Le assenze dal lavoro dovute ad accessi al pronto soccorso per accertamenti urgenti non sono computabili ai fini del superamento del periodo di conservazione del posto di lavoro.
Nota a Cass. 6 giugno 2024, n. 15845
Sonia Gioia
La normativa pattizia che prevede l’esclusione dal computo ai fini del comporto delle assenze dovute a “ricovero ospedaliero, compreso il day hospital”, va interpretata nel senso che non devono conteggiarsi neppure le giornate di assenza causate dalla necessità di recarsi al pronto soccorso per sottoporsi ad accertamenti urgenti, in quanto rientranti nella nozione di “ricovero ospedaliero”.
Sicché, il licenziamento intimato per superamento del periodo di conservazione del posto di lavoro, calcolato sommando anche tale tipologia di assenze, è nullo per violazione di norma imperativa (ex art. 2110, co. 2., c.c.), con conseguente applicazione della tutela reale.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione 6 giugno 2024, n. 15845 (conforme ad App. Firenze n. 703/2021), in relazione ad una fattispecie concernente la legittimità del recesso intimato ad un dipendente per superamento del termine massimo di conservazione del posto di lavoro, calcolato computando anche le assenze causate da accessi al pronto soccorso in condizioni di urgenza.
Nel giudizio di merito, la Corte d’Appello, in conformità con il giudice di prime cure, aveva dichiarato la nullità del provvedimento espulsivo sul presupposto che, ai sensi dell’art. 70 ccnl Carta Industria (30 novembre 2016), tra “le assenze dovute a ricovero ospedaliero, compreso il day hospital” e non computabili ai fini del comporto dovessero farsi rientrare anche quelle causate da accessi al pronto soccorso.
Al riguardo, la Cassazione ha rilevato che l’espressione utilizzata dalla normativa pattizia sottende “una nozione ampia di ricovero”, comprensiva sia del ricovero ospedaliero – che si caratterizza per una durata di almeno 24 ore e presuppone un pernottamento nella struttura sanitaria – che del day hospital – che ha una durata giornaliera, senza pernottamento, e si realizza attraverso uno o più accessi di durata limitata anche ad una sola parte della giornata (artt. 36, 38, 42 D.P.C.M. 12 gennaio 2017, di “Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza”, di cui all’art. 1, co. 7, del D. LGS. 30 dicembre 1992, n. 502).
“Infatti, non è logicamente plausibile” che l’esclusione dal computo ai fini del periodo di conservazione del posto di lavoro sia stata prevista solo per i giorni di day hospital e non per altre ipotesi ad esso completamente assimilabili, come ad esempio il day surgery (che consiste nell’esecuzione programmata di interventi chirurgici o di procedure invasive che sono eseguibili in sicurezza nell’arco della giornata, senza necessità di osservazione post – operatoria prolungata e, comunque, senza osservazione notturna, ex art. 40, D.P.C.M. cit.) e l’ingresso al pronto soccorso.
Ciò, soprattutto se si considera la maggiore complessità e invasività delle prestazioni rese in regime di day surgery rispetto a quelle eseguite in day hospital e, analogamente, l’urgenza che caratterizza l’accesso al pronto soccorso rispetto alla programmabilità delle prestazioni rese in day hospital.
“Appare allora evidente” che le parti sociali, attraverso l’art. 70 ccnl cit., abbiano voluto escludere dal computo rilevante ai fini del periodo di comporto “tutto il tempo in cui il lavoratore è ricoverato presso una struttura sanitaria, anche se solo per una giornata o per una parte di essa, per essere sottoposto a indagini, cure e assistenza non eseguibili a domicilio”, considerato che “sarebbe alquanto irragionevole” escludere solo i giorni in cui il prestatore è stato sottoposto a terapie, accertamenti clinici, diagnostici o strumentali programmati in regime di day hospital e non anche quelli in cui lo stesso ha subito interventi chirurgici o procedure invasive in regime di day surgery oppure ha avuto la necessità di recarsi al pronto soccorso in condizioni di urgenza.
Sulla base di tali considerazioni, la Corte, nel confermare la pronuncia di merito, ha dichiarato la nullità del recesso per violazione dell’art. 2110, co. 2, c.c., con conseguente applicazione della tutela reale di cui all’art. 18, L. 20 maggio 1970, n. 300 (c.d. Statuto dei Lavoratori), in quanto, sottratti i giorni di ricovero, comprensivi degli accessi al pronto soccorso, il licenziamento risultava intimato prima del superamento del periodo massimo di conservazione del posto di lavoro contrattualmente previsto.
Sentenza
CORTE DI CASSAZIONE 6 giugno 2024 n. 15845
Svolgimento del processo
1.La Corte d’appello di Firenze ha respinto il reclamo della Pro-Gest Spa, confermando la sentenza di primo grado che, al pari dell’ordinanza emessa all’esito della fase sommaria, aveva annullato il licenziamento intimato il 18 ottobre 2019 a A.A. per superamento del periodo di comporto.
2. La Corte territoriale ha premesso che il licenziamento è stato intimato ai sensi dell’art. 70 del C.C.N.L. Carta Industria 30.11.2016, per avere il dipendente “a far data dal 27.6.2018 totalizzato complessivamente n. 371 giorni di assenza, al netto della franchigia pari a 90 giorni prevista dalla….contrattazione collettiva”; che, ai sensi dell’art. 70 C.C.N.L., “le assenze e le prosecuzioni d’assenza per malattia dovranno essere comunicate prima dell’inizio dell’orario di lavoro salvo casi di comprovato impedimento.”; che, in base alla lett. a) del citato articolo, “l’operaio non in prova che è assente dal lavoro per malattia o infortunio non sul lavoro ha diritto al seguente trattamento: conservazione del posto, senza interruzione di anzianità per tutta la durata della malattia o infortunio non sul lavoro fino ad massimo di 12 mesi; … In caso di più assenze il periodo di conservazione del posto e il trattamento economico si intendono riferiti ad un arco temporale di 36 mesi precedente ciascun giorno di assenza per malattia o infortunio non sul lavoro. Nel computo dei limiti della conservazione del posto e del trattamento economico come sopra definiti non saranno conteggiate: a) le assenze dovute a ricovero ospedaliero, compreso il day hospital; b) le terapie salvavita; c) i periodi di assenza continuativa superiori ad un mese, entro il limite complessivo di 90 giorni”. I giudici di appello hanno accertato che gli accessi al pronto soccorso nei giorni 18, 20 e 27 agosto 2018 nonché il ricovero in data 10 settembre 2018 (con intervento chirurgico eseguito l’11 settembre e successiva dimissione il 13 settembre 2018), erano avvenuti pacificamente durante le assenze per malattia ritualmente comunicate e giustificate.
Hanno ritenuto che tra le assenze dovute a ricovero, e non computabili ai fini del comporto, dovessero farsi rientrare anche quelle causate da accessi al pronto soccorso; che nessun onere di comunicazione degli accessi al pronto soccorso e del ricovero gravava sul dipendente, data la valenza puramente oggettiva dell’assenza per malattia, ai sensi dell’art. 2110 c.c.; che, sottratti i giorni di ricovero (comprensivi degli accessi al pronto soccorso), il recesso risulta intimato prima del superamento del periodo massimo di conservazione del posto di lavoro contrattualmente previsto ed è quindi nullo, per violazione della norma imperativa di cui all’art. 2110, comma 2 c.c.
3. Avverso tale sentenza la Pro-Gest Spa ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. A.A. ha resistito con controricorso. Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione
4. Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione dell’art. 70 del C.C.N.L. Carta Industria nonché del decreto del Ministero della Salute del 18.4.2012, come precisato dal massaggio Inps n. (omissis) del 9.3.2018, per avere la Corte d’appello considerato ricovero, non computabile ai fini del comporto, l’accesso volontario del lavoratore al pronto soccorso nei giorni 18, 20 e 27 agosto 2018. La società fonda l’errore di qualificazione giuridica del tribunale e della Corte d’appello sulla definizione di “ricovero” data dall’Inps, quale periodo di tempo in cui il paziente è ospitato presso le strutture dell’ospedale, necessario per assicurargli le prestazioni di diagnosi, cura e riabilitazione delle malattie che richiedono interventi non eseguibili in regime ambulatoriale, e presuppone una permanenza notturna. Assume che il ricovero può essere “ordinario”, attraverso la richiesta del medico di medicina generale o specialista, oppure “in via d’urgenza”, quando è richiesto dal pronto soccorso a cui il paziente giunga a seguito di chiamata al 118 o della guardia medica; sostiene che non esista un ricovero “volontario” e che il mero accesso in ospedale per usufruire di prestazioni specialistiche o ambulatoriali non costituisce ricovero. Rileva che le parti collettive hanno affiancato al ricovero il day hospital, consapevoli del fatto che quest’ultimo non equivale a ricovero ma volendo riconoscere allo stesso un trattamento privilegiato, in ragione della diversa invasività dei trattamenti attuati in regime di day hospital rispetto alle prestazioni meramente ambulatoriali, compatibili invece con la giornata lavorativa o con la malattia ordinaria. Deduce che ha errato la Corte d’appello nell’affermare che il riferimento al day hospital, nella previsione contrattuale, avesse valore esemplificativo di prestazioni sanitarie comunque erogabili nell’arco temporale della giornata.
5. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione dell’art. 70 del C.C.N.L. Carta Industria nonché violazione dell’art. 2110 c.c., per avere la Corte d’appello affermato che l’esclusione, dal computo delle assenze ai fini del comporto, dei giorni di ricovero ospedaliero opererebbe in modo oggettivo, a prescindere dal fatto che l’azienda fosse stata informata del ricovero da parte del dipendente che, in quei giorni, era assente per malattia ordinaria certificata dal medico di medicina generale. La società assume che l’art. 70, commi 1 e 3, del contratto collettivo addossa al lavoratore uno specifico onere di comunicazione delle certificazioni mediche, ponendo anche vincoli procedurali, al fine di consentire all’azienda di contabilizzare i giorni di congedo e di erogare le prestazioni dovute al dipendente.
6. Con il terzo motivo è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione dell’art. 70 del C.C.N.L. Carta Industria e dell’art. 2110 c.c., per avere la Corte d’appello omesso di computare, ai fini del comporto, le assenze per malattia nei giorni dal 19 al 25 ottobre 2019, in quanto oggetto di certificazione medica pervenuta al datore di lavoro dopo l’invio della lettera di licenziamento. Si assume che i suddetti giorni dovessero, invece, essere considerati sia perché il licenziamento per superamento del periodo di comporto opera in maniera oggettiva e sia in ragione del carattere recettizio della lettera di recesso, che produce effetto nel momento in cui è conosciuta o conoscibile dal lavoratore.
7. Il primo motivo di ricorso non è fondato.
8. È utile premettere che la denuncia di violazione o falsa applicazione dei contratti o accordi collettivi di lavoro, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., come modificato dall’art. 2del D.Lgs. n. 40 del 2006, è parificata sul piano processuale a quella delle norme di diritto, sicché anch’essa comporta, in sede di legittimità, l’interpretazione delle loro clausole in base alle norme codicistiche di ermeneutica negoziale (artt. 1362ss. c.c.) come criterio interpretativo diretto e non come canone esterno di commisurazione dell’esattezza e della congruità della motivazione. Non è quindi necessaria, ai fini della ammissibilità delle censure, la specifica indicazione delle norme asseritamente violate e dei principi in esse contenuti, né la deduzione di inosservanza da parte del giudice di merito dai canoni legali assunti violati o di una loro applicazione sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti (Cass. n. 6335 del 2014; n. 13860 del 2019).
9. Il motivo di censura investe l’interpretazione dell’art. 70 del C.C.N.L. Carta Industria nella parte in cui, alla lett. a), esclude dal computo ai fini del comporto “le assenze dovute a ricovero ospedaliero, compreso il day hospital”, dovendosi stabilire se nella previsione contrattuale possano considerarsi comprese, come ha sostenuto la Corte d’appello, anche le assenze dal lavoro nei giorni in cui il lavoratore si è recato al pronto soccorso.
10. La definizione normativa di ricovero e di day hospital si rinviene nel D.P.C.M. 12 gennaio 2017 di “Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, di cui all’art. 1, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502”.
11. L’art. 36 del citato D.P.C.M., la cui rubrica recita “Aree di attività dell’assistenza ospedaliera”, prevede che “1. Il livello dell’assistenza ospedaliera si articola nelle seguenti aree di attività: a. pronto soccorso; b. ricovero ordinario per acuti; c. day surgery; d. day hospital; e. riabilitazione e lungodegenza post acuzie; f. attività trasfusionali; g. attività di trapianto di cellule, organi e tessuti; h. centri antiveleni”.
12. L’art. 38 disciplina il “ricovero ordinario per acuti” e stabilisce: “1. Il Servizio sanitario nazionale garantisce le prestazioni assistenziali in regime di ricovero ordinario ai soggetti che, in presenza di problemi o patologie acute, necessitano di assistenza medico-infermieristica prolungata nel corso della giornata, osservazione medicoinfermieristica per 24 ore e immediata accessibilità alle prestazioni stesse”. L’art. 42 regolamenta il “day hospital” nel modo seguente: “1. Nell’ambito delle attività di day hospital medico il Servizio sanitario nazionale garantisce le prestazioni assistenziali programmabili appartenenti a branche specialistiche diverse, volte ad affrontare patologie o problemi acuti che richiedono inquadramento diagnostico, terapia, accertamenti clinici, diagnostici o strumentali, nonché assistenza medico infermieristica prolungata, non eseguibili in ambulatorio. L’attività di day hospital si articola in uno o più accessi di durata limitata ad una sola parte della giornata, senza necessità di pernottamento”.
13. In base alle definizioni normative appena riportate, il ricovero ospedaliero si caratterizza per una durata di almeno 24 ore e presuppone, quindi, un pernottamento nella struttura sanitaria. Il day hospital ha invece una durata giornaliera, senza pernottamento, e si realizza attraverso “uno o più accessi di durata limitata anche ad una sola parte della giornata”.
14. Alla luce di tali premesse, occorre ora rileggere l’art. 70 del C.C.N.L. per stabilire se le parti sociali abbiano adoperato le locuzioni “ricovero ospedaliero” e “day hospital” in maniera tassativa, escludendo altre forme di ricovero giornaliero, oppure in maniera esemplificativa, sì da comprendere anche altre possibili forme di ricovero presso le strutture sanitarie.
15. Deve allora rilevarsi come l’espressione adoperata nell’art. 70 (“nel computo dei limiti della conservazione del posto…non saranno conteggiate … le assenze dovute a ricovero ospedaliero, compreso il day hospital”) sottenda una nozione ampia di “ricovero”, comprensiva sia del “ricovero ospedaliero” vero e proprio che si protrae per almeno 24 ore e sia del ricovero di durata giornaliera. Infatti, non è logicamente plausibile che l’esclusione dal computo ai fini del comporto sia stata prevista solo per i giorni di day hospital e non per altre ipotesi ad esso completamente assimilabili, come ad esempio il “day surgery” (così definito dall’art. 40 del D.P.C.M. del 2017: “1. Nell’ambito delle attività di day surgery il Servizio sanitario nazionale garantisce le prestazioni assistenziali per l’esecuzione programmata di interventi chirurgici o di procedure invasive che, per complessità di esecuzione, durata dell’intervento, rischi di complicazioni e condizioni sociali e logistiche del paziente e dei suoi accompagnatori, sono eseguibili in sicurezza nell’arco della giornata, senza necessità di osservazione post-operatoria prolungata e, comunque, senza osservazione notturna. Oltre all’intervento chirurgico o alla procedura invasiva sono garantite le prestazioni propedeutiche e successive, l’assistenza medicoinfermieristica e la sorveglianza infermieristica fino alla dimissione”) e l’accesso al pronto soccorso. Ciò specie se si considera la maggiore complessità e invasività delle prestazioni rese in regime di day surgery rispetto a quelle eseguite in day hospital e, analogamente, la urgenza che caratterizza l’accesso al pronto soccorso rispetto alla programmabilità delle prestazioni in day hospital. Sarebbe alquanto irragionevole ipotizzare che le parti sociali abbiano voluto escludere dal computo del comporto i giorni in cui il lavoratore è stato sottoposto a “terapie, accertamenti clinici, diagnostici o strumentali” programmati in regime di day hospital e non i giorni in cui il medesimo ha subito “interventi chirurgici o procedure invasive” programmati in regime di day surgery oppure ha avuto necessità di accedere al pronto soccorso in condizione di urgenza. Appare allora evidente come la locuzione adoperata nell’art. 70 sia indice della volontà delle parti di escludere dal computo rilevante ai fini del comporto tutto il tempo in cui il lavoratore è ricoverato presso una struttura sanitaria, anche se solo per una giornata o per una parte di essa, per essere sottoposto a indagini, cure e assistenza non eseguibili a domicilio.
16. Alla luce dei rilievi svolti, nessun peso può attribuirsi al Messaggio dell’INPS n. (omissis) del 2018 invocato dalla società ricorrente che, ad altri fini, ed esattamente riguardo alla tutela previdenziale della malattia, distingue il tipo di certificato che dovrà essere trasmesso dal pronto soccorso e che dovrà essere di ricovero in caso di permanenza notturna e di malattia in caso di dimissione senza permanenza notturna.
17. La Corte d’appello ha correttamente interpretato l’art. 70 C.C.N.L., come volto ad escludere dal computo del comporto anche i giorni di accesso al pronto al soccorso, e da ciò discende l’infondatezza del primo motivo.
18. Parimenti infondato è il secondo motivo di ricorso.
19. L’art. 70 del C.C.N.L. prevede al primo comma che “le assenze e le prosecuzioni d’assenza per malattia dovranno essere comunicate prima dell’inizio dell’orario di lavoro del lavoratore interessato, salvo casi di comprovato impedimento…e giustificate con la comunicazione all’Azienda entro due giorni del numero di protocollo identificativo del certificato inviato dal medico in via telematica”; i commi successivi disciplinano le specifiche modalità di comunicazione (tramite mail, sms oppure raccomandata a.r.).
20. Nel caso in esame, non è in contestazione che tutte le assenze siano state comunicate dal lavoratore al datore di lavoro, nei termini prescritti dal contratto collettivo, con la trasmissione delle relative certificazioni mediche. La società contesta la omessa comunicazione dei ricoveri, o meglio degli accessi al pronto soccorso, rilevanti per il computo del comporto.
21. La disciplina dettata dal contratto collettivo non contempla alcun onere, a carico del lavoratore, di informare il datore degli avvenuti ricoveri o day hospital, sebbene ne escluda espressamente il conteggio ai fini del periodo di conservazione del posto di lavoro. Il che conferma il rilievo oggettivo che la norma contrattuale attribuisce a tale tipo di assenza, a prescindere dalla conoscenza che possa averne la società datoriale. Ciò in linea con l’assetto della giurisprudenza di legittimità che, al di fuori dei casi in cui sia configurabile una condizione di handicap per cui si impone una tutela antidiscriminatoria (su cui v. Cass. n. 9095 del 2023; n. 14316 del 2024; n. 14402 del 2024), ha costantemente sottolineato come, nella disciplina del licenziamento per superamento del periodo di comporto, il punto di equilibrio fra i contrapposti interessi del datore di lavoro e del lavoratore sia realizzato assegnando al dato della assenza dal lavoro una valenza puramente oggettiva, con la conseguenza che, in mancanza di un obbligo contrattuale, non è onere del datore informare il dipendente dell’approssimarsi del superamento del periodo di comporto (v. Cass. n. 20761 del 2018; n. 14891 del 2006) e, analogamente, non rileva l’erroneo convincimento del datore di lavoro in ordine all’avvenuto superamento del comporto (v. Cass. n. 17780 del 2005).
22. Anche il terzo motivo è infondato.
23. Come più volte affermato da questa Corte, la sussistenza delle condizioni legittimanti il potere di recesso disciplinato dall’art. 2110 c.c. deve essere verificata al momento del suo esercizio, atteso che il superamento del periodo di comporto non implica la risoluzione automatica del rapporto, ma occorre che il datore di lavoro, che intenda avvalersi di tale disposizione e delle collegate previsioni del contratto collettivo, eserciti il suo diritto di recesso con le forme prescritte per porre fine al rapporto (v. Cass. n. 16696 del 2004; n. 2981 del 2011, in cui il principio è stato affermato riguardo alla valutazione della anzianità del lavoratore cui il contratto collettivo collega la durata del periodo di comporto).
24. Per le ragioni esposte il ricorso deve essere respinto.
25. La regolazione delle spese del giudizio di legittimità segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo.
26. Il rigetto del ricorso costituisce presupposto processuale per il raddoppio del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 (cfr. Cass. S.U. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5.500,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.