L’indennità di assenza dalla residenza e l’indennità di utilizzazione giornaliera professionale (IUP) dei macchinisti si computano nella retribuzione dovuta durante il periodo di ferie annuali.
Nota a Cass. 21 maggio 2024, n. 14089
Fabio Iacobone
L’indennità per assenza dalla residenza e la cd. indennità di utilizzazione professionale (IUP) dei macchinisti, in quanto voci dirette a compensare il disagio dell’attività tipica del dipendente viaggiante derivante dal non avere un luogo fisso di lavoro, vanno incluse nella retribuzione feriale. È però “necessario accertare il nesso intrinseco tra l’elemento retributivo e l’espletamento delle mansioni affidate e, quindi, se l’importo pecuniario si ponga in rapporto di collegamento funzionale con l’esecuzione delle mansioni e sia correlato allo status personale e professionale di quel lavoratore” (cfr. Cass. n. 13425/2019, in q. sito con nota di F. DURVAL, così come, per il caso del mancato godimento delle ferie, Cass. n. 37589/2021).
Lo ribadisce la Corte di Cassazione 21 maggio 2024, n, 14089, precisando che:
– la nozione di retribuzione da applicare durante il periodo di godimento delle ferie riflette l’interpretazione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la quale ha chiarito che l’espressione ferie annuali retribuite, contenuta nell’art. 7, n. 1, Direttiva n. 88/2003/CE, significa che “per la durata delle ferie annuali, deve essere mantenuta la retribuzione che il lavoratore percepisce in via ordinaria”. In altre parole, in occasione della fruizione delle ferie, il lavoratore deve trovarsi in una situazione che, a livello retributivo, sia paragonabile ai periodi di lavoro (v. CGUE 20.1.2009, C-350/06 e C-520/06; Cass. n. 18160/2023, annotata in q. sito da F. DURVAL, e, per il personale navigante dipendente di compagnia aerea, Cass. n. 20216/2022, in q. sito con nota di F. DURVAL, con riferimento all’indennità di volo integrativa);
– “una diminuzione della retribuzione potrebbe essere idonea a dissuadere il lavoratore dall’esercitare il diritto alle ferie, in contrasto con le prescrizioni del diritto dell’Unione” (cfr. CGUE 15.9.2011, C-155/10; CGUE 13.12.2018, C-385/17, in q. sito con nota di S. GIOIA);
– pertanto, incentivi o sollecitazioni volte ad indurre i dipendenti a rinunciare alle ferie sono incompatibili con gli obiettivi del legislatore europeo, “che si propone di assicurare ai lavoratori il beneficio di un riposo effettivo, anche per un’efficace tutela della loro salute e sicurezza” (cfr. CGUE 13.1.2022, C-514/20);
– di conseguenza, la retribuzione dovuta nel periodo di godimento delle ferie annuali, ai sensi dell’art. 7, Direttiva n. 88/2003/CE, “comprende qualsiasi importo pecuniario che si pone in rapporto di collegamento all’esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo status personale e professionale del lavoratore” (Cass. n. 13425/2019, cit.).
Sentenza
CORTE DI CASSAZIONE 21 maggio 2024, n. 14089
Lavoro – Indennità di utilizzazione giornaliera professionale (IUP) – Indennità di assenza dalla residenza – Retribuzione dovuta al lavoratore durante il periodo di ferie annuali – Nesso intrinseco tra l’elemento retributivo e l’espletamento delle mansioni affidate – Accoglimento
Fatti di causa
1.La Corte d’Appello di Torino, in accoglimento del gravame di T., ha rigettato le domande di D.S., dipendente con mansioni di macchinista, accolte dal Tribunale della stessa sede nei limiti della prescrizione quinquennale, dirette alla declaratoria del diritto a percepire, durante il periodo di ferie, il trattamento economico commisurato a quello percepito per il lavoro ordinariamente svolto secondo le statuizioni della Corte di Giustizia Europea e, quindi, a ottenere l’indennità di utilizzazione giornaliera professionale (IUP), corrisposta in ragione del solo importo fisso, con esclusione della parte variabile, quindi inferiore all’indennità di utilizzazione/condotta percepita nei periodi lavorati, nonché l’indennità di assenza dalla residenza, non corrisposta durante il periodo feriale, voci previste dai CCNL e dai Contratti aziendali applicati al rapporto, da calcolarsi, secondo la prospettazione attorea, sulla media dei compensi percepiti a tali titoli nei 12 mesi precedenti la fruizione di ciascun periodo di ferie.
2. La Corte di merito, in estrema sintesi, ha escluso l’applicazione alla presente fattispecie della giurisprudenza della Corte di Giustizia UE richiamata dal lavoratore, in particolare la cd. sentenza W. del 16.9.2011 – C-155/10 (ndr15.9.2011 – C-155/10), che impone di prendere in considerazione “qualsiasi incomodo intrinsecamente collegato alle mansioni che il lavoratore è tenuto ad espletare in forza del suo contratto di lavoro” ai fini della determinazione dell’ammontare della retribuzione spettante durante le ferie annuali, per evitare il rischio di dissuasione del lavoratore dalla fruizione delle ferie per non perdere una quota significativa della retribuzione;
tale esclusione è stata motivata dall’autonomia delle parti negoziali nell’individuazione della retribuzione proporzionata e sufficiente e dalla ritenuta contenuta incidenza delle differenze di indennità rivendicate rispetto alla retribuzione ordinaria.
3. Il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione, con tre motivi, cui ha resistito con controricorso la società; entrambe le parti hanno depositato memorie e discusso la causa all’odierna udienza.
4. il P.G. ha concluso (anche con memoria scritta) per l’accoglimento del ricorso.
Ragioni della decisione
1.Parte ricorrente deduce, con il primo motivo, violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della Direttiva 88/2003/CE e dell’art. 31, par. 2, della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea riguardo alla retribuzione dei giorni di ferie, come interpretati dalle sentenze della Corte di Giustizia UE, nonché degli artt. 2109 e 2243 c.c. e 10 d. lgs. n. 66/2003 in relazione all’art. 34.8.4.1 dell’Accordo di Confluenza 2003 e all’art. 31 dei contratti aziendali di Gruppo FS Italiane 2012 e 2016, e agli effetti dell’art. 1418 c.c.; sostiene che la Corte di merito, limitandosi a valorizzare l’autonomia negoziale delle parti sociali che avrebbe disposto l’assorbimento della IUP fissa introdotta nel CCNL 1990-1991 nel salario di produttività, non avrebbe tenuto in considerazione la recente giurisprudenza di legittimità, che delinea una nozione europea di retribuzione dovuta al lavoratore durante il periodo di ferie annuali, fissata dall’articolo 7 della direttiva 88/2003, come interpretato dalla Corte di Giustizia; argomenta circa il carattere imperativo dell’art. 7 della Direttiva 2003/88 e le indicazioni giurisprudenziali dettate al riguardo dalla Corte di Giustizia (come evidenziate dalla sentenza CGUE 15 settembre 2011, W., cit.); assume che deve valutarsi sussistente nella specie il rapporto di funzionalità che intercorre tra gli elementi della retribuzione richiesti e le mansioni ordinariamente affidate, e che possono escludersi dal calcolo dell’importo da versare durante le ferie annuali solo gli elementi della retribuzione complessiva del lavoratore diretti esclusivamente a coprire spese occasionali o accessorie che sopravvengano in occasione dell’espletamento delle mansioni; afferma che siffatti principi sono già stati declinati da questa Corte (Cass. n. 20216/2022) al fine di ritenere l’obbligo per le parti sociali, nel redigere le norme collettive, di tenere conto dei principi e degli orientamenti consolidati in materia; specifica, nella memoria conclusiva, che questa Corte si è recentemente pronunciata più volte nel senso dell’accoglimento di analoghe rivendicazioni di dipendenti T., società partecipata da T. che applica il medesimo CCNL.
2. Con il secondo motivo viene denunciata la nullità della sentenza di merito per violazione e falsa applicazione degli artt. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. per motivazione apparente e intrinsecamente contraddittoria.
3. Con il terzo motivo, viene dedotta violazione dell’art. 7 della Direttiva 88/2003/CE e dell’art. 31, par. 2, della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea riguardo alla retribuzione dei giorni di ferie, come interpretati dalle sentenze delle Corte di Giustizia UE, nonché dell’art. 2109 anche in relazione all’art. 36 Cost. e all’art. 10 d.lgs. n. 66/2003, e violazione e falsa applicazione dell’art. 72.2 CCNL 2003 e dell’art. 77.2.4 dei CCNL della Mobilità, Area Attività Ferroviarie del 20.7.2012 e del 16.12.2016, con riferimento agli artt. 1362 e 1363 c.c.
4. I motivi di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente, sono fondati.
5. Questa Corte (come anche rilevato dal P.G. nella requisitoria scritta) ha in più occasioni affermato che la nozione di retribuzione da applicare durante il periodo di godimento delle ferie subisce la decisiva influenza dell’interpretazione data dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la quale ha precisato come l’espressione «ferie annuali retribuite» contenuta nell’art. 7, n. 1, della Direttiva n. 88 del 2003 faccia riferimento al fatto che, per la durata delle ferie annuali, deve essere mantenuta la retribuzione che il lavoratore percepisce in via ordinaria (Cass. n. 18160/2023 e successive conformi, con richiamo a CGUE 20.1.2009, C-350/06 e C-520/06, S.H., nonché, con riguardo al personale navigante dipendente di compagnia aerea, Cass. n. 20216/2022).
6. I principi informatori di tale indirizzo giurisprudenziale sono nel senso di assicurare, a livello retributivo, una situazione sostanzialmente equiparabile a quella ordinaria del lavoratore nei periodi di lavoro, sul rilievo che una diminuzione della retribuzione potrebbe essere idonea a dissuadere il lavoratore dall’esercitare il diritto alle ferie, in contrasto con le prescrizioni del diritto dell’Unione (cfr. CGUE 15.9.2011, C-155/10, W.; CGUE 13.12.2018, C-385/17, T.H.).
7. In questo senso, si è precisato nelle pronunce indicate che qualsiasi incentivo o sollecitazione che risulti volto ad indurre i dipendenti a rinunciare alle ferie è incompatibile con gli obiettivi del legislatore europeo, che si propone di assicurare ai lavoratori il beneficio di un riposo effettivo, anche per un’efficace tutela della loro salute e sicurezza (cfr. in questo senso anche la recente CGUE 13.1.2022, C-514/20, DS c. K.).
8. Conseguentemente, è stato ribadito che la retribuzione dovuta nel periodo di godimento delle ferie annuali, ai sensi dell’art. 7 della Direttiva 2003/88/CE, per come interpretata dalla Corte di Giustizia, comprende qualsiasi importo pecuniario che si pone in rapporto di collegamento all’esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo status personale e professionale del lavoratore (Cass. n. 13425/2019).
9. In applicazione di tali orientamenti ed in applicazione di siffatta nozione europea di retribuzione, nell’ambito del personale navigante dipendente di compagnia aerea, è stato ritenuto rientrante nella retribuzione dovuta l’importo erogato a titolo di indennità di volo integrativa, ritenendo nel contempo la nullità della relativa disposizione del contratto collettivo nazionale (in quel caso l’art. 10 del CCNL Trasporto Aereo – sezione personale navigante tecnico) nella parte in cui escludeva nel periodo di ferie la voce stipendiale, in quel caso in violazione dell’art. 4 del d.lgs. n. 185/2005 (che attuava la direttiva 2000/79/CE relativa all’Accordo europeo sull’organizzazione dell’orario di lavoro del personale di volo dell’aviazione civile – Cass. n. 20216/2022).
10. Atteso che, per giurisprudenza consolidata di questa Corte, le sentenze della Corte di Giustizia UE hanno efficacia vincolante e diretta nell’ordinamento nazionale, i giudici di merito non possono prescindere dall’interpretazione data dalla Corte europea, che costituisce ulteriore fonte del diritto dell’Unione europea, non nel senso che esse creino ex novo norme UE, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia erga omnes nell’ambito dell’Unione (cfr. Cass. n. 13425/2019, n. 22577/2012).
11. Pertanto, a fronte della rivendicazione di voci non corrisposte nel periodo feriale, è necessario accertare il nesso intrinseco tra l’elemento retributivo e l’espletamento delle mansioni affidate e, quindi, se l’importo pecuniario si ponga in rapporto di collegamento funzionale con l’esecuzione delle mansioni e sia correlato allo status personale e professionale di quel lavoratore (cfr. Cass. n. 13425/2019 cit., così come, per il caso del mancato godimento delle ferie, Cass. n. 37589/2021).
12. Nella controversia in esame, vengono in discussione la cd. indennità di utilizzazione professionale (IUP) e l’indennità per assenza dalla residenza.
13. Quanto a quest’ultima, essa, in quanto voce diretta a compensare il disagio dell’attività tipica del dipendente viaggiante derivante dal non avere un luogo fisso di lavoro, è stata già ritenuta da questa Corte come voce da includere nella retribuzione feriale, allorché si è esaminata analoga controversia che aveva come parte datoriale la società T. (tra le molte, Cass. nn. 2963, 2682, 2680, 2431, 1141/2024; nn. 35578, 33803, 33793, 33779, 19716, 19711, 19663, 18160/2023).
14. La corresponsione, in forma continuativa, di una simile indennità è immediatamente collegata alle mansioni tipiche dei dipendenti macchinisti, essendo destinata a compensare il disagio dell’attività derivante dal non avere una sede fissa di lavoro e dall’essere continuamente in movimento, lontano dalla sede formale di lavoro.
15. In base alla medesima ratio (collegamento funzionale con le mansioni tipiche) sono fondate le domande collegate alla parte variabile dell’indennità di utilizzazione professionale, in quanto voce ordinariamente corrisposta per i periodi di lavoro, la cui erogazione in misura ridotta nel periodo di ferie, in base a una verifica ex ante, è potenzialmente dissuasiva al godimento delle stesse, tenuto conto della continuatività dell’erogazione nel corso dell’anno e dell’incidenza sul trattamento economico mensile.
16. Nell’interpretazione delle norme collettive che regolano gli istituti di cui è stata chiesta l’inclusione nella retribuzione feriale è necessario tenere conto della finalità della direttiva, recepita dal legislatore italiano, di assicurare un compenso che non possa costituire per il lavoratore un deterrente all’esercizio del suo diritto di fruire effettivamente del riposo annuale. Tale effetto deterrente può, infatti, realizzarsi qualora le voci che compongono la retribuzione nei giorni di ferie sono limitate a determinate voci, escludendo talune indennità di importo variabile (previste dalla contrattazione collettiva nazionale o aziendale) che sono comunque intrinsecamente collegate a compensare specifici disagi derivanti dalle mansioni normalmente esercitate.
17. La giurisprudenza UE ha, invero, chiarito che il lavoratore, in occasione della fruizione delle ferie, deve trovarsi in una situazione che, a livello retributivo, sia paragonabile ai periodi di lavoro; ciò in quanto il diritto di ogni lavoratore alle ferie annuali retribuite va considerato come un principio particolarmente importante del diritto sociale UE, al quale non si può derogare e la cui attuazione da parte delle autorità nazionali competenti può essere effettuata solo nei limiti esplicitamente indicati dalla stessa direttiva.
18. È stato affermato che “la retribuzione delle ferie annuali deve essere calcolata, in linea di principio, in modo tale da coincidere con la retribuzione ordinaria del lavoratore” (sent. CGUE W. cit., § 21); che “l’ottenimento della retribuzione ordinaria durante il periodo di ferie annuali retribuite è volto a consentire al lavoratore di prendere effettivamente i giorni di ferie cui ha diritto”, e che “quando la retribuzione versata a titolo del diritto alle ferie annuali retribuite previsto all’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88 (…) è inferiore alla retribuzione ordinaria ricevuta dal lavoratore durante i periodi di lavoro effettivo, lo stesso rischia di essere indotto a non prendere le sue ferie annuali retribuite, almeno non durante i periodi di lavoro effettivo, poiché ciò determinerebbe, durante tali periodi, una diminuzione della sua retribuzione” (sent. CGUE T.H. cit., § 44); che il giudice nazionale è tenuto a interpretare la normativa nazionale in modo conforme all’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88, con la precisazione che “una siffatta interpretazione dovrebbe comportare che l’indennità per ferie retribuite versata ai lavoratori, a titolo delle ferie minime previste da tale disposizione, non sia inferiore alla media della retribuzione ordinaria percepita da questi ultimi durante i periodi di lavoro effettivo” (sent. CGUE T.H. cit., § 52); che “occorre dichiarare che, sebbene la struttura della retribuzione ordinaria di un lavoratore di per sé ricada nelle disposizioni e prassi disciplinate dal diritto degli Stati membri, essa non può incidere sul diritto del lavoratore (…) di godere, nel corso del suo periodo di riposo e di distensione, di condizioni economiche paragonabili a quelle relative all’esercizio del suo lavoro” (sent. CGUE W. cit., § 23), sicché “qualsiasi prassi o omissione da parte del datore di lavoro che abbia un effetto potenzialmente dissuasivo sulla fruizione delle ferie annuali da parte di un lavoratore è incompatibile con la finalità del diritto alle ferie annuali retribuite” (sent. CGUE K. cit., § 41),
19. In tale prospettiva, osserva il Collegio che non può ritenersi che l’incidenza dell’effetto dissuasivo possa essere apprezzata raffrontando la differenza retributiva mensile con quella annuale, dal momento che, per il lavoratore dipendente, la possibile induzione economica alla rinuncia al proprio diritto alle ferie deriva dall’incidenza sulla retribuzione che ogni mese, e quindi anche in quello di ferie, egli può impegnare per garantire a sé o alla sua famiglia le ordinarie condizioni economiche di vita.
20. In conclusione, in concordanza all’interpretazione conforme alla citata giurisprudenza dell’Unione europea e di legittimità delle norme collettive che regolano gli istituti di cui è stata chiesta l’inclusione nella retribuzione feriale, il ricorso va accolto, in linea con la finalità della direttiva, recepita dal legislatore italiano, di assicurare nel periodo feriale un compenso che non possa costituire per il lavoratore un deterrente all’esercizio del suo diritto di fruire effettivamente del riposo annuale.
21.La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi accolti, e rinviata al giudice indicato in dispositivo, per il riesame delle originarie domande alla luce dei principi sopra espressi, e altresì per provvedere sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Torino in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.