Il licenziamento del lavoratore agli arresti ma efficacemente sostituibile dal datore di lavoro è illegittimo.
Nota a Trib. Bologna 22 febbraio 2024, N.R.G. 1575
Alfonso Tagliamonte
“La sottoposizione del lavoratore a misura cautelare – per fatti estranei all’attività lavorativa – non si configura come inadempimento contrattuale, bensì come un fatto oggettivo riconducibile alla fattispecie della sopravvenuta impossibilità parziale della prestazione ex art. 1464 c.c., “non potendosi parlare all’interno del rapporto di lavoro di impossibilità sopravvenuta temporanea, essendo le operae praeteritae …” (v. Cass. n. 19315/2016 e successive conformi). Il datore di lavoro sarà, dunque, legittimato a recedere dal contratto qualora non abbia interesse ad una prestazione parziale, ovvero per sopravvenuta inutilità definitiva della prestazione.
La sussistenza della oggettiva impossibilità di ricevere la prestazione lavorativa dovrà essere accertata – con valutazione ex ante – sulla base di criteri oggettivi, riconducibili a quelli fissati dall’art. 3, L. n. 604/1966, ovvero delle dimensioni dell’impresa, del tipo di organizzazione tecnico-produttiva in essa attuato, della natura ed importanza delle mansioni del lavoratore detenuto, nonché del già maturato periodo di sua assenza, della ragionevolmente prevedibile ulteriore durata dell’impossibilità sopravvenuta, della possibilità di affidare temporaneamente ad altri le sue mansioni senza necessità di nuove assunzioni e, più in generale, di ogni altra circostanza rilevante ai fini della determinazione della misura della tollerabilità”.
Così, il Tribunale di Bologna (22 febbraio 2024, N.R.G. 1575) il quale ha ritenuto, nel caso in esame, non raggiunta la prova della definitiva inutilità della prestazione resa dal ricorrente. Ciò poiché: a) il prestatore era stato assente per poco più di 30 giorni di calendario; b) l’azienda aveva a disposizione del personale jolly per le sostituzioni dei dipendenti assenti; c) nel periodo di assenza il dipendente era stato sostituito attraverso tale personale; d) dal quadro probatorio sono emersi elementi decisivi “nel senso della tollerabilità dell’assenza del ricorrente da parte della datrice di lavoro, senza pregiudizio delle obiettive esigenze di copertura di servizio, tali da non determinare una oggettiva e definitiva impossibilità di utilizzo della prestazione…”.
La società è stata pertanto condannata a reintegrare in servizio il ricorrente e a corrispondergli un’indennità risarcitoria pari all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione, in ogni caso, in misura non superiore a 12 mensilità – dedotto l’aliunde perceptum – con interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo; oltre al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali dal giorno dell’effettivo licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione.