L’attività di lavoro prestata dal convivente non può, a priori, considerarsi gratuita.

Nota a Cass. ord. 11 aprile 2024, n. 9778

Pamela Coti

Nel contesto di rapporti di convivenza more uxorio, l’elemento della eterodirezione si esprime in forma attenuata, senza necessità che esso si estrinsechi in ordini specifici e dettagliati, essendo, viceversa, sufficiente lo stabile inserimento nell’ambito dell’organizzazione aziendale del convivente.

È quanto sancito dalla Corte di Cassazione con ord. 11 aprile 2024, n. 9778, in relazione al caso di una lavoratrice che svolgeva la propria attività lavorativa presso la struttura aziendale del convivente, osservando l’orario di apertura dell’esercizio e occupandosi quotidianamente della gestione amministrativa e contabile dello stesso, avendo altresì rapporti costanti con clienti e fornitori.

Al riguardo il Collegio ha premesso che “ogni attività oggettivamente configurabile come prestazione di lavoro subordinato si presume effettuata a titolo oneroso, ma può essere ricondotta ad un rapporto diverso, …  caratterizzato dalla gratuità della prestazione, ove risulti dimostrata la sussistenza della finalità di solidarietà in luogo di quella lucrativa” (Cass. n. 7703/2018, annotata in q. sito da P. PIZZUTI) Cass. n. 7917/2015, Cass. n. 11089/2012, Cass. n. 1833/2009, Cass. n. 3602/2006) ed ha osservato che:

  • in relazione all’accertamento della natura subordinata del rapporto reso nell’ambito di convivenza more uxorio “occorre muovere dalla considerazione che le unioni di fatto, quali formazioni sociali rilevanti ex art.2 Cost., sono caratterizzate da doveri di natura morale e sociale, di ciascun convivente nei confronti dell’altro, che si esprimono anche nei rapporti di natura patrimoniale e si configurano come adempimento di un’obbligazione naturale ove siano rispettati i principi di proporzionalità ed adeguatezza”;
  • ne deriva che, in tale contesto, l’attività lavorativa e di assistenza svolta in favore del convivente incardina una siffatta connotazione quando sia espressione dei vincoli di solidarietà ed affettività di fatto esistenti, alternativi a quelli tipici di un rapporto a prestazioni corrispettive, quale il rapporto di lavoro subordinato, benché non possa escludersi che, talvolta, essa trovi giustificazione proprio in quest’ultimo, del quale deve fornirsi prova rigorosa (Cass. n. 1266/2016);
  • l’accertamento dell’eterodirezione deve essere valutato nello specifico contesto del rapporto sentimentale e di convivenza more uxorio instauratosi tra i conviventi alla stregua del quale il concreto apprezzamento della natura subordinata del rapporto deve tenere conto che l’elemento della eterodirezione si esprime in forma attenuata, senza necessità di una sua estrinsecazione in ordini specifici e dettagliati, essendo sufficiente a sostanziare la natura subordinata del rapporto di lavoro il pieno e stabile inserimento della convivente lavoratrice nella organizzazione di lavoro del convivente datore di lavoro e l’assenza in capo alla stessa di autonomia gestionale.

Sentenza

CORTE DI CASSAZIONE, ordinanza 11 aprile 2024, n. 9778

Svolgimento del processo

1.Con sentenza n. 2027/2022 la Corte d’appello di Roma ha confermato la decisione di primo grado con la quale era stata accertata la esistenza tra B.B. e A.A. di un rapporto di lavoro subordinato e il A.A. condannato al pagamento in favore della B.B., a titolo di retribuzione, della somma lorda di Euro 105.000,00 oltre accessori ed al risarcimento del danno da omessa contribuzione.

2. Ha ritenuto la Corte distrettuale che la esistenza tra le parti di convivenza more uxorio, poi cessata, non escludeva la configurabilità in concreto di un rapporto di lavoro subordinato in relazione all’attività espletata dalla B.B. nell’ambito della struttura commerciale avente ad oggetto la vendita e riparazione di articoli sportivi nella titolarità del A.A.; le emergenze probatorie deponevano, infatti, per lo stabile inserimento della B.B. nella organizzazione aziendale del compagno; in particolare era emerso che la B.B. si era quotidianamente occupata della gestione amministrativa e contabile dell’esercizio commerciale, intrattenendo rapporti con clienti e fornitori, che era presente nei giorni e negli orari di apertura al pubblico, che si era occupata dell’organizzazione e della tenuta di corsi – base relativi all’attività subacquea destinati ai principianti.

3. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso A.A. sulla base di un unico motivo; la parte intimata ha resistito con controricorso; entrambe le parti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

1.Con l’unico motivo di ricorso parte ricorrente deduce ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 c.c. censurando la sentenza impugnata per avere affermato la natura subordinata dell’attività prestata dalla B.B. in favore del A.A. pur in assenza di prova del fondamentale requisito della eterodirezione in mancanza del quale doveva ritenersi operante la presunzione di gratuità dell’attività prestata in ragione del rapporto sentimentale, di convivenza more uxorio, esistente tra la B.B. e il A.A.

2. Il motivo è infondato.

2.1. Preliminarmente deve essere respinta la eccezione della controricorrente di inammissibilità del ricorso, per violazione dell’art. 366 c.p.c., motivata in relazione alla asserita mancata precisazione delle parti della sentenza di appello sottoposte a censura e per la mancata indicazione del principio di diritto invocato.

2.2. Invero, in tema di modalità di redazione del ricorso per cassazione questa Corte ha chiarito che essa deve avvenire in conformità ai principi di chiarezza e sinteticità espositiva, occorrendo che il ricorrente selezioni i profili di fatto e di diritto della vicenda “sub iudice” posti a fondamento delle doglianze proposte, in modo da offrire al giudice di legittimità una concisa rappresentazione dell’intera vicenda giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, per poi esporre le ragioni delle critiche nell’ambito della tipologia dei vizi elencata dall’art. 360 c.p.c.; tuttavia l’inosservanza di tali doveri può condurre ad una declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione soltanto quando si risolva in una esposizione oscura o lacunosa dei fatti di causa o pregiudichi l’intelligibilità delle censure mosse alla sentenza gravata, così violando i requisiti di contenuto-forma stabiliti dai nn. 3 e 4 dell’art. 366 c.p.c. (v. tra le altre, Cass. n. 4300/2023, Cass. Sez. Un. n. 37552/2021); il principio di specificità del ricorso per cassazione, secondo cui il giudice di legittimità deve essere messo nelle condizioni di comprendere l’oggetto della controversia ed il contenuto delle censure senza dover scrutinare autonomamente gli atti di causa, deve essere modulato, in conformità alle indicazioni della sentenza CEDU del 28 ottobre 2021 (causa C.C. ed altri c/Italia), secondo criteri di sinteticità e chiarezza, realizzati dal richiamo essenziale degli atti e dei documenti per la parte d’interesse, in modo da contemperare il fine legittimo di semplificare l’attività del giudice di legittimità e garantire al tempo stesso la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte ed il diritto di accesso della parte ad un organo giudiziario in misura tale da non inciderne la stessa sostanza (Cass. n. 8117/2022).

2.3. Il presente ricorso per cassazione risulta redatto in maniera conforme alle richiamate indicazioni del giudice di legittimità in quanto consente la chiara individuazione delle ragioni di critica, in fatto ed in diritto, alla sentenza impugnata, consistenti, in estrema sintesi, nella deduzione di errata applicazione alla concreta fattispecie del parametro normativo di cui all’art. 2094 c.p.c. implicante la verifica del requisito della eterodirezione, in assenza del quale, in ragione della relazione sentimentale tra le parti tradotta in una convivenza more uxorio, sussisteva una presunzione di gratuità delle prestazioni pacificamente rese dalla B.B. in favore del A.A.; in particolare parte ricorrente ascrive alla sentenza impugnata di avere affermato la natura subordinata del rapporto senza verificare la esistenza di ordini specifici dati dal A.A. alla B.B. e lamenta la mancata applicazione della presunzione di gratuità del lavoro svolto affectionis vel benevolentiae causa della convivente more uxorio.

2.4. Nel merito le ragioni di censura devono essere respinte. La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che ogni attività oggettivamente configurabile come prestazione di lavoro subordinato si presume effettuata a titolo oneroso, ma può essere ricondotta ad un rapporto diverso, istituito “affectionis vel benevolentiae causa”, caratterizzato dalla gratuità della prestazione, ove risulti dimostrata la sussistenza della finalità di solidarietà in luogo di quella lucrativa, fermo restando che la valutazione al riguardo compiuta dal giudice del merito è incensurabile in sede di legittimità, se immune da errori di diritto e da vizi logici. (Cass. n. 7703/2018, Cass. n. 7917/2015, Cass. n. 11089/2012, Cass. n. 1833/2009, Cass. n. 3602/2006).

2.5. La circostanza dello svolgimento di un’attività lavorativa affectionis vel benevolentiae causa, e pertanto della sua natura gratuita, non costituisce un’eccezione in senso proprio, integrando piuttosto, alla luce della allegazione di un rapporto affettivo tra le parti un elemento di valutazione della prova e quindi criterio di accertamento del fatto costitutivo della pretesa (sussistenza o meno di subordinazione (così Cass. n. 7917/2015 cit. in motivazione).

2.6. In punto di accertamento della natura subordinata del rapporto reso nell’ambito di convivenza more uxorio occorre muovere dalla considerazione che le unioni di fatto, quali formazioni sociali rilevanti ex art. 2 Cost., sono caratterizzate da doveri di natura morale e sociale, di ciascun convivente nei confronti dell’altro, che si esprimono anche nei rapporti di natura patrimoniale e si configurano come adempimento di un’obbligazione naturale ove siano rispettati i principi di proporzionalità ed adeguatezza. Ne consegue che, in un tale contesto, l’attività lavorativa e di assistenza svolta in favore del convivente “more uxorio” assume una siffatta connotazione quando sia espressione dei vincoli di solidarietà ed affettività di fatto esistenti, alternativi a quelli tipici di un rapporto a prestazioni corrispettive, quale il rapporto di lavoro subordinato, benché non possa escludersi che, talvolta, essa trovi giustificazione proprio in quest’ultimo, del quale deve fornirsi prova rigorosa, e la cui configurabilità costituisce valutazione, riservata al giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità ove adeguatamente motivata (Cass. n. 1266/2016).

2.7. La sentenza impugnata ha ampiamente argomentato con riferimento a circostanze fattuali emerse dalla prova orale in ordine alle ragioni che escludevano la gratuità della prestazione, in particolare valorizzando la quotidiana e costante presenza della B.B. presso la struttura del compagno, il suo pieno inserimento nella relativa gestione amministrativo contabile e nella organizzazione del lavoro, anche implicante la spendita di specifiche competenze professionali (v. in particolare per l’attività svolta quale istruttrice subacquea diplomata). Ed è proprio il carattere “assorbente” delle energie dedicate dalla odierna controricorrente, pienamente inserita nella vita della struttura, di intensità tale da precluderle lo svolgimento di autonoma attività lavorativa, a giustificare le conclusioni attinte dai giudici di merito in punto di non gratuità dell’attività espletata. Invero, l’accertamento dell’eterodirezione deve essere calato nello specifico contesto del rapporto sentimentale e di convivenza more uxorio instauratosi tra il A.A. e la B.B., alla stregua del quale il concreto apprezzamento della natura subordinata del rapporto deve tenere conto che l’elemento della eterodirezione si esprime in forma attenuata, senza necessità di una sua estrinsecazione in ordini specifici e dettagliati essendo sufficiente a sostanziare la natura subordinata del rapporto di lavoro il pieno e stabile inserimento della B.B. nella organizzazione di lavoro del A.A. e l’assenza in capo alla stessa di autonomia gestionale, come accertato dal giudice di merito.

3. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del soccombente alla rifusione delle spese di lite, oltre che al pagamento, nella sussistenza dei presupposti processuali dell’ulteriore importo del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater d.p.r. n. 115/2002;

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 5.500,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.

Lavoro subordinato e convivenza
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