L’indennità sostitutiva delle ferie non fruite ha natura retributiva e, nel pubblico impiego, deve essere inclusa nella base contributiva dell’indennità di buonuscita (TFS).
Nota a Cass. (ord.) 4 aprile 2024, n. 9009
Laura Sonnino Silvani
La Corte di Cassazione, con ordinanza 4 aprile 2024, n. 9009, ha specificato che, in tema di pubblico impiego, l’indennità sostitutiva delle ferie non fruite ha natura retributiva e, pertanto, ai sensi dell’art. 38 del D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, deve essere inclusa nella relativa base contributiva dell’indennità di buonuscita (c.d. TFS). L’indennità sostitutiva, infatti, non solo ha natura retributiva, ma è anche assoggettabile a contribuzione previdenziale ex art. 12 della L. 30 aprile 1969, n. 153.
La pronuncia in esame prende le mosse dalla vicenda giudiziale instaurata da un dipendente pubblico, il quale, con ricorso al Giudice del Lavoro, ha richiesto che l’importo di € 1573,43, ad egli spettante a titolo di indennità sostitutiva delle ferie maturate e non godute, fosse inserito nella base di calcolo della sua indennità di buonuscita.
Il Tribunale di Viterbo, in prima istanza, ha rigettato suddetto ricorso, poi, però, accolto, con sentenza n. 4028/2018, dalla Corte di Appello di Roma. In quella occasione, infatti, i Giudici di secondo grado hanno dichiarato l’imponibilità dell’indennità ai fini previdenziali e la sua conseguente riconducibilità nella base di calcolo della buonuscita (TFS).
Avverso tale sentenza, l’INPS ha proposto ricorso per Cassazione ed il lavoratore, anche in quel frangente, si è difeso con controricorso e depositando memorie.
La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 9009/2024, ha confermato la precedente pronuncia di merito, rilevando come l’indennità sostitutiva delle ferie non godute sia assoggettabile a contribuzione previdenziale, fermo restando che, avendo ad oggetto una prestazione lavorativa, peraltro svolta in luogo a delle giornate che avrebbero dovuto essere dedicate al riposo, ha comunque carattere retributivo. Invero, la Cassazione, nella esaminata pronuncia, afferma altresì che tale natura retributiva dell’indennità non è compromessa dal profilo risarcitorio che comunque la caratterizza, in quanto, sebbene questa sia volta a compensare il danno dovuto alla perdita del diritto del lavoratore al riposo ed al recupero psicofisico, è comunque caratterizzata da un innegabile profilo di corrispettività.
Tutto ciò premesso, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso presentato dall’INPS, stabilendo dunque che, in ragione sia della sua natura retributiva che del suo assoggettamento a contribuzione previdenziale, l’indennità per ferie non godute può e deve essere calcolata ai fini del computo dell’indennità di buonuscita dei lavoratori pubblici.
Sentenza
CORTE DI CASSAZIONE ordinanza 4 aprile 2024, n. 9009
Svolgimento del processo
Iv.Ca. ha chiesto al Tribunale di Viterbo la condanna dell’INPS a ricalcolare l’indennità di buonuscita già liquidatagli, inserendo nella relativa base di calcolo anche l’importo di Euro 1.573,43, riconosciuto in suo favore con la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 1885/2013, a titolo d’indennità sostitutiva delle ferie non godute in costanza del suo rapporto di impiego con il MIUR.
Il Tribunale di Viterbo, con sentenza n. 203/2015, ha rigettato il ricorso.
Iv.Ca. ha proposto appello che la Corte d’appello di Roma, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 4028/2018, ha accolto.
L’INPS ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un motivo.
Iv.Ca. si è difeso con controricorso e ha depositato memorie.
Motivi della decisione
1.Con un unico motivo parte ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 3 e 38 del d.P.R. n. 1032 del 1973 e prospetta la non computabilità nell’indennità di buonuscita dell’indennità sostitutiva delle ferie non godute.
Afferma che, secondo la normativa e la giurisprudenza, la base contributiva da considerare per la determinazione del trattamento di fine servizio contemplerebbe solo gli assegni e le indennità previste dalla legge come utili ai fini del trattamento previdenziale.
Tale principio si fonderebbe sulla circostanza che il trattamento di fine servizio non consisterebbe, diversamente dal TFR, in un mero accantonamento di quote della retribuzione via via effettuato in costanza di servizio, ma sarebbe il risultato di un algoritmo che considera solamente l’ultima retribuzione annua percepita, moltiplicata per tutti gli anni di servizio.
La doglianza è infondata.
Oggetto del contendere è la determinazione dell’indennità di buonuscita spettante, ai sensi degli artt. 3 e 38 del d.P.R. n. 1032 del 1973, al controricorrente. Egli sostiene che, ai fini di tale determinazione, avrebbe dovuto essere considerata anche l’indennità sostitutiva per ferie non godute da lui percepita.
L’indennità di buonuscita per dipendenti pubblici è un trattamento di fine servizio (TFS), che consiste in una somma di denaro spettante al lavoratore alla risoluzione del rapporto di lavoro con lo Stato.
Hanno diritto all’indennità di buonuscita i dipendenti civili e militari dello Stato in senso stretto assunti con contratto a tempo indeterminato entro il 31 dicembre 2000 e, indipendentemente dalla data di assunzione, i dipendenti rimasti in regime di diritto pubblico, ai sensi dell’art. 3, D.Lgs. n. 165 del 2001, che hanno risolto, per qualunque causa, il rapporto di lavoro e quello previdenziale con almeno un anno di iscrizione.
Al personale assunto con contratto a tempo indeterminato dopo il 31 dicembre 2000 si applica, invece, la disciplina del trattamento di fine rapporto (TFR).
L’importo dell’indennità di buonuscita si ottiene moltiplicando un dodicesimo dell’80% della retribuzione contributiva annua utile lorda – compresa la tredicesima mensilità – percepita alla cessazione dal servizio, per il numero degli anni utili ai fini del calcolo.
Diverso discorso va fatto per il TFR, il quale è un compenso con corresponsione differita al momento della cessazione del rapporto di lavoro, una sorta di salario posticipato calcolato per quote annuali.
Esso è determinato sommando, per ciascun anno di lavoro, una quota pari all’importo della retribuzione, dovuta per l’anno stesso, divisa per il coefficiente 13,5.
Trattamenti di fine servizio e di fine rapporto si differenziano tra loro rispetto alle modalità di calcolo.
I TFS hanno carattere previdenziale e prevedono contributi distinti tra datore di lavoro e lavoratori, il TFR ha carattere di salario differito in quanto, di fatto, quest’ultimo consiste nell’accantonamento di una quota di salario rivalutato ed erogato alla cessazione del rapporto di lavoro.
La normativa di riferimento per la soluzione della controversia è rappresentata dagli artt. 3 e 38 del d.P.R. n. 1032 del 1973.
In particolare, l’art. 3 prescrive, ai commi 2 e 3, che l’indennità è pari a tanti dodicesimi della base contributiva di cui al successivo art. 38, quanti sono gli anni di servizio computabili ai sensi delle disposizioni contenute nel successivo capo III. Per la determinazione della base contributiva, ai fini dell’applicazione del comma precedente, si considera l’ultimo stipendio o l’ultima paga o retribuzione integralmente percepiti; la stessa norma vale per gli assegni che concorrono a costituire la base contributiva
L’art. 38, invece, stabilisce che:
“La base contributiva è costituita dall’80 per cento dello stipendio, paga o retribuzione annui, considerati al lordo, di cui alle leggi concernenti il trattamento economico del personale iscritto al Fondo, nonché dei seguenti assegni:
indennità di funzione per i dirigenti superiori e per i primi dirigenti prevista dall’art. 47 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1972, n. 748;
assegno perequativo previsto dalla legge 15 novembre 1973, n. 734, per gli impiegati civili, di ruolo e non di ruolo, e per gli operai dello Stato;
indennità prevista dall’art. 1 della legge 16 novembre 1973, n. 728, per il personale di ruolo e non di ruolo, compreso quello operaio, dell’Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni e dell’Azienda di Stato per i servizi telefonici;
assegno annuo previsto dall’art. 12 del decreto-legge 1 ottobre 1973, n. 580, convertito nella legge 30 novembre 1973, n. 766, per il personale insegnante delle università e degli istituti di istruzione universitaria di ruolo, fuori ruolo ed incaricato;
assegno annuo previsto dall’art. 12 della legge 30 luglio 1973, n. 477, per il personale ispettivo, direttivo, docente e non docente della scuola materna, elementare, secondaria ed artistica;
assegno perequativo previsto dall’art. 1 della legge 27 ottobre 1973, n. 628, per gli ufficiali di grado inferiore a colonnello o capitano di vascello, nonché per i sottufficiali e per i militari di truppa;
assegno personale attribuito, nel caso di passaggio di carriera presso la stessa o diversa amministrazione, ai dipendenti con stipendio, od altro assegno che concorra a costituire la base contributiva, superiore a quello spettante nella nuova qualifica.
Concorrono altresì a costituire la base contributiva gli assegni e le indennità previsti dalla legge come utili ai fini del trattamento previdenziale.
(…)”.
Pertanto, può affermarsi che la base contributiva dell’indennità di buonuscita è costituita da una percentuale della retribuzione annua lorda, alla quale vanno aggiunti alcuni assegni e indennità specificamente elencati dall’art. 38 del d.P.R. n. 1032 del 1973 e “gli assegni e le indennità previsti dalla legge come utili ai fini del trattamento previdenziale”.
Se ne ricava che, per stabilire se l’indennità sostitutiva delle ferie non godute vada computata ai fini della liquidazione dell’indennità di buonuscita, occorre accertare se essa, non essendo fra quelle espressamente citate dall’art. 38 del d.P.R. n. 1032 del 1973, rientri fra “gli assegni e le indennità previsti dalla legge come utili ai fini del trattamento previdenziale”.
Al riguardo, si rileva come sia stato affermato (Cass. 10 maggio 2010, n. 11262; Cass., n. 6607/ 2004) che l’indennità sostitutiva di ferie non godute è assoggettabile a contribuzione previdenziale a norma dell’art. 12 della legge n. 153 del 1969, sia perché, essendo in rapporto di corrispettività con le prestazioni lavorative effettuate nel periodo di tempo che avrebbe dovuto essere dedicato al riposo, ha carattere retributivo e gode della garanzia prestata dall’art. 2126 c.c. a favore delle prestazioni effettuate con violazione di norme poste a tutela del lavoratore sia perché un eventuale suo concorrente profilo risarcitorio – non ne impedisce la riconducibilità all’ampia nozione di retribuzione imponibile delineata dal citato art. 12, costituendo essa, comunque, un’attribuzione patrimoniale riconosciuta a favore del lavoratore in dipendenza del rapporto di lavoro e non essendo ricompresa nella elencazione tassativa delle erogazioni escluse dalla contribuzione.
In particolare, è stato ritenuto (così Cass. 17 novembre 2020, n. 26160; Cass. 29 maggio 2018, n. 13473; Cass.11 settembre 2013, n. 20836; Cass. 9 luglio 2012, n. 11462), propendendosi per la natura mista dell’indennità in questione, che, in relazione al carattere irrinunciabile del diritto alle ferie, garantito dall’art. 36 Cost. – ed ulteriormente sancito dall’art. 7 della direttiva 2003/88/CE, ove in concreto le ferie non siano effettivamente fruite, anche senza responsabilità del datore di lavoro, spetta al lavoratore l’indennità sostitutiva che ha, per un verso, carattere risarcitorio, in quanto idonea a compensare il danno costituito dalla perdita di un bene (il riposo con recupero delle energie psicofisiche, la possibilità di meglio dedicarsi a relazioni familiari e sociali, l’opportunità di svolgere attività ricreative e simili) al cui soddisfacimento l’istituto delle ferie è destinato e, per altro verso, costituisce erogazione di indubbia natura retributiva, perché non solo è connessa al sinallagma caratterizzante il rapporto di lavoro, quale rapporto a prestazioni corrispettive, ma più specificamente rappresenta il corrispettivo dell’attività lavorativa resa in periodo che, pur essendo di per sé retribuito, avrebbe, invece, dovuto essere non lavorato perché destinato al godimento delle ferie annuali, restando indifferente l’eventuale responsabilità del datore di lavoro per il mancato godimento delle stesse.
Alla natura retributiva e alla sottoposizione a contribuzione previdenziale ex art. 12 della legge n. 153 del 1969 dell’indennità sostitutiva per le ferie non godute consegue che la stessa va calcolata ai fini della determinazione dell’indennità di buonuscita.
In quest’ottica, non assume valore la distinzione, prospettata da parte ricorrente, fra TFS e TFR, per la determinazione del quale la giurisprudenza ha ormai ammesso da tempo la rilevanza dell’indennità sostitutiva per ferie non godute (Cass.11 settembre 2013, n. 20836).
Infatti, ancorché l’indennità di buonuscita non possa essere considerata salario differito, diversamente dal TFR, essa è pur sempre calcolata, ai sensi dell’art. 38 del d.P.R. n. 1032 del 1973, considerando la retribuzione annua lorda e “gli assegni e le indennità previsti dalla legge come utili ai fini del trattamento previdenziale”, fra cui figura l’indennità sostitutiva per ferie non godute.
2. Il ricorso è rigettato in applicazione del seguente principio di diritto:
“L’indennità sostitutiva delle ferie non fruite va inclusa nella base contributiva dell’indennità di buonuscita ai sensi dell’art. 38 del d.P.R. n. 1032 del 1973 in ragione della sua natura retributiva e del suo assoggettamento a contribuzione previdenziale ex art. 12 della legge n. 153 del 1969”.
Le spese di lite seguono la soccombenza ex art. 91 c.p.c. e sono liquidate come in dispositivo.
Si attesta che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della P.A. ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale (d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater), se dovuto.
P.Q.M.
La Corte,
– rigetta il ricorso;
– condanna parte ricorrente a rifondere le spese di lite, che liquida in complessivi Euro 1.500,00 per compenso, oltre Euro 200,00 per esborsi, accessori di legge e spese generali nella misura del 15%, da distrarsi in favore del difensore dichiaratosi antistatario;
– dichiara che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della P.A. ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale (d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater), se dovuto.