In base al principio di corrispettività della prestazione e ai sensi dell’art.1, co.2, lett. a), D.Lgs. n. 66/2003 (per il quale è orario di lavoro qualsiasi periodo in cui il lavoratore è al lavoro a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività e delle sue funzioni), il tempo impiegato per recarsi presso un cliente, provenendo dalla sede aziendale, e per fare ritorno alla sede aziendale, provenendo dall’ultimo cliente, è certamente da retribuire.
Nota a Cass. (ord.) 17 giugno 2024, n. 16674
Marco Mocella
“Il tempo preparatorio della prestazione lavorativa rientra nell’orario di lavoro se le relative operazioni si svolgano sotto la direzione e il controllo del datore di lavoro; ne consegue che – in ipotesi di personale tecnico “on field”, addetto all’installazione e alla manutenzione degli impianti presso le abitazioni e i locali dei clienti, dotato di un terminale aziendale attraverso il quale visualizzare i luoghi degli interventi da compiere, “timbrare” l’orario di inizio del lavoro e ricevere le disposizioni datoriali – sono da considerare nulli gli accordi collettivi che prevedano una franchigia temporale, entro la quale è posto a carico dei lavoratori il tempo necessario per il trasferimento dal luogo di ricovero del mezzo aziendale a quello del primo intervento, nonché, alla fine della giornata lavorativa, per il tragitto inverso”.
Lo afferma la Corte di Cassazione (ord. 17 giugno 2024, n, 16674; conf. Cass. n. 37286/2021, annotata in q. sito da P. COTI) in una fattispecie relativa al ricorso di alcuni addetti agli interventi presso i clienti che avevano il compito di prelevare l’automezzo aziendale all’inizio di ogni giorno lavorativo, raggiungere la prima sede di lavoro esterna ed infine, concluso l’ultimo intervento, riportare l’automezzo nella sede aziendale.
Essi assumevano che, in un primo momento, il tempo di viaggio dalla sede aziendale al primo cliente e dall’ultimo cliente alla sede aziendale era stato considerato tempo di lavoro e come tale retribuito.
Ma, a seguito di accordo sindacale aziendale, nell’ambito di una ristrutturazione dell’orario di lavoro, era stato previsto che il tempo di lavoro iniziasse all’arrivo dei tecnici presso il primo cliente e terminasse alla fine dell’intervento presso l’ultimo cliente, sicché il tempo di viaggio per recarsi al domicilio del cliente e per tornare alla sede aziendale non veniva più retribuito se non nella misura eventualmente eccedente rispetto a 30 minuti al giorno (15 per l’andata e 15 per il ritorno), sulla base del controllo del tempo di viaggio affidato alla geolocalizzazione dell’automezzo.
I giudici hanno dedotto: a) la nullità della clausola del contratto aziendale in quanto in contrasto “sia con l’art. 1, co. 2, D.Lgs. n. 66/2003, secondo cui rientra nel tempo di lavoro, e quindi come tale deve essere retribuito, ogni momento in cui il lavoratore è a disposizione del datore di lavoro nello svolgimento delle sue mansioni, compreso il tempo dello spostamento necessario, sia con la giurisprudenza della C.G.U.E.”; b) e che il c.d. tempo viaggio impiegato dai lavoratori per recarsi presso il cliente, provenendo dalla sede aziendale, e per fare ritorno alla sede aziendale, provenendo dall’ultimo cliente, fosse certamente da retribuire, in linea con il principio di corrispettività delle prestazioni.
Sentenza
CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 giugno 2024, n. 16674
Lavoro – Accordo sindacale aziendale – Ristrutturazione dell’orario di lavoro – Retribuzione oraria – Franchigia – Sistema aziendale di geolocalizzazione – Normale corrispondenza fra tempo lavorato e tempo retribuito – Accoglimento parziale
Rilevato che
1.- Gli odierni ricorrenti deducevano di essere dipendenti di T.I. spa e di svolgere mansioni di tecnico di 4^ livello, addetti agli interventi presso i clienti, e quindi di dovere prelevare l’automezzo aziendale all’inizio di ogni giorno lavorativo, raggiungere la prima sede di lavoro esterna ed infine, concluso l’ultimo intervento, riportare l’automezzo nella sede aziendale.
Assumevano che fino al 30/06/2013 il tempo di viaggio dalla sede aziendale al primo cliente e dall’ultimo cliente alla sede aziendale era stato considerato tempo di lavoro e come tale retribuito.
Invece, dall’01/07/3013, a seguito di accordo sindacale aziendale del 27/03/2013 nell’ambito di una ristrutturazione dell’orario di lavoro, era stato previsto che il tempo di lavoro iniziasse all’arrivo dei tecnici presso il primo cliente e terminasse alla fine dell’intervento presso l’ultimo cliente, sicché il tempo di viaggio per recarsi al domicilio del cliente e per tornare alla sede aziendale non veniva più retribuito se non nella misura eventualmente eccedente rispetto a 30 minuti al giorno (15 per l’andata e 15 per il ritorno), sulla base del controllo del tempo di viaggio affidato alla geolocalizzazione dell’automezzo.
Deducevano che questa parte dell’accordo sindacale era nulla, in quanto in contrasto sia con l’art. 1, co. 2, d.lgs. n. 66/2003, secondo cui rientra nel tempo di lavoro e quindi come tale deve essere retribuito ogni momento in cui il lavoratore è a disposizione del datore di lavoro nello svolgimento delle sue mansioni, compreso il tempo dello spostamento necessario, sia con la giurisprudenza della C.G.U.E.
Adìvano pertanto il Tribunale di Firenze per ottenere la declaratoria di nullità parziale del predetto accordo sindacale e, previa sua integrazione, l’accertamento del loro diritto ad essere retribuiti per trenta minuti ogni giorno di lavoro e la condanna di T. spa a pagare il relativo importo dall’01/07/2013, da quantificare mediante consulenza tecnica d’ufficio di tipo contabile.
2.- Il Tribunale rigettava la domanda, ritenendo che, pur potendo convenirsi con i ricorrenti circa la nullità della clausola di c.d. franchigia, poiché in contrasto con la nozione di tempo di lavoro, comprensiva di quello necessario a recarsi presso il cliente, in quanto finalizzato all’esecuzione della prestazione lavorativa, nondimeno era mancata l’allegazione e la prova del tempo in concreto impiegato giorno per giorno per recarsi ad iniziare la giornata lavorativa e per rientrare.
3.- Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello, in parziale accoglimento del gravame interposto dai dipendenti, dichiarava la nullità della clausola dell’accordo aziendale del 27/03/2013, dichiarava il diritto degli appellanti ad essere retribuiti per tutto il tempo necessario per lo spostamento dalla sede aziendale al luogo del primo cliente e per quello di spostamento dal luogo dell’ultimo cliente alla sede aziendale, ma confermava il rigetto della domanda di condanna al pagamento di differenze retributive.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
a) gli appellanti hanno optato per ricoverare l’automezzo aziendale presso una sede della società, dove quindi si recano ogni giorno per prelevarlo e guidarlo fino al luogo del primo intervento e alla fine della giornata devono tornale in quella sede e lasciare l’automezzo;
b) come pure rilevato dal Tribunale, la clausola dell’accordo aziendale che considera questo tempo, convenzionalmente stabilito in 30 minuti, come di non lavoro è in contrasto con la norma imperativa dell’art. 1, co. 2, lett. a), d.lgs. n. 66/2003, secondo cui è orario di lavoro qualsiasi periodo in cui il lavoratore è al lavoro a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività e delle sue funzioni;
c) i compiti degli appellanti sono di manutenzione presso il domicilio dei clienti, sicché il viaggio è strettamente funzionale alla prestazione lavorativa, compreso quello ritorno, che è complementare al primo;
d) dunque rileva anche C.G.U.E. 10/09/2015 in causa C-266/14, relativa ad un caso del tutto analogo;
e) inoltre il tempo di quei tragitti è eterodiretto, come dimostrato dal sistema di geolocalizzazione dell’automezzo tramite sistema Work Force Management, di cui si dà atto nello stesso accordo aziendale;
f) che il nuovo regime di orario dei tecnici esterni possa presentare anche vantaggi per i lavoratori rispetto al passato non fa venir meno il contrasto con la norma imperativa;
g) in tal senso si è pronunzia anche la Corte di Cassazione (n. 27920/2021; ord. n. 31340/2021), che ha confermato altre pronunzie di questa Corte d’Appello;
h) il Tribunale ha errato nel non considerare la domanda di accertamento della nullità della clausola come autonoma rispetto alla domanda di condanna al pagamento di differenze retributive, autonomia data dallo scopo di ristabilire per il futuro la normale corrispondenza fra tempo lavorato e tempo retribuito;
i) non può ritenersi che la nullità parziale sia impedita dall’inscindibilità di quell’accordo con tutte le altre pattuizioni concluse in quello stesso periodo (un accordo quadro e tre accordi applicativi), perché se è vero che effettivamente le parti si dànno atto della predetta inscindibilità, nondimeno la nullità parziale non si traduce in nullità totale in quanto la clausola nulla è sostituita di diritto dalla norma imperativa dell’art. 1, co. 2, lett. a), d.lgs. n. 66/2003;
j) invece la domanda di condanna va rigettata, poiché i lavoratori hanno chiesto il pagamento del tempo finora oggetto di “franchigia” in misura intera (30 minuti) al giorno dando per scontato che ciascun tragitto, di andata e di ritorno, sia durato almeno quindici minuti, circostanza questa contestata dalla società e che i lavoratori non si sono offerti di provare;
k) mancano allegazioni su quale fosse l’ambito territoriale di intervento di ciascun tecnico e comunque nell’accordo aziendale la società si era impegnata ad assegnare il primo e l’ultimo intervento della giornata in modo tale che di norma i relativi tempi di spostamento fossero compresi nella franchigia.
4.- Avverso tale sentenza N.F. e L.L. hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
5.- T.I. S.p.a. ha resistito con controricorso e a sua volta ha proposto ricorso incidentale, affidato a due motivi.
6.- Le parti hanno depositato memoria.
7.- Il Collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.
Considerato che
Per ragioni di pregiudizialità logico-giuridica deve essere esaminato dapprima il ricorso incidentale e poi quello principale.
RICORSO INCIDENTALE
1.- Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la società ricorrente lamenta “violazione e falsa applicazione” dell’art. 1419 c.c. per avere la Corte territoriale escluso la rilevanza della clausola di inscindibilità ai fini dell’ammissibilità della domanda.
Il motivo è infondato.
L’art. 1419, co. 1, c.c., prevede che la nullità parziale, ossia limitata a singole clausole, si traduca in nullità totale del contratto soltanto se risulti che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto colpita dalla nullità. Al riguardo questa Corte ha già precisato che “Il concetto di nullità parziale, di cui all’art. 1419, comma 1, c.c., esprime il generale favore dell’ordinamento per la conservazione, ove possibile, degli atti di autonomia negoziale, ancorché difformi dallo schema legale, ed il carattere eccezionale dell’estensione all’intero contratto della nullità che ne colpisce una parte o una clausola; conseguentemente, spetta a chi ha interesse alla totale caducazione dell’assetto di interessi programmato l’onere di provare l’interdipendenza del resto del contratto dalla clausola o dalla parte nulla, mentre è precluso al giudice rilevare d’ufficio l’effetto estensivo della nullità parziale all’intero contratto” (Cass. ord. n. 18794/2023).
Nel caso di specie la società non ha chiesto né ha eccepito la nullità totale dell’accordo aziendale, bensì ha invocato l’inammissibilità della domanda, istituto che si colloca – in modo eclettico rispetto alle questioni affrontate –su un piano processuale piuttosto che sostanziale. Dunque, in mancanza di prospettazione di nullità totale dell’accordo aziendale, esattamente la Corte territoriale ha dato atto che la clausola nulla è stata sostituita di diritto dalla norma imperativa.
Inoltre, proprio il meccanismo della sostituzione automatica, prevista dall’art. 1339 c.c. e richiamato dall’art. 1419, co. 2, c.c., ha una valenza inderogabile.
Pertanto, da un lato impedisce in radice la possibilità di estendere la nullità parziale di qualche clausola all’intero contratto; dall’altro rende a sua volta nulle eventuali clausole cc.dd. di inscindibilità, sicché la decisione dei giudici d’appello si rivela conforme a diritto.
La sostituzione automatica delle clausole, infatti, opera in un duplice senso: ristabilisce un determinato equilibrio contrattuale secondo una precisa scelta del legislatore che si impone alle parti private in modo inderogabile ed assicura la conservazione del contratto, impedendo al giudice la valutazione (altrimenti possibile) di essenzialità di quella clausola per il consenso di uno o di entrambi i contraenti.
2.- Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta “violazione e falsa applicazione” dell’art. 1, co. 2, lett. a), d.lgs. n. 66/2003 per avere la Corte territoriale ritenuta la c.d. franchigia prevista dall’accordo aziendale come tempo di lavoro.
Il motivo è palesemente infondato.
Come già affermato da questa Corte di legittimità, “Il tempo preparatorio della prestazione lavorativa rientra nell’orario di lavoro se le relative operazioni si svolgano sotto la direzione e il controllo del datore di lavoro; ne consegue che – in ipotesi di personale tecnico “on field”, addetto all’installazione e alla manutenzione degli impianti presso le abitazioni e i locali dei clienti, dotato di un terminale aziendale attraverso il quale visualizzare i luoghi degli interventi da compiere, “timbrare” l’orario di inizio del lavoro e ricevere le disposizioni datoriali – sono da considerare nulli gli accordi collettivi che prevedano una franchigia temporale, entro la quale è posto a carico dei lavoratori il tempo necessario per il trasferimento dal luogo di ricovero del mezzo aziendale a quello del primo intervento, nonché, alla fine della giornata lavorativa, per il tragitto inverso” (Cass. n. 37286/2021).
RICORSO PRINCIPALE
1.- In omaggio al criterio di priorità logico-giuridica va esaminato dapprima il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c., con cui i ricorrenti lamentano “violazione e falsa applicazione” degli artt. 2697, 2698, 2727, 2729 c.c., 115, 116, 420, 421 c.p.c. e 24 Cost. per avere la Corte territoriale ritenuto sussistente un difetto di allegazione nella domanda di condanna da loro proposta.
Il motivo è fondato.
Una volta dichiarata la nullità della clausola di cui sopra, la Corte territoriale avrebbe dovuto dedurre che il tempo impiegato dagli odierni ricorrenti per recarsi presso il cliente, provenendo dalla sede aziendale, e per fare ritorno alla sede aziendale provenendo dall’ultimo cliente, è certamente da retribuire, in omaggio al principio di corrispettività delle prestazioni.
In tale prospettiva consequenziale, la mancata specifica allegazione dei tempi in concreto impiegati in ciascun giorno lavorativo rileva non ai fini dell’esistenza del diritto alle conseguenti differenze retributive – posto che è pacifico che essi sono tecnici esterni – ma solo della loro quantificazione, ben potendo quei tempi di lavoro essere anche inferiori ai 30 minuti giornalieri.
Pertanto la Corte territoriale avrebbe dovuto procedere al relativo accertamento sulla base delle istanze (anche di consulenza tecnica d’ufficio) riproposte dagli appellanti e sulla base del pacifico sistema aziendale di geolocalizzazione dell’automezzo da loro impiegato per recarsi dai clienti e per fare ritorno alla sede aziendale.
A tal fine si impone dunque la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio per effettuare il predetto accertamento ai fini della precisa liquidazione delle differenze retributive.
2.- Resta in tal modo assorbito il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c., con cui i ricorrenti lamentano “violazione e falsa applicazione” degli artt. 1, co. 2, lett. a), d.lgs. n. 66/2003, 2103, 2094, 2099 c.c., 36 Cost., 1206 e 1223 c.c. per avere la Corte territoriale rigettato la domanda di condanna al pagamento delle differenze retributive (ordinarie) sull’assunto dell’omessa allegazione dell’ambito territoriale, laddove era pacifico che essi operavano nell’ambito della provincia di Firenze e tanto risultava anche dal contratto di lavoro.
3.- Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c., i ricorrenti lamentano l’omesso esame di un fatto decisivo, ossia di tutte la documentazione prodotta con il ricorso di primo grado, idonea a dimostrare i tempi di spostamento come tempi di lavoro.
Il motivo è inammissibile, poiché non investe un “fatto storico”, bensì un profilo istruttorio, sicché tende a sollecitare a questa Corte una rivalutazione della documentazione e della sua idoneità probatoria, attività che è riservata al giudice del merito e, quindi, interdetta in sede di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso incidentale;
accoglie il secondo motivo del ricorso principale, dichiara assorbito il primo ed inammissibile il terzo;
cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Firenze, in diversa composizione, in relazione al motivo accolto, nonché per la regolazione delle spese anche del presente giudizio di legittimità.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso incidentale a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.