Il dirigente dimessosi con preavviso, cui venga impedito di lavorare per cinque giorni, può risolvere il rapporto di lavoro per giusta causa.

Nota a Cass. (ord.) 3 luglio 2024, n. 18263

Alfonso Tagliamonte

Il comportamento di un’azienda che, dopo aver ricevuto le dimissioni con preavviso del dirigente, lo privi dell’accesso al posto di lavoro e alla posta elettronica aziendale è illegittimo. A fronte di tale condotta, il dipendente può risolvere immediatamente il rapporto di lavoro, senza rispettare il periodo di preavviso, in quanto sussiste una giusta causa ai sensi dell’art. 2119 c.c.

Questo, il principio espresso dalla Corte di Cassazione (ord. 3 luglio 2024, n. 18263) diversamente dalla Corte di merito la quale aveva escluso che la configurabilità di una giusta causa di dimissioni, “a fronte della condotta datoriale che si era concretizzata nella sospensione delle ordinarie modalità di svolgimento della prestazione per soli cinque giorni, ferma la garanzia della retribuzione, e tenuto conto della necessità per la datrice stessa di organizzarsi, anche alla luce delle mansioni svolte dall’appellante, di mediatore marittimo con consolidata esperienza, con rapporti diretti e fiduciari con i clienti della società e con necessari contatti con possibili nuovi clienti, quindi con inevitabile acquisizione di ulteriori e fondamentali informazioni riservate e con necessità per la società di preservare il proprio patrimonio commerciale presente e futuro”.

La Cassazione rileva che:

– i giudici di appello avevano omesso di valutare l’inadempimento datoriale in tutti i suoi aspetti correlati non solo alla breve durata del divieto di svolgimento della prestazione ma anche alle modalità attraverso cui lo stesso si era realizzato (“ritiro immediato di computer, telefono, carte di credito, chiavi dell’ufficio, disabilitazione dell’account di posta elettronica, assenza di qualsiasi comunicazione sulla durata della sospensione del rapporto”). Tali aspetti, infatti, risultano complessivamente rilevanti ai fini della verifica di sussistenza o meno della impossibilità di prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto (ex art. 2119 c.c.). Peraltro, la società per “salvaguardare le informazioni ed i clienti della società” avrebbe potuto agire in svariati altri modi consentiti dall’ordinamento, come, ad esempio, attraverso la rinuncia al preavviso, con corresponsione della relativa indennità;

– sussiste una la violazione dell’art. 2119 c.c., nella negazione dell’esistenza di una giusta causa di recesso del lavoratore ove ci si limiti a dare “rilievo preminente alla (breve) durata dell’inadempimento datoriale anziché alla complessiva condotta della società e senza tenere adeguatamente conto dei principi generali dell’ordinamento che qualificano come illegittima la condotta datoriale di sospensione unilaterale del rapporto di lavoro (nella specie, senza nemmeno predeterminazione di durata) ove tenuta a fronte (non di una condotta illecita del dipendente ma) del legittimo esercizio del diritto del lavoratore, anche se dirigente, di recedere con preavviso” (v. anche Cass. n. 985/2017, che ha configurato una giusta causa di recesso l’illegittima compressione del diritto alla prestazione lavorativa nel periodo di preavviso nel caso di un lavoratore, che, avendo scelto di prestare la propria attività durante il periodo di preavviso, era stato posto dal datore in ferie per il godimento di quelle non ancora fruite, con sovrapposizione di queste al periodo di preavviso);

– il nostro sistema giuridico “contempla la sospensione del rapporto di lavoro sotto una duplice veste: la sospensione cd. cautelare, quale misura di carattere provvisorio e strumentale all’accertamento dei fatti relativi alla violazione, da parte del lavoratore, degli obblighi inerenti al rapporto, e la sospensione cd. disciplinare, costituente essa stessa sanzione disciplinare applicabile a fronte di un accertato inadempimento del lavoratore (v. Cass. n. 25136/2010; n. 15353/2012). In entrambi i casi, la legittimità della sospensione unilaterale del rapporto lavorativo è correlata all’esistenza, accertata o solo contestata, di un inadempimento del lavoratore ai propri obblighi, mentre del tutto illegittima è la sospensione del rapporto di lavoro, a prescindere dalla durata della sospensione stessa, a fronte dell’esercizio di un diritto del lavoratore, quale il diritto di recesso con preavviso”.

Sentenza

CORTE DI CASSAZIONE (ORD.) 3 luglio 2024, n. 18263

Rilevato che:

1.La Corte d’appello di Genova ha respinto l’appello di Paolo Bovenga, confermando la pronuncia di primo grado con cui era stata rigettata la domanda volta a far accertare l’esistenza di una giusta causa delle dimissioni dal medesimo rassegnate e ad ottenere la condanna della società Clarksons Platou (Italia) s.r.l. al pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso e del saldo del TFR, previa declaratoria di illegittimità della trattenuta dalla stessa operata a titolo di mancato preavviso.

2. La Corte territoriale ha premesso che il Bovenga era dipendente della società, che svolge attività di brokeraggio marittimo, dal 1994; che dal giugno 2002 gli era stata riconosciuta la qualifica di dirigente e dal 2009 era stato nominato consigliere e amministratore delegato; che il predetto aveva rassegnato le dimissioni in data 11 luglio 2018, comunicando il preavviso di sei mesi; che la società, ricevute le dimissioni, aveva disabilitato l’account di posta elettronica aziendale, impedito l’accesso al computer ed anche all’ufficio; che a causa di tale condotta il Bovenga, il 18 luglio 2018, aveva comunicato la risoluzione immediata del rapporto di lavoro “in considerazione del vostro grave comportamento che non mi permette di prestare l’attività lavorativa nel periodo di preavviso”. La Corte di merito ha escluso che fosse configurabile una giusta causa di dimissioni, a fronte della condotta datoriale che si era concretizzata nella sospensione delle ordinarie modalità di svolgimento della prestazione per soli cinque giorni, ferma la garanzia della retribuzione, e tenuto conto della necessità per la datrice stessa di organizzarsi, anche alla luce delle mansioni svolte dall’appellante, di “mediatore marittimo con consolidata esperienza, con rapporti diretti e fiduciari con i clienti della società e con necessari contatti con possibili nuovi clienti, quindi con inevitabile acquisizione di ulteriori e fondamentali informazioni riservate e con necessità per la società di preservare il proprio patrimonio commerciale presente e futuro”.

3. Avverso tale sentenza Paolo Bovenga ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. La Clarksons Platou (Italia) s.r.l. in liquidazione ha resistito con controricorso. È stata depositata memoria nell’interesse del sig. Bovenga.

4. Il Collegio si è riservato di depositare l’ordinanza nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022.

Considerato che:

5. Con il primo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c., con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per avere la Corte di merito errato nella valutazione della giusta causa, quale impossibilità di prosecuzione anche provvisoria del rapporto di lavoro, non avendo considerato che l’inadempimento datoriale non si è esaurito in un singolo comportamento (sottrazione del telefono cellulare o del computer) ma si è svolto tramite plurime condotte, in un arco di tempo di cinque giorni consecutivi, culminato con il divieto al dirigente di accesso in azienda. Il ricorrente assume che, data la sua qualifica di dirigente apicale, l’impedimento allo svolgimento delle mansioni, l’allontanamento dall’azienda, la sottrazione del telefono cellulare e del computer portatile, se protratti per un lasso di tempo ancora maggiore, gli avrebbero causato un danno professionale e di immagine gravissimo, rapportandosi egli quotidianamente con dipendenti e clienti dell’azienda e con enti, istituzioni, consulenti e professionisti.

6. Con il secondo motivo di ricorso è denunciato l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., quanto alla nozione legale di giusta causa. Si censura la sentenza d’appello per non aver ammesso l’interrogatorio formale delle parti e le prove testimoniali, così omettendo l’esame del fatto decisivo rappresentato dalla giusta causa di recesso.

7. Il primo motivo di ricorso è fondato.

8. Questa Corte (v. Cass. n. 8254 del 2004; n. 21214 del 2009; n. 5095 del 2011; n. 6498 del 2012; più recentemente v. Cass. n. 7426 del 2018; n. 7029 del 2023) ha ripetutamente affermato che la giusta causa, quale fatto “che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto” è una nozione che la legge – allo scopo di adeguare le norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo – configura con una disposizione ascrivibile alla tipologia delle c.d. clausole generali, delineante un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza sociale, sia di criteri desumibili dall’ordinamento generale, a cominciare dai principi costituzionali, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama.

9. Il giudice, che è chiamato ad integrare il contenuto della norma, compie un’attività di interpretazione giuridica e non meramente fattuale della stessa, dando concretezza a quella parte mobile della previsione normativa che il legislatore ha voluto tale per adeguarla ad un determinato contesto storico – sociale ovvero a determinate situazioni non esattamente ed efficacemente specificabili a priori.

10. L’attività di precisazione e integrazione della clausola generale è censurabile in sede di legittimità, al pari di ogni giudizio fondato su norme giuridiche, e il sindacato dinanzi alla Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., consiste nella verifica della conformità di tale giudizio di valore ai principi propri dell’ordinamento giuridico (v. tra le molte, Cass. n. 5026 del 2004; n. 8017 del 2006; n. 17093 del 2011; S.U. n. 2572 del 2012).

11. In tema di giusta causa, si è ribadito che le specificazioni del parametro normativo hanno natura giuridica e la loro errata individuazione è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge (tra le innumerevoli: Cass. n. 6901 del 2016; Cass. n. 6501 del 2013; Cass. n. 6498 del 2012; Cass. n. 25144 del 2010), mentre l’accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni, e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa di licenziamento, si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in Cassazione se privo di errori logici o giuridici.

12. La sentenza impugnata ha ricostruito la condotta inadempiente della società consistita in una sospensione per “soli cinque giorni” della prestazione lavorativa del sig. Bovenga, sottolineando come in tali giorni la società non fosse venuta meno all’obbligo di corrispondere la retribuzione. Ha individuato quali fossero in quel momento i contrapposti interessi delle parti: quello del lavoratore, di “liberarsi nel più breve tempo possibile di quel suo impegno lavorativo, avendo già predisposto un nuovo sbocco professionale” (sentenza, p. 12, secondo cpv.); quello della società, di “organizzarsi […] per preservare il proprio patrimonio commerciale presente e futuro” in ragione delle mansioni svolte dal Bovenga “mediatore marittimo con consolidata esperienza, con rapporti diretti e fiduciari con i clienti della società e con necessari contatti con possibili nuovi clienti, con inevitabile acquisizione di ulteriori e fondamentali informazioni riservate” (sentenza, p. 11, ultimo cpv.). Ha effettuato un bilanciamento tra tali contrapposti interessi giungendo alla conclusione che la condotta datoriale non avesse “assunto i necessari connotati di gravità, quanto ad intensità e soprattutto durata, tali da giustificare un recesso immediato per giusta causa” (sentenza, p. 12, quarto cpv.).

13. La Corte d’appello ha attribuito rilievo, ai fini della astratta integrazione della giusta causa di recesso, alla durata e alla reiterazione dell’inadempimento, traendo la convinzione dell’importanza di tale elemento da un precedente di legittimità (Cass. n. 6437 del 2020), che ha escluso la gravità del ritardo datoriale nel pagamento della retribuzione, protrattosi per un breve lasso temporale, in un contesto di conclamata crisi aziendale nel quale i lavoratori avevano comunque fruito della cassa integrazione. Estrapolando il dato temporale dell’inadempimento come significativo di per sé, i giudici di appello hanno considerato requisito immanente e quasi dirimente, ai fini della giusta causa di recesso di una delle parti del rapporto contrattuale, la protrazione o reiterazione nel tempo dell’inadempimento dell’altra parte (sentenza, p. 11, secondo cpv.), là dove, alla luce della formulazione dell’art. 2119 c.c. che fa leva sulla impossibilità, anche provvisoria, di prosecuzione del rapporto, la durata dell’inadempimento può rappresentare solo uno dei plurimi indici rilevanti ai fini del giudizio di gravità. Per effetto di tale distorta prospettiva, i giudici di appello hanno valutato la condotta della società, che aveva impedito al Bovenga lo svolgimento della prestazione lavorativa per “soli” cinque giorni lavorativi (dall’11 al 18 luglio 2018), come priva, in ragione (soprattutto) della sua breve durata, della gravità necessaria a giustificare il recesso immediato per giusta causa, così omettendo la doverosa valutazione dell’inadempimento datoriale in tutti i suoi aspetti, legati non solo alla durata del divieto di svolgimento della prestazione lavorativa ma anche alle modalità attraverso cui ciò era stato realizzato (ritiro immediato di computer, telefono, carte di credito, chiavi dell’ufficio, disabilitazione dell’account di posta elettronica, assenza di qualsiasi comunicazione sulla durata della sospensione del rapporto), aspetti complessivamente rilevanti ai fini della verifica di sussistenza o meno della impossibilità di prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto.

14. Nel soppesare la gravità dell’inadempimento datoriale e dovendo avere riguardo ai principi generali dell’ordinamento, i giudici di appello avrebbero dovuto porre mente al fatto che il nostro sistema giuridico contempla la sospensione del rapporto di lavoro sotto una duplice veste: la sospensione cd. cautelare, quale misura di carattere provvisorio e strumentale all’accertamento dei fatti relativi alla violazione, da parte del lavoratore, degli obblighi inerenti al rapporto, e la sospensione cd. disciplinare, costituente essa stessa sanzione disciplinare applicabile a fronte di un accertato inadempimento del lavoratore (v. Cass. n. 25136 del 2010; n. 15353 del 2012). In entrambi i casi, la legittimità della sospensione unilaterale del rapporto lavorativo è correlata all’esistenza, accertata o solo contestata, di un inadempimento del lavoratore ai propri obblighi, mentre del tutto illegittima è la sospensione del rapporto di lavoro, a prescindere dalla durata della sospensione stessa, a fronte dell’esercizio di un diritto del lavoratore, quale il diritto di recesso con preavviso.

15. Proprio in base al canone di ragionevolezza e ai criteri di correttezza e buona fede, più volte richiamati nella sentenza impugnata, la Corte di merito avrebbe dovuto effettuare un doveroso bilanciamento (non tra i rispettivi interessi delle parti ma) ponendo, da un lato, l’esercizio del diritto di recesso del lavoratore, con preavviso e nella prospettiva, legittima (non essendo dedotta la conclusione di un patto di non concorrenza) di un nuovo sbocco professionale e, dall’altro, l’illegittimità della condotta datoriale di sospensione unilaterale del rapporto di lavoro, attuata con modalità tali da precludere al dipendente (tale dovendosi considerare il Bovenga nel corso del periodo di preavviso) persino l’accesso in ufficio. Con l’ulteriore connotato dell’essere l’esigenza datoriale delineata dai giudici di merito, di salvaguardare le informazioni ed i clienti della società, tutelabile in svariati altri modi consentiti dall’ordinamento, come, ad esempio, attraverso la rinuncia al preavviso, con corresponsione della relativa indennità.

16. Da quanto detto discende la violazione dell’art. 2119 c.c., per avere la Corte d’appello negato l’esistenza di una giusta causa di recesso del lavoratore dando rilievo preminente alla (breve) durata dell’inadempimento datoriale anziché alla complessiva condotta della società e senza tenere adeguatamente conto dei principi generali dell’ordinamento, che qualificano come illegittima la condotta datoriale, di sospensione unilaterale del rapporto di lavoro (nella specie, senza nemmeno predeterminazione di durata) ove tenuta a fronte (non di una condotta illecita del dipendente ma) del legittimo esercizio del diritto del lavoratore, anche se dirigente, di recedere con preavviso.

17. La illegittima compressione del diritto alla prestazione lavorativa nel periodo di preavviso è stata da questa Corte specificamente valorizzata, ritenendosi integrata una giusta causa di recesso nel caso del lavoratore, che, avendo scelto di prestare la propria attività durante il periodo di preavviso, sia stato posto dal datore in ferie per il godimento di quelle non ancora fruite, con sovrapposizione di queste al periodo di preavviso (v. Cass. n. 985 del 2017).

18. Per le ragioni esposte deve trovare accoglimento il primo motivo di ricorso, risultando il secondo motivo inammissibile in quanto il vizio prospettato attiene non all’omesso esame di un fatto storico decisivo (v. sul punto Cass., S.U. n. 8053 e n. 8054 del 2014) bensì alla qualificazione giuridica dei fatti e quindi alla motivazione in diritto, estranea al perimetro di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c.

19. La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla medesima Corte d’appello, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il secondo motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Genova, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

Dimissioni per giusta causa del dirigente sospeso per cinque giorni dalle ordinarie modalità di svolgimento della prestazione
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