’omessa definizione degli obiettivi, collide col carattere sussidiario dell’azione di indebito arricchimento.
3. Avverso tale sentenza A.A. ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi. La Fondazione “Casa Sollievo della Sofferenza” – I.R.C.C.S. Opera da Padre Pio da Pietrelcina ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
4. Il Collegio si è riservato di depositare l’ordinanza nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., come modificato dal D.Lgs. n. 149 del 2022.
Considerato che:
5. Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione degli artt. 3, 8, 39 e 41 del CCNL ARIS-ANMIRS 1998-2001 in relazione agli artt. 1363 e 1367 c.c. Il ricorrente assume che la Corte di merito ha errato nell’interpretare ed applicare l’art. 8 del CCNL (secondo cui “i dirigenti medici assicurano l’orario di servizio disposto dalla direzione sanitaria d’intesa con i responsabili dei relativi settori; l’orario settimanale di 38 ore per i dirigenti medici a tempo pieno e di 28,30 ore per i dirigenti medici a tempo definito, è articolato per le varie strutture organizzative nel numero di turni e con l’orario di massima richiesti dal responsabile di settore… Nell’ambito dell’assetto organizzativo dell’azienda, i dirigenti medici con incarico di struttura complessa assicurano la propria presenza in servizio ed il proprio tempo di lavoro, in modo flessibile, correlando l’impegno di servizio alle esigenze della struttura cui sono preposti e all’espletamento dell’incarico affidato, in relazione agli obiettivi e programmi da realizzare e coordinano, altresì, la flessibilità oraria dei propri collaboratori…”) il cui primo comma obbliga tutti i dirigenti medici, senza alcuna distinzione, all’osservanza dell’orario di servizio disposto dalla direzione sanitaria nell’ambito di 38 ore settimanali; mentre il secondo comma prevede modalità flessibili di articolazione del tempo di lavoro non solo per i medici responsabili di struttura complessa ma anche per i loro collaboratori. Il ricorrente rileva, inoltre, che, diversamente rispetto al settore pubblico impiego, l’articolo 39 CCNL ARIS-ANMIRS 1998-2001 prevede la possibilità di ricorso al lavoro straordinario anche nel caso di “autorizzazione del dirigente della struttura e della Direzione sanitaria” e l’art. 41 stabilisce che l’eventuale lavoro supplementare viene compensato con la retribuzione di risultato solo quando sia collegato al raggiungimento di un obiettivo concordato. In conclusione, dagli articoli 8, 39 e 41 del contratto collettivo applicabile si ricava contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte d’appello, che: a) anche i dirigenti responsabili di struttura complessa sono tenuti al rispetto di un orario settimanale, seppure articolato in modo flessibile; b) il ricorso al lavoro straordinario è ammesso per ragioni di necessità se autorizzato dal superiore gerarchico e dalla Direzione sanitaria; c) la retribuzione di risultato compensa le eventuali ore lavorative eccedenti solo “quando” sono correlate agli obiettivi negoziati e concordati.
6. Il motivo non è fondato.
7. La Corte d’appello, in ragione della sostanziale sovrapponibilità delle previsioni del c.c.n.l. per la dirigenza medica e veterinaria del 1994-1997 e successivi e del c.c.n.l. ARIS-ANMIRS 1998-2001 applicabile al rapporto in esame, ha interpretato le disposizioni sopra richiamate, e disciplinanti in particolare l’orario di lavoro e la retribuzione di risultato, in conformità alle plurime pronunce di legittimità intervenute sul contratto per la dirigenza medica.
8. A quest’ultimo proposito, già le Sezioni Unite di questa Corte, chiamate ad interpretare la disposizione che qui viene in rilievo, hanno evidenziato che “l’art. 65 del c.c.n.l. 5 dicembre 1996, area dirigenza medica e veterinaria, nel prevedere la corresponsione di una retribuzione di risultato compensativa anche dell’eventuale superamento dell’orario lavorativo per il raggiungimento dell’obiettivo assegnato, esclude in generale il diritto del dirigente, incaricato della direzione di struttura, ad essere compensato per lavoro straordinario, senza che, dunque, sia possibile la distinzione tra il superamento dell’orario di lavoro preordinato al raggiungimento dei risultati assegnati e quello imposto da esigenze del servizio ordinario, poiché la complessiva prestazione del dirigente deve essere svolta al fine di conseguire gli obiettivi propri ed immancabili dell’incarico affidatogli” (v. Cass., Sez. Un., 17 aprile 2009, n. 9146); il principio è stato, poi, ribadito in successive decisioni con le quali si è precisato che lo stesso si applica anche al personale dirigente in posizione non apicale “rispondendo ad esigenze comuni all’intera dirigenza e ad una lettura sistematica delle norme contrattuali, che, ove hanno inteso riconoscere (come per l’attività connessa alle guardie mediche) una compensazione delle ore straordinarie per i medici-dirigenti, lo hanno specificamente previsto” (v. Cass. 4 giugno 2012, n. 8958; Cass. 16 ottobre 2015, n. 21010); anche in più recenti pronunce è stato escluso il diritto del dirigente medico ad essere compensato per lavoro straordinario, senza che, dunque, sia possibile la distinzione tra il superamento dell’orario di lavoro preordinato al raggiungimento dei risultati assegnati e quello imposto da esigenze del servizio ordinario, poiché la complessiva prestazione del dirigente deve essere svolta al fine di conseguire gli obiettivi propri ed immancabili dell’incarico affidatogli (v. Cass. 22 marzo 2017, n. 7348; Cass. 28 marzo 2017, n. 7921; Cass. 26 aprile 2017, n. 10322; Cass. 30 novembre 2017, n. 28787; Cass. 2 luglio 2018, n. 17260; Cass. 11 luglio 2018, n. 18271; Cass. 8 novembre 2019, n. 28942); del resto, come è stato anche affermato nelle citate decisioni, quando la disciplina collettiva ha inteso riconoscere una compensazione delle ore di lavoro straordinario per i medici-dirigenti lo ha specificamente previsto come avvenuto per l’attività connessa alle guardie mediche o alla cosiddetta pronta disponibilità (artt. 19 e 20 c.c.n.l.).
9. L’interpretazione data dai giudici di appello, in linea con i citati precedenti di legittimità che, se pure relativi al contratto collettivo nazionale della dirigenza medica, concernono disposizioni di contenuto analogo a quelle applicabili nella fattispecie peer cui è causa, è condivisa da questo Collegio che la reputa conforme ai canoni ermeneutici di tipo letterale e sistematico, e ciò comporta l’insussistenza del vizio di violazione di legge denunciato col motivo in esame.
10. Con il secondo motivo è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione degli artt. 8, 39 e 41 del c.c.n.l. ARIS-ANMIRS 1998-2001 in relazione agli artt. 1362 c.c. nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. Il ricorrente sostiene che la possibile coesistenza dei vincoli di orario, del lavoro straordinario e della retribuzione accessoria, per i dirigenti di struttura complessa, potrebbe ricavarsi della diffusione di una prassi aziendale di segno contrario rispetto all’interpretazione data dai giudici di merito ed assume che la Corte d’appello ha omesso di esaminare fatti decisivi, comprovati dai documenti (elencati a pag. 15 e ss. del ricorso) e dalle deposizioni testimoniali, e relativi all’esistenza di una prassi aziendale ultradecennale sulla possibilità, per i dirigenti di struttura complessa, di eseguire lavoro straordinario senza preventivo assenso datoriale e alla effettiva introduzione dell’istituto della retribuzione di risultato solo dopo il 2009, quindi in epoca successiva al periodo oggetto di causa.
11. Il motivo è inammissibile per più profili. Anzitutto, non investe la ratio decidendi su cui si basa la decisione di appello, cioè la non configurabilità in diritto del lavoro straordinario per i medici dirigenti di struttura complessa, ma critica gli argomenti utilizzati nel corpo della motivazione solo ad abundantiam. La Corte di merito ha definito irrilevanti, in ragione della soluzione data alla questione giuridica, le difese concernenti l’esistenza o meno della prova di una autorizzazione al lavoro oltre l’orario normale o di una prassi di svolgimento dello stesso.
12. Le censure sono inammissibili anche perché non rispettano i confini entro cui può essere dedotto il vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c., puntualmente delineati dalle S.U. di questa Corte con le sentenze n. 8053 e 8054 del 2014. La parte ricorrente non denuncia l’omesso esame di un determinato fatto storico avente rilievo decisivo e, come tale, idoneo, ove considerato, a provocare un esito diverso della controversia, ma critica la valutazione dell’intero materiale probatorio raccolto sollecitando una revisione del procedimento decisorio non consentita in questa sede di legittimità. La censura è rivolta a plurimi elementi probatori e ciò evidenzia la non decisività di ciascuno di essi. Peraltro, l’affermazione sulla effettiva corresponsione della retribuzione di risultato solo in epoca successiva al periodo oggetto di causa è contraddetta dal rilievo dei giudici di appello (v. sentenza p. 8, secondo cpv.) sulla “assenza di specifiche deduzioni in ordine alla remunerazione di fatto già riconosciuta sub specie di retribuzione di risultato… (v. sopra art. 39 CCNL nonché i non contestati importi percepiti a tale titolo, indicati a pagina 15 della comparsa di costituzione in appello della Fondazione, quali documentati tra l’altro dalle buste paga prodotte da quest’ultima)”.
13. Con il terzo motivo è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione degli artt. 8 e 39 del c.c.n.l. 1998-2001 in relazione all’art. 2087 c.c. e agli artt. 32, 36 e 42 Cost. nonché omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. Si assume che la Corte d’appello ha negato il diritto al risarcimento da lavoro usurante dando peso al compenso ricevuto sub specie di retribuzione di risultato, in realtà mai percepita dal lavoratore, e alla assenza di autorizzazione allo straordinario e di prescrizioni datoriali sui ritmi di lavoro, elementi entrambi irrilevanti ai fini della tutela dell’integrità psicofisica del dipendente, oltre che logicamente contraddittori con la supposta autonomia di gestione del medesimo. Si sottolinea come la tutela, rivendicata ai sensi dell’art. 32 Cost., si attagli proprio ai casi in cui il lavoratore non sia tenuto all’osservanza di un orario di lavoro ed impone di indagare sulla violazione del principio di ragionevolezza, prescindendo la tutela ex art. 2087 c.c. dalla volontarietà o meno del superamento, nella prestazione lavorativa, dei limiti imposti dalla legge o dalla contrattazione collettiva.
14. Il motivo non può trovare accoglimento, dovendosi tuttavia rettificare e integrare, ai sensi dell’art. 384, ultimo comma, c.p.c., alcune affermazioni contenute nella sentenza perché errate in diritto.
15. Questa Corte ha statuito che “In tema di dirigenza medica nel pubblico impiego privatizzato, lo svolgimento di lavoro straordinario inteso quale prestazione eccedente gli orari stabiliti dalla contrattazione collettiva non fa sorgere in capo al dirigente diritti retributivi ulteriori rispetto a quanto previsto a titolo di retribuzione di risultato o a titolo di remunerazione di specifiche attività aggiuntive (ad es. pronta disponibilità, guardie mediche, prestazioni autorizzate non programmabili, ecc.). Tuttavia, la sistematica richiesta o accettazione di prestazioni eccedenti i limiti massimi stabiliti dalla legge o dalla contrattazione collettiva rispetto alla misura (giornaliera, settimanale, periodale o annua) del lavoro o la violazione delle regole sui riposi, come anche, qualora tali norme non si applichino o, per talune scansioni temporali, manchino, lo svolgimento della prestazione secondo modalità temporali irragionevoli, rendono il datore di lavoro responsabile, ai sensi dell’art. 2087 c.c., del risarcimento del danno cagionato alla salute (art. 32 Cost.) o alla personalità morale (art. 35 e 2 Cost., in relazione all’art. 2087 c.c.) del lavoratore; peraltro, mentre il danno derivante dal carattere gravoso o usurante della prestazione, quando sia allegata e provata la violazione sistematica di norme specifiche sui limiti massimi dell’orario o la violazione di norme sui riposi, è da ritenere “in re ipsa”, nel caso in cui viceversa tali norme non siano applicabili o manchino, chi agisce per ottenere il risarcimento è tenuto ad allegare e provare che le prestazioni, per le irragionevoli condizioni temporali, in una eventualmente al contesto in cui si sono svolte, sono state in concreto lesive della personalità morale del lavoratore.” (Cass. n. 16711 del 2020; v. anche Cass. n. 34968 del 2022).
16. La sentenza impugnata non rispecchia tali principi nella parte in cui afferma (p. 9 primo cpv.) che “la prestazione resa dal A.A. non può essere valutata in termini di gravosità o usura imputabili al datore di lavoro in quanto oggetto di una libera scelta del dirigente, svincolata da ogni obbligo nei confronti del datore di lavoro… Il che rende inconferenti le risultanze istruttorie… in quanto, comunque, inidonee a dimostrare che l’appellante sia stato a suo tempo obbligato dal datore di lavoro a trattenersi oltre l’orario di lavoro”.
17. La giurisprudenza richiamata e condivisa da questo Collegio collega la responsabilità datoriale alla sistematica richiesta o anche alla “accettazione” di prestazioni eccedenti i limiti massimi stabiliti dalla legge o dalla contrattazione collettiva o, comunque, all’accettazione di una prestazione resa, per esigenze di servizio, con modalità temporali irragionevoli. E ciò per la ragione che l’obbligo di tutelare la salute dei dipendenti, che grava su parte datoriale, ai sensi dell’art. 2087 c.c., è parimenti violato sia dall’imposizione di ritmi di lavoro usuranti e sia dalla accettazione, e quindi dal mancato impedimento, di una prestazione lavorativa che ecceda il ragionevole tempo di lavoro, sì da tradursi in un rischio di lesione del bene salute.
18. Nonostante l’errata premessa in diritto, che va come sopra rettificata, la Corte d’appello ha, in fatto, ritenuto non assolto l’onere del lavoratore di allegazione e prova “in relazione alle caratteristiche qualitative della prestazione ulteriore… ovvero in relazione alla specifica natura dell’attività espletata durante la quota oraria asseritamente eccedente l’orario normale di lavoro” (sentenza, p. 9). Ha spiegato che il A.A. si era limitato ad allegare i numeri medi annuali degli esami e dei referti istologici prodotti dalla Struttura di Anatomia Patologica da lui diretta e a dedurre in modo generico l’incompletezza dell’organico, senza peraltro fornire alcuna dimostrazione di ciò.
19. Il ricorrente replica a tali punti di motivazione adducendo di avere allegato e dimostrato l’esistenza di esigenze di servizio ed anche la qualità del lavoro svolto nel periodo in esame, con particolare riferimento al carico di lavoro, ai tempi di evasione, alle condizioni logistiche e strutturali e alla costante carenza di organico, fornendo anche dati ai fini di un’utile comparazione con gli standard italiani ed Europei in materia. Tali critiche, intrise di riferimenti ai dati fattuali e probatori, investono l’accertamento in fatto compiuto dai giudici di merito e non superano, per tale ragione, il vaglio di inammissibilità, specie in una condizione di cd. doppia conforme ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., richiedendosi a questa Corte di rivalutare, in sostanza, il materiale probatorio che si assume significativo del carattere usurante della prestazione.
20. Con il quarto motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione degli artt. 2041 e 2042 c.c. e dell’art. 434 c.p.c., per avere la Corte respinto la domanda di ingiustificato arricchimento per difetto del requisito di sussidiarietà.
Osserva che la giurisprudenza di legittimità nega il diritto del dipendente a percepire la retribuzione di risultato o il risarcimento del danno da perdita di chance nel caso in cui l’amministrazione non abbia predisposto i criteri di determinazione e misurazione degli obiettivi. Rileva, sulla premessa che siano coesistenti il regime del lavoro straordinario e quello della retribuzione di risultato, che, in mancanza dell’autorizzazione al lavoro straordinario, egli non aveva altra azione, per ottenere un’indennità risarcitoria del lavoro eccedente prestato, se non quella generale di arricchimento senza causa.
21. Il motivo è inammissibile nella parte in cui si fonda su un presupposto smentito dalla sentenza impugnata, che ha escluso la configurabilità del lavoro straordinario nei confronti dei dirigenti di struttura complessa, la cui prestazione eccedente l’orario finalizzata all’ottenimento di un risultato trova compenso nella retribuzione di risultato.
22. Il motivo è per il resto infondato atteso che la Corte d’appello ha escluso la ricorrenza della sussidiarietà rilevando che la domanda di pagamento del lavoro straordinario era stata formulata come basata su un titolo contrattuale (autorizzazione di parte datoriale o prassi) non comprovato e parimenti la domanda di indennizzo per prestazione oltre i limiti di ragionevolezza era stata prospettata a fronte di un inadempimento datoriale non dimostrato, non potendo ritenersi integrato il requisito di sussidiarietà, ai dini dell’art. 2041 c.c., in ragione della infondatezza delle domande proposte.
23. Per le considerazioni svolte il ricorso deve essere respinto.
24. La regolazione delle spese del giudizio di legittimità segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo.
25. Il rigetto del ricorso costituisce presupposto processuale per il raddoppio del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 (cfr. Cass. S.U. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 10.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.