Discriminatorio il licenziamento per superamento del periodo di comporto del disabile nei confronti del quale il datore di lavoro non abbia posto in essere accomodamenti ragionevoli.
Nota a Cass. 22 maggio 2024, n. 14316
Francesca Fedele
Per sostenere il carattere non discriminatorio del licenziamento in ragione del superamento del periodo di comporto del dipendente in situazione di handicap, il datore di lavoro deve essersi attivato, in collaborazione col lavoratore, al fine di accertare se le assenze per malattia conseguano o meno all’invalidità, adottando in caso positivo accomodamenti ragionevoli per evitare il licenziamento, quali ad es., l’allungamento del periodo di comporto o l’esclusione dal computo dello stesso delle assenze per malattia derivante dall’invalidità.
Questo, il rilevante principio espresso dalla Corte di Cassazione (22 maggio 2024, n. 14316) in merito alla tematica della conoscenza o conoscibilità da parte del datore di lavoro della condizione di disabilità e della riferibilità delle assenze per malattia alla suddetta condizione. La questione si pone al fine di evitare comportamenti discriminatori indiretti che, a norma del D.Lgs. n. 216/2003 e della Direttiva 2000/78/CE, si verificano quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri di fatto sfavoriscono un determinato gruppo di persone.
In particolare, ciò che rileva è l’effetto discriminatorio e non la condotta, come invece avviene per la discriminazione diretta e, quindi, esula dal tema ogni problematica sul requisito della colpevolezza quale elemento costitutivo della responsabilità da comportamento discriminatorio, operando la discriminazione obiettivamente in ragione del mero rilievo del trattamento deteriore riservato al lavoratore (v. Cass. n. 9095/2023, in q. sito con nota di C. GIAGHEDDU SAITTA).
Come noto, con l’art. 3, co. 3-bis, D.Lgs. n. 216/2003, il legislatore nazionale ha imposto ad ogni datore di lavoro, privato e pubblico, di adottare per il lavoratore disabile “accomodamenti ragionevoli”, salvo che richiedano oneri finanziari sproporzionati. Ciò, sul presupposto della conoscenza dello stato di disabilità o la possibilità di conoscerlo secondo l’ordinaria diligenza i.
È dunque importante stabilire se lo stato di disabilità, pur non risultando espressamente portato a conoscenza del datore di lavoro, avrebbe potuto essere ritenuto reale secondo un comportamento di questi improntato a diligenza; nonché di verificare i casi in cui il datore di lavoro, “pur ignorando la disabilità del dipendente non sia incolpevole perché era in grado di averne comunque consapevolezza per non avere, ad esempio, effettuato correttamente la sorveglianza sanitaria ex art. 41 del D.Lgs. n. 81/2008 ovvero perché le certificazioni mediche e/o la documentazione inviate erano sintomatiche di un particolare stato di salute costituente una situazione di handicap come sopra delineata dalla normativa in materia”.
In questa ipotesi sorge a carico del datore di lavoro l’obbligo di individuare eventuali accorgimenti ragionevoli (come ad es. l’allungamento del periodo di comporto) onde evitare il recesso dal rapporto (cfr. Cass. n. 11731 del 2024; CGUE sentenza 18 gennaio 2018; v. anche l’art. 2 della Convenzione ONU 2016, secondo cui è una forma di discriminazione “il rifiuto di accomodamento ragionevole”, e può rifiutarsi solo ciò che risulta oggetto di una richiesta, di una istanza e il Commento generale n. 6, adottato nel 2018, dal Comitato per i diritti delle persone con disabilità (ONU), in cui si afferma che: “è connaturato alla nozione di accomodamento ragionevole che l’obbligato entri in dialogo con l’individuo con disabilità”. Il Comitato definisce “l’obbligo di fornire soluzioni ragionevoli un dovere reattivo individualizzato che viene attivato nel momento in cui viene fatta la richiesta di accomodamento”).
L’art. 5-bis, L. n. 104/1992 (come mod. dall’art. 17 del D.Lgs. 3 maggio 2024, n. 62, di attuazione della legge delega n. 227/21) stabilisce poi che “La persona con disabilità (…) ha facoltà di richiedere, con apposita istanza scritta, (tra gli altri) ai soggetti privati, l’adozione di un accomodamento ragionevole, anche formulando una proposta” e partecipando “al procedimento dell’individuazione dell’accomodamento ragionevole”.
L’interlocuzione ed il confronto tra le parti si pongono quindi su di un piano logico quale presupposto per adottare gli accomodamenti ragionevoli e il datore è chiamato a provare, (…) di aver compiuto “uno sforzo diligente ed esigibile per trovare una soluzione organizzativa appropriata, che scongiuri il licenziamento, avuto riguardo a ogni circostanza rilevante nel caso concreto” (Cass. n. 6497/2021, annotata in q. sito da D. MAGRIS).
Nel caso di specie, la società datrice di lavoro era a conoscenza di un serio infortunio sul lavoro patito dal lavoratore (tanto è che aveva modificato le mansioni assegnate) nonché di un andamento delle assenze per malattia sicuramente anomalo e sintomatico di una patologia non ordinaria, sicchè il licenziamento del disabile è stato ritenuto discriminatorio.
Sul tema, v. anche, in q. sito, App. Milano 15 dicembre 2023, NRG 822, con nota di G.I. VIGLIOTTI; M. N. BETTINI, I.O., Lavoratore disabile nel recente intervento della Cassazione: nozione, accomodamenti ragionevoli, licenziamento e onere della prova.
Sentenza
CORTE DI CASSAZIONE 22 maggio 2024 n. 14316
Svolgimento del processo
1.Con lettera del 9.3.2020 Poste Italiane Spa intimava al dipendente A.A. licenziamento per superamento del periodo di comporto.
2. Il recesso veniva impugnato dal lavoratore che deduceva:
a) la nullità del licenziamento in quanto discriminatorio ai sensi dell’art. 2 D.Lgs. n. 216/2003perché tutte le assenze contestate risultavano causalmente riconducibili alla grave patologia depressiva cronica da cui era affetto, correlata alla sua condizione di soggetto portatore di handicap come da verbale INPS ex lege n. 104/1992 del 24.7.2018;
b) il mancato assolvimento da parte del datore di lavoro dell’obbligo, gravante sullo stesso, di adottare tutte le adeguate misure volte a prevenire ed a evitare le conseguenze negative derivanti da patologie gravemente invalidanti del dipendente;
c) l’illegittimo rifiuto dell’azienda di accordargli, a far data dall’1.2.2019, le ferie maturate al solo fine di determinare il superamento del limite massimo di assenze;
d) il mancato assolvimento da parte di Poste Italiane Spa dell’obbligo di comunicare l’approssimarsi della scadenza del periodo di comporto, in violazione dei principi di correttezza e buona fede;
e) la sussistenza di una condizione di gravità assoluta delle patologie sofferte con conseguente configurabilità di una ipotesi di minorata difesa del lavoratore tale da giustificare una deroga alle regole generali in tema di comunicazione dell’approssimarsi della scadenza del periodo di comporto;
f) in ogni caso l’illegittimità del licenziamento per la insussistenza degli estremi del giustificato motivo oggettivo.
3. Il Tribunale di Nocera Inferiore sia in fase sommaria che in sede di opposizione ex lege n. 92 del 2012, rigettava le domande del lavoratore e la Corte di appello di Salerno, con la sentenza oggi impugnata, confermava la pronuncia di prime cure.
4. La Corte territoriale, in sintesi, a fondamento della propria decisione, dopo avere richiamato i principi giurisprudenziali e dottrinari in materia, rilevava quanto segue.
5. In punto di fatto, la Corte di merito precisava che era risultato che il A.A., a seguito di una aggressione subita in data 21.3.2018 da parte del destinatario di una notifica di un atto, aveva subito un trauma cranico e gli era stato riconosciuto dall’INAIL l’infortunio sul lavoro per i giorni dal 23.3.2018 al 25.3.2018; che con verbale dell’INPS del 9.10.2018 era stata accertata al A.A. una condizione di handicap, ai sensi dell’art. 3 co. 1 legge n. 104/1992 senza connotazione di gravità, per le seguenti patologie: depressione con comportamento psicotico in terapia con neurolettici; ipoacusia neurosensoriale bilaterale; lombalgia; che il A.A. si era assentato dal lavoro per malattia dal 26.3.2018 fino al 31.1.2019 e dal 20.2.2019 fino al 10.3.2020, con superamento del periodo di comporto previsto dall’art. 41 CCNL Poste Italiane Spa del 30.11.2017; che a seguito del ritorno in servizio dell’1.2.2019 il A.A. era stato adibito temporaneamente alle lavorazioni interne afferenti al C.D. di Scafati; che non era stata concretamente svolta la visita collegiale di accertamento di idoneità al lavoro richiesta dal A.A. ex art. 5 St. Lav. e programmata per il 5.7.2019.
6. In punto di diritto, la Corte distrettuale sottolineava che la discriminazione, quantunque indiretta, non operava oggettivamene ma presupponeva la conoscenza della condizione di handicap da parte del datore di lavoro; che non vi era un onere del dipendente di comunicare quali assenze fossero riconducibili alla malattia invalidante né vi era un obbligo per il datore di lavoro, stante l’oggettiva impossibilità, di controllare il nesso causale tra le assenze e lo stato di handicap non essendo a conoscenza dei certificati di malattia; che tale conoscenza sarebbe stata possibile solo se nei certificati stessi fosse stato indicato, barrando la corrispondente casella, se lo stato patologico fosse connesso alla situazione di invalidità, in un’ottica di collaborazione tra e parti.
7. Nella fattispecie in esame, la Corte di appello evidenziava che non vi era la prova persuasiva e tranquillante della effettiva conoscenza, da parte di Poste Italiane Spa, dello stato di handicap lieve del A.A.; che i certificati medici inviati non riportavano alcuna specificazione di diagnosi né era stata barrata la voce “stato patologico sotteso o connesso alla situazione di invalidità permanente”; che non sussisteva un obbligo per la società datrice di lavoro di concedere un periodo di ferie al fine di interrompere il comporto per malattia, avendo avuto peraltro il lavoratore la possibilità di fruire di una aspettativa finalizzata appunto ad impedire la risoluzione del rapporto lavorativo; che il lavoratore era stato adibito subito a lavorazioni interne e non era configurabile alcuna responsabilità, ex art. 2087 cc, del datore di lavoro, in ordine alla aggressione subita dal A.A. da parte del destinatario dei un atto nell’espletamento delle mansioni di portalettere; che il problema del mancato espletamento della visita medica di idoneità era stato superato con l’assegnazione del A.A. a lavorazioni interne per cui non era ravvisabile alcuna incauta ripresa del servizio.
8. Avverso la sentenza di secondo grado A.A. proponeva ricorso per cassazione affidato a tredici motivi cui resisteva con controricorso Poste Italiane Spa.
9. Le parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
1.I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo si denunzia, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. c.p.c., la violazione dell’art. 1(commi 48 e 53 e segnatamente del comma 51) della Legge n. 92/2012 nonché dell’art. 434 (e dell’art. 342 c.p.c.), per avere la Corte territoriale dichiarato inammissibile la doglianza, concernente il profilo della inapplicabilità della disposizione collettiva di cui all’art. 41 CCNL in quanto ritenuta ipotesi di discriminazione indiretta, sull’errato presupposto che essa era stata sollevata solo nell’atto di opposizione del giudizio Fornero.
3. Con il secondo motivo si censura la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 216 del 2003(ed in articolare dell’art. 2, co. 1, lett. b) e 3 comma 3-bis, della direttiva 2000/78/CE (ed in particolare i suoi art. 2, par. 2, lett. b) e 5), della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (in particolare i suoi artt. 2, 3, 4 e 27), ratificata dall’Italia con la legge n 18/2009 e degli art. 21 e 51 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e gli artt. 1175, 1375 e 2110 cc e dell’art. 41 CCNL, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., per avere la Corte di merito erroneamente affermato che la discriminazione, quantunque indiretta, non operava oggettivamente e che, nel caso di specie, era necessaria, da parte del datore di lavoro, tanto la conoscenza dello stato di disabilità quanto quella della riconducibilità delle assenze allo stesso.
4. Con il terzo motivo si prospetta un vizio motivazionale in relazione al cd. minimo costituzionale e, quindi, la nullità della sentenza per violazione degli artt. 111 Cost., 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., per avere la Corte di merito affermato l’insussistenza di una volontà discriminatoria basandosi su di un fatto (adibizione a lavorazioni interne del dipendente) risalente a prima ancora che iniziassero le assenze in ragione delle quali era stato intimato il licenziamento per superamento del periodo di comporto.
5. Con il quarto motivo si obietta la violazione e falsa applicazione dell’art. 4del D.Lgs. n. 216 del 2003, dell’art. 2697cc e dell’art. 10 della Direttiva 2000/78/CE, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., per avere erroneamente affermato la Corte territoriale che esso dipendente avrebbe dovuto dimostrare che la società fosse stata a conoscenza del suo stato di portatore di handicap quando invece l’onere posto a carico di esso lavoratore era solo quello di dimostrare l’esistenza del fattore di rischio ed il trattamento meno favorevole ricevuto.
6. Con il quinto motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2110cc, del D.Lgs. n. 216 del 2003(art. 2 comma 1 lett. b) e 3 comma 3-bis) della direttiva 2000/78/CE (ed in particolare i suoi art. 2, par. 2, lett. b) e 5), della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (in particolare i suoi artt. 2, 3, 4 e 27), ratificata dall’Italia con la legge n 18/2009 e degli art. 21 e 51 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e gli artt. 1175, 1375 e 2110 cc e dell’art. 41 CCNL, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto che ai lavoratori portatori di handicap dovesse applicarsi lo stesso periodo di comporto previsto per tutti gli altri dipendenti e che all’interno dello stesso andassero computate anche tutte le assenze dovute alla disabilità.
7. Con il sesto motivo il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 2110cc, del D.Lgs. n. 216 del 2003(art. 2 e 3 comma 3-bis) della direttiva 2000/78/CE (ed in particolare i suoi artt. 5 e 2, par. 2, lett. b)) e della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (in particolare i suoi artt. 2, 3, 4 e 27), ratificata dall’Italia con la legge n 18/2009 e degli art. 21 e 51 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e gli artt. 1175, 1375 e 2110 cc e dell’art. 41 CCNL, per non avere considerato la Corte di merito che il preavviso della scadenza e la concessione delle ferie costituivano “accomodamenti ragionevoli” che il datore di lavoro era tenuto ad adottare nei confronti di un lavoratore portatore di handicap, a differenza di quanto previsto per i lavoratori non portatori di handicap.
8. Con il settimo motivo si imputa alla sentenza impugnata la violazione dell’art. 115 c.p.c., ai sensi dell’art. 360n. 4 c.p.c., per essere stato erroneamente affermato che il lavoratore aveva l’onere di contestare l’allegazione di Poste relativa al diniego delle ferie; per avere statuito che la richiesta delle ferie in parola non avesse relazione con il periodo di malattia, in violazione degli artt. 2110 e 2109 cc (art. 360 n. 3 c.p.c.) e per avere precisato che il datore di lavoro poteva negare le ferie in ragione del fatto che il dipendente avrebbe potuto godere dell’aspettativa, in violazione dell’art. 2110 e 2109 cc (art. 360 n. 3 c.p.c.).
9. Con l’ottavo motivo si sostiene la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 216 del 2003(art. 2comma 1 lett. b) e 3 comma 3-bis) della direttiva 2000/78/CE (ed in particolare i suoi art. 2, par. 2, lett. b) e 5), della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (in particolare i suoi artt. 2, 3, 4 e 27), ratificata dall’Italia con la legge n 18/2009 e degli art. 21 e 51 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e gli artt. 1175, e 2110 c.c. e dell’art. 41 CCNL, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., per avere la Corte di appello erroneamente affermato, sovrapponendo le nozioni di invalidità di cui alla legge n. 104/92 con quella di disabilità, che nella fattispecie il datore di lavoro non sarebbe stato posto a conoscenza dello stato di portatore di handicap del lavoratore in quanto non sarebbe stata provata la consegna del verbale INPS che aveva riconosciuto l’invalidità ai sensi della legge n. 104 citata, senza indagare se lo stato di portatore di handicap fosse desumibile dallo stesso certificato medico che era stato ritenuto, invece, essere stato consegnato alla società.
10. Con il nono motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., per avere la Corte territoriale erroneamente affermato che la testimonianza del Dott. D.D. avrebbe richiesto un riscontro documentale, in contrasto con il principio che anche una prova orale può dimostrare un fatto storico.
11. Con il decimo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., per avere la Corte distrettuale erroneamente ritenuto che non fosse stata raggiunta una “prova persuasiva e tranquillante” (sic), senza applicare lo standard probatorio del “più probabile che non”.
12. Con l’undicesimo motivo si eccepisce il vizio motivazionale al cd. minimo costituzionale e, quindi la nullità della sentenza per violazione degli artt. 111 Cost., 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., per avere la Corte di merito in modo incomprensibile motivato sulla circostanza della consegna della certificazione medica.
13. Con il dodicesimo motivo si censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 2110 cc (e con esso dell’art. 1226cc), dell’art. 5 della legge n. 604 del 1966 e dell’art. 50 (in particolare del comma 6) del CCNL 30 novembre 2017 per i dipendenti del gruppo Poste Italiane Spa, nonché del D.Lgs. n. 216 del 2003 (art. 2 comma 1 lett. b) e 3 comma 3-bis) della direttiva 2000/78/CE (ed in particolare i suoi art. 2, par. 2, lett. b) e 5), della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (in particolare i suoi artt. 2, 3, 4 e 27), ratificata dall’Italia con la legge n 18/2009 e degli artt. 21 e 51 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e gli artt. 1175, 1375 e 2110 c.c. e dell’art. 41 CCNL, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., per avere la Corte di merito erroneamente affermato che le assenze riconducibili ad infortunio sul lavoro o a malattia professionale fossero computabili nel periodo di comporto, senza farsi carico di individuare un comporto differenziato per il caso appunto di infortunio sul lavoro.
14. Con il tredicesimo motivo si obietta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cc, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., per avere la Corte di appello erroneamente posto a carico del lavoratore l’onere di produrre l’e-mail di invio all’Ufficio Risorse Umane circa la documentazione attestante le sue condizioni di salute.
15. Preliminarmente va respinta l’eccezione di inammissibilità del controricorso di Poste Italiane Spa per non essere stata allegata la procura notarile in virtù della quale il Dott. Lasco Giuseppe, quale Procuratore della società, aveva potuto conferire il mandato difensivo all’odierno Difensore.
16. L’eccezione è stata sollevata dal ricorrente con la memoria ex art. 378 c.p.c., depositata il 29.3.2024 e la difesa della società, tempestivamente, in data 9.4.2024, ha prodotto telematicamente, ex art. 372 c.p.c. (cfr. Cass. Sez. Un. n. 4228/2016), la procura notarile fornendo così la prova del potere rappresentativo del dott. Lasco e senza che all’odierna udienza pubblica vi sia stata specifica contestazione in ordine al contenuto della stessa.
17. Il primo motivo non è meritevole di accoglimento.
18.È vero che nel rito c.d. “Fornero”, il giudizio di primo grado è unico a composizione bifasica, con una prima fase ad istruttoria sommaria, diretta ad assicurare una più rapida tutela al lavoratore, ed una seconda fase, a cognizione piena, che della precedente costituisce una prosecuzione, sicché non costituisce domanda nuova, inammissibile per mutamento della “causa petendi”, la deduzione di ulteriori motivi di invalidità del recesso per superamento del periodo di comporto rispetto a quelli dedotti nella fase sommaria, ove fondata sui medesimi fatti costitutivi (Cass. n. 9458/2019; Cass. n. 2765/2017).
19. Tuttavia, nel caso in esame, la questione della possibilità di applicare l’art. 41 del CCNL e quella connessa se lo stesso costituisse una ipotesi di discriminazione indiretta, sono state ritenute inammissibili dalla Corte territoriale perché erano state sufficientemente specificate e circostanziate solo con la presentazione del reclamo e non esclusivamente perché erano state richiamate solo nell’atto di opposizione ex lege n. 92/2012.
20. Quanto, invece alla problematica se le assenze fossero o meno computabili allo stato di disabilità, la Corte territoriale ha esaminato tale profilo come in seguito sarà specificato.
21. Per questioni di pregiudizialità logico giuridica, devono essere esaminati congiuntamente il terzo e l’undicesimo motivo, riguardanti entrambi asseriti vizi di motivazione della gravata sentenza.
22. Essi sono infondati.
23. In tema di contenuto della sentenza, il vizio di motivazione previsto dall’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass. n. 3819/2020).
24. Invero, una motivazione può definirsi apparente, in quanto carente del giudizio di fatto, se basata su una affermazione generale e astratta (Cass. n. 4166/2024).
25. Il vizio di motivazione può, quindi, essere ormai censurato in Cassazione ai sensi dell’art. 360 n. 4 in relazione all’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c., solo nel caso in cui la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente o manifestamente contraddittoria ed incomprensibile (Cass. S. U. n. 22232/2016; Cass. n. 23940/2017; Cass. n. 22598/2018).
26. La Corte territoriale, in relazione ai punti oggetto dei motivi, ha invece, dato esaustiva spiegazione delle ragioni individuanti la ratio decidendi per cui alcun vizio di nullità ex art. 132 co. 2 n. 4 c.p.c., come sopra delineato, è ravvisabile.
27. Vanno ora esaminati, congiuntamente per la loro interferenza, il secondo, il quarto, il quinto, il sesto, l’ottavo ed il dodicesimo motivo.
28. Essi investono la tematica della conoscenza o conoscibilità da parte del datore di lavoro della condizione di disabilità e della riferibilità delle assenze per malattia a detta condizione; tale questione si pone, rispetto a quello della adozione degli accorgimenti ragionevoli, su di un piano logico, in modo immediatamente antecedente.
29. La Corte territoriale ha sottolineato, a sostegno della propria decisione, da un lato, che non vi era la prova “persuasiva e tranquillante” (sic) che la società fosse a conoscenza dello stato di handicap lieve del A.A.; dall’altro, ha precisato che i certificati medici inviati dal dipendente non riportavano alcuna specificazione di diagnosi e che non risultava barrata la voce “stato patologico sotteso o connesso alla situazione di invalidità riconosciuta. Da ciò è stata esclusa una responsabilità colposa del datore di lavoro.
30. Tale affermazione della sentenza impugnata non è condivisibile.
31. La discriminazione indiretta, a norma del D.Lgs. n. 216/2003 e della Direttiva 2000/78/CE, si ha quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri di fatto sfavoriscono un determinato gruppo di persone.
32. Ciò che viene in rilievo è, pertanto, l’effetto discriminatorio e non la condotta, come invece avviene per la discriminazione diretta e, quindi, esula dal tema ogni problematica sul requisito della colpevolezza quale elemento costitutivo della responsabilità da comportamento discriminatorio.
33. Sotto questo profilo, al Collegio preme precisare, avendo riguardo ai precedenti già menzionati di questa Corte (Cass. n. 9095/2023; conf. Cass. n. 35747/202, che non è decisivo l’intento discriminatorio, operando la discriminazione obiettivamente in ragione del mero rilievo del trattamento deteriore riservato al lavoratore, quale effetto della sua appartenenza alla categoria dei disabili; tuttavia, non può negarsi che possa assumere rilevanza la conoscenza o la conoscibilità di un fattore discriminatorio, ai fini dell’accertamento della sussistenza di una esimente per il datore di lavoro al fine di rendere praticabili gli accomodamenti ragionevoli.
34. Va sottolineato, infatti, che, proprio per le discriminazioni indirette, la Direttiva in materia stabilisce una causa di giustificazione specifica nel caso di handicap (art. 2, paragrafo 2, b), ii), e cioè quando il datore di lavoro “sia obbligato dalla legislazione nazionale ad adottare misure adeguate, conformemente ai principi di cui all’articolo 5, misure per ovviare agli svantaggi provocati da tale disposizione, tale criterio o tale prassi”; in attuazione, con l’art. 3, comma 3-bis, D.Lgs. n. 216 del 2003, il legislatore nazionale, nel 2013, ha imposto ad ogni datore di lavoro, privato e pubblico, di “adottare accomodamenti ragionevoli”, salvo che richiedano oneri finanziari sproporzionati.
35. Il presupposto della conoscenza dello stato di disabilità o la possibilità di conoscerlo secondo l’ordinaria diligenza incide, evidentemente, sulla possibilità che il datore di lavoro possa fornire la prova liberatoria circa la ragionevolezza degli accomodamenti da adottare e, quindi, rappresenta un momento indispensabile nella valutazione della fattispecie.
36. Con riguardo a tale aspetto, possono enuclearsi due ipotesi in caso di licenziamento del disabile per superamento del periodo di comporto: la prima, in cui il datore di lavoro abbia colpevolmente ignorato la disabilità del dipendente; la seconda, in cui il fattore di protezione, pur non risultando espressamente portato a conoscenza del datore di lavoro, avrebbe potuto essere ritenuto reale secondo un comportamento di questi improntato a diligenza.
37. Nella prima ipotesi rientrano certamente i casi in cui la disabilità sia conosciuta dal datore di lavoro per essere, per esempio, il lavoratore stato assunto ai sensi della legge n. 68/1999 ovvero perché il lavoratore stesso ha rappresentato, nella comunicazione delle assenze o in qualsiasi altro modo, la propria situazione di disabilità alla parte datoriale.
38. Nella seconda, invece, vanno compresi i casi in cui, il datore di lavoro, pur ignorando la disabilità del dipendente non sia incolpevole perché era in grado di averne comunque consapevolezza per non avere, ad esempio, effettuato correttamente la sorveglianza sanitaria ex art. 41 del D.Lgs. n. 81/2008 ovvero perché le certificazioni mediche e/o la documentazione inviate erano sintomatiche di un particolare stato di salute costituente uno situazione di handicap come sopra delineata dalla normativa in materia.
39. In entrambi i contesti, per il datore di lavoro sorge, prima di adottare un provvedimento di licenziamento per superamento del periodo di comporto, un onere di acquisire informazioni – cui non può corrispondere un comportamento ostruzionistico del lavoratore – circa la eventualità che le assenze siano connesse ad uno stato di disabilità, per valutare, quindi, gli elementi utili al fine di individuare eventuali accorgimenti ragionevoli onde evitare il recesso dal rapporto (cfr. Cass. n. 11731 del 2024, par. 7.2).
40. Solo a titolo esemplificativo può ipotizzarsi un allungamento del periodo di comporto ex art. 2110, comma 2, c.c. o l’espunzione dal comporto di periodi di malattia connessi allo stato di disabilità ovvero altre misure da scegliere in relazione alla particolarità della fattispecie: accomodamenti, peraltro, le cui problematiche sono state oggetto di rinvio pregiudiziale alla CGUE da parte del Tribunale di Ravenna con ordinanza adottata il 4.1.2024.
41. L’onere di acquisire informazioni per il datore di lavoro e la cooperazione del lavoratore, invece, trovano conforto V. nell’art. 2 della Convenzione ONU secondo cui è una forma di discriminazione, “il rifiuto di accomodamento ragionevole”, e può rifiutarsi solo ciò che risulta oggetto di una richiesta, di una istanza.
42. Anche nel Commento generale n. 6, adottato nel 2018, dal Comitato per i diritti delle persone con disabilità (ONU), si afferma che: “è connaturato alla nozione di accomodamento ragionevole che l’obbligato entri in dialogo con l’individuo con disabilità”. Il Comitato definisce “l’obbligo di fornire soluzioni ragionevoli un dovere reattivo individualizzato che viene attivato nel momento in cui viene fatta la richiesta di accomodamento”.
43. Appare pure significativo che, nelle conclusioni rese dall’Avvocato Generale nella causa innanzi alla Corte di Giustizia C-270/16 Ruiz Conejero contro Ferroser Servicios Auxiliares SA e Ministerio Fiscal (CGUE sentenza 18 gennaio 2018), si affermi che il datore di lavoro “è tenuto a prendere provvedimenti appropriati per prevedere soluzioni ragionevoli ai sensi dell’articolo 5 della menzionata direttiva (…) qualora un lavoratore sia affetto da una disabilità e il suo datore di lavoro sia o dovrebbe ragionevolmente essere a conoscenza di tale disabilità”.
44. Del pari significativo è che l’art. 17 del decreto legislativo n. 62 del 3 maggio 2024, di attuazione della legge delega n. 227/21- non applicabile alla fattispecie ma che riforma l’intera materia della disabilità – nell’introdurre l’art. 5-bis alla legge n. 104 del 1992, stabilisce che, “La persona con disabilità (…) ha facoltà di richiedere, con apposita istanza scritta, (tra gli altri) ai soggetti privati l’adozione di un accomodamento ragionevole, anche formulando una proposta” e partecipando “al procedimento dell’individuazione dell’accomodamento ragionevole”.
45. L’interlocuzione ed il confronto tra le parti, che si pongono su di un piano logico quale presupposto per adottare gli accomodamenti ragionevoli, rappresentano, pertanto, un fase ineludibile della fattispecie complessa del licenziamento del lavoratore disabile per superamento del periodo di comporto, proprio “al fine di non sconfinare in forme di responsabilità oggettiva” e, “per verificare l’adempimento o meno dell’obbligo legislativamente imposto dal comma 3-bis”, “occorre avere presente il contenuto del comportamento dovuto”; ciò perché “. esso si caratterizza non (solo) in negativo, per il divieto di comportamenti” discriminatori, “quanto piuttosto per il suo profilo di azione, in positivo, volto alla ricerca di misure organizzative ragionevoli idonee a consentire lo svolgimento di un’attività lavorativa” al disabile. Quindi il datore è chiamato a provare, (…), di aver compiuto “uno sforzo diligente ed esigibile per trovare una soluzione organizzativa appropriata, che scongiuri il licenziamento, avuto riguardo a ogni circostanza rilevante nel caso concreto” (Cass. n. 6497 del 2021).
46. Tornando al caso di cui è processo e avendo riguardo alla menzionata impostazione metodologica, deve rilevarsi che, dallo storico della gravata sentenza, risultava che il A.A. aveva patito un infortunio sul lavoro il 21.3.2018 ed era sostanzialmente stato in malattia fino al 9.1.2019; era tornato a lavorare per pochi giorni ove era stato adibito a mansioni interne (e non a quelle esterne in relazione alle quali aveva subito l’aggressione e le percosse dal destinatario di una raccomandata) per poi assentarsi nuovamente per malattia dal 21.2.2019 all’8.3.2020 allorquando era stato licenziato per superamento del periodo di comporto del solo secondo periodo (cd. comporto secco); nelle more, con verbale dell’INPS del 24.7.2018 (in relazione al quale la Corte territoriale ha ritenuto che non vi fosse la prova di essere stato portato a conoscenza della società) il A.A. era stato riconosciuto portatore di handicap lieve ex art. 3co. 1 legge n. 104/1992.
47. La società datrice di lavoro era, pertanto, a conoscenza di un serio infortunio sul lavoro patito dal lavoratore (tanto è che aveva modificato le mansioni assegnate) nonché di un andamento delle assenze per malattia sicuramente anomalo e sintomatico di una patologia non ordinaria per cui, avendo riguardo ai principi sopra esposti, a differenza di quanto ritenuto dalla Corte territoriale, avrebbe dovuto essa coinvolgere, per una corretta applicazione delle norme in materia, il lavoratore ai fini di acquisire i necessari chiarimenti in ordine alle assenze effettuate non essendo sufficiente, per ritenere giustificata l’omessa conoscenza della disabilità, che il dipendente non avesse segnalato che le patologie che avevano dato luogo alle sue assenze fossero collegate al suo handicap ovvero che non gli risultasse trasmesso il verbale di riconoscimento dello stato di portatore di handicap del dipendente stesso.
48. Il nono, decimo e tredicesimo motivo sono in parte inammissibili e in parte infondati.
49. Invero, le censure non si sostanziano in violazioni o falsa applicazione delle disposizioni denunciate, ma tendono alla sollecitazione di una rivisitazione del merito della vicenda (Cass. n. 27197/2011; Cass. n. 6288/2011, Cass. n. 16038/2013), non consentita in sede di legittimità.
50. Deve, poi, ribadirsi che la violazione del precetto di cui all’art. 2697 cc si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata non avesse assolto tale onere, poiché in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. (Cass. n. 19064/2006; Cass. n. 2935/2006), con i relativi limiti di operatività ratione temporis applicabili.
51. In tema, inoltre, di ricorso per cassazione, la questione della violazione o falsa applicazione degli art. 115e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte di ufficio al di fuori dei limiti legali o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti, invece, a valutazione (Cass. n. 20867/2020; Cass. n. 27000 del 2016; Cass. n. 13960 del 2014): anche in questo caso le suddette ipotesi non sono ravvisabili nel caso in esame.
52. Infine, la valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilità dei testi (art. 244 c.p.c.), come la scelta, tra le varie emergenze probatorie di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad una esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. n. 16467 del 2017).
53. La trattazione del settimo motivo, infine, resta assorbita dall’accoglimento dei motivi sopra menzionati.
54. Alla stregua di quanto esposto vanno accolti il secondo, il quarto, il quinto, il sesto, l’ottavo e il dodicesimo motivo, rigettati gli altri e assorbito il settimo.
55. Dell’impugnata sentenza s’impone, pertanto, la cassazione in relazione ai motivi accolti con rinvio alla Corte d’Appello di Salerno, che in diversa composizione procederà a nuovo esame, facendo applicazione dei suindicati principi.
56 Il giudice del rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo, il quarto, il quinto, il sesto, l’ottavo ed il dodicesimo motivo, rigettati gli altri ed assorbito il settimo. Cassa l’impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di Salerno, in diversa composizione.
Ai sensi dell’art. 52 comma 5 del D.Lgs. n. 196/2003, in caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi del lavoratore ricorrente e della società datrice di lavoro.