Valida l’impugnazione del licenziamento tramite invio PEC di un documento word. È sufficiente che l’atto esprima la volontà inequivoca di impugnare il licenziamento

Nota a Cass. (ord.) 8 luglio 2024, n. 18529

Fabrizio Girolami

Ai sensi dell’art. 6, L. n. 604/1966 il requisito dell’impugnazione per iscritto del licenziamento deve ritenersi assolto, in assenza della previsione di modalità specifiche, con qualunque modalità che comporti la trasmissione al destinatario di un qualsiasi atto scritto avente contenuto idoneo a comunicare l’intenzione del lavoratore di impugnare il licenziamento e allo stesso con certezza riferibile. Ne consegue che è valida l’impugnativa stragiudiziale del licenziamento effettuata anche mediante invio di una PEC con allegato un file formato word, non essendo necessario l’invio di una copia informatica di un documento analogico ai sensi del D.Lgs. n. 82/2005 (“Codice dell’amministrazione digitale”, CAD).

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con l’ordinanza 8 luglio 2024, n. 18529 che ha cassato con rinvio la sentenza n. 518/2022 della Corte d’Appello di Bologna che aveva dichiarato la decadenza del ricorso di impugnazione di un licenziamento, perché avvenuta tramite la notifica, via PEC, da parte del difensore, di un semplice file word non sottoscritto, contenente il ricorso, anziché nella forma prescritta dall’art. 22 CAD di copia informatica di documento analogico. In particolare, il difensore del lavoratore licenziato aveva inoltrato una PEC all’indirizzo della società datrice alla quale era allegato un file word nel quale era contenuta la contestazione del licenziamento per giusta causa, priva sia della sottoscrizione del ricorrente che della sottoscrizione del difensore.

Secondo il giudice di merito, l’atto di impugnativa del licenziamento (inviato come documento informatico) avrebbe dovuto rispettare la disciplina ex art. 22 CAD per cui la scansione dell’impugnazione cartacea di un licenziamento può avere la stessa efficacia probatoria dell’originale da cui è estratta solo nei seguenti tre casi: 1. se a essa è apposta una firma digitale o elettronica qualificata o elettronica avanzata dal lavoratore e/o dal difensore; 2. se è accompagnata da valida attestazione di conformità di un notaio o di altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato secondo le regole stabilite ex art. 71 CAD; 3. se è stata formata in origine su supporto analogico nel rispetto delle regole tecniche ex art. 71 CAD e la sua conformità all’originale non è espressamente disconosciuta.

In conformità a tale disciplina, secondo la Corte bolognese l’impugnazione di un licenziamento tramite PEC inviata dal difensore può essere ritenuta idonea soltanto nell’ipotesi in cui il documento allegato rispetti la forma prevista dal CAD, dovendo in particolare trattarsi soltanto della “copia informatica di un documento analogico” e non di un mero file word allegato a una PEC.

Di diverso avviso è stata la Cassazione che ha osservato, in particolare, quanto segue:

  • la soluzione formalistica adottata dalla Corte di merito contrasta con la costante applicazione “sostanzialistica” dell’art. 6, L. n. 604/1966 praticata dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui ai fini della validità dell’atto di impugnazione del licenziamento “non si richiedono formule particolari”, essendo sufficiente qualsiasi atto scritto (anche extragiudiziale proveniente dal lavoratore o dal suo difensore) idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore di impugnare il licenziamento (Cass. 23.4.2021, n. 10883; Cass. 13.4.2021, n. 9650, in q. sito con nota di F. ALBINIANO; Cass. 27.2.1998, n. 2200; Cass. 16.12.1997, n. 12709);
  • nel caso di specie, tale idoneità è pienamente sussistente dal momento che la società datrice di lavoro “non ha mai contestato di aver ricevuta tale manifestazione di volontà attraverso il file di word allegato alla PEC del difensore e con quel contenuto idoneo a comunicare l’intenzione del lavoratore di impugnare il licenziamento”;
  • infine, la mancata sottoscrizione del documento è priva di rilevanza, avendo la giurisprudenza di legittimità più volte ribadito il principio secondo cui “la produzione in giudizio di una scrittura, priva di firma da parte di chi avrebbe dovuto sottoscriverla, equivale a sottoscrizione, a condizione che tale produzione avvenga – appunto – ad opera della parte stessa”.

Sentenza

CORTE DI CASSAZIONE (ORD.) 8 luglio 2024, n. 18529

Fatti di causa

La Corte d’appello di Bologna, con la sentenza in atti, ha rigettato l’appello proposto da G.P.M. avverso la sentenza del giudice del lavoro che rigettava la domanda di impugnazione del licenziamento disciplinare comminatogli dalla datrice di lavoro T.S. srl.

La Corte d’appello, confermando la decisione di decadenza dalla impugnazione pronunciata dal giudice di primo grado, ha richiamato l’eccezione di inammissibilità del ricorso sostenuta dalla T.S. srl poiché il difensore del lavoratore ricorrente in data 11/2/2020 aveva inoltrato una PEC all’indirizzo della T.S. srl cui era allegato un file “word” nel quale era contenuta la contestazione del licenziamento per giusta causa, priva sia della sottoscrizione della ricorrente che della sottoscrizione del difensore.

La Corte d’appello ha affermato che, in base alle disposizioni di legge ed ai principi della giurisprudenza, l’atto di impugnativa del licenziamento inviato come documento informatico doveva rispettare la disciplina dell’articolo 22 del decreto legislativo n. 82 del 2005.

Ai sensi di tale disciplina la scansione dell’impugnazione cartacea di un licenziamento poteva avere la stessa efficacia probatoria dell’originale da cui è estratta solo nei seguenti tre casi: 1.- se ad essa è apposta una firma digitale o elettronica qualificata o elettronica avanzata dal lavoratore e/o dal difensore; 2. se è accompagnata da valida attestazione di conformità di un notaio o di altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato secondo le regole stabilite ai sensi dell’art. 71 decreto legislativo numero 82/2005; 3.- se è stata formata in origine su supporto analogico nel rispetto delle regole tecniche di cui all’art. 71 decreto legislativo numero 82/2005 e la sua conformità all’originale non è espressamente disconosciuta.

Nel caso di specie invece, secondo la Corte di appello, non vi era un atto cartaceo scansionato (ancorché non sottoscritto dal lavoratore e/o difensore ne’ digitalmente né elettronicamente), ma vi era allegato alla PEC un semplice file in formato “word” (pertanto modificabile da chiunque) del tutto privo di firme e non dotato di alcuna attestazione di conformità nei termini richiesti dalla legge, né formato nel rispetto delle linee guida AGID (richiamate dall’art 71 dlgs. 82/2005)

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione G.P.M. con un unico motivo a cui ha resistito T.S. Srl con contro ricorso.

La controricorrente ha depositato memoria. Il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.

Ragioni della decisione

1.- Con l’unico motivo di ricorso si deduce la violazione e l’errata applicazione dell’art. 6 della legge 604/1966 per avere la Corte d’appello disconosciuto la validità dell’atto di impugnazione costituito da un file di Word inviato dal difensore del lavoratore licenziato tramite PEC. Secondo il ricorrente, che richiama la sentenza della Corte di cassazione n. 10883/2021, l’impugnativa stragiudiziale di licenziamento può essere effettuata con qualsiasi atto scritto idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore, senza la necessità di utilizzare particolari formule sacramentali, come previsto dall’art. 6 della legge 604/66.

2.- Il motivo è fondato come risulta dalle seguenti considerazioni.

Secondo la Corte di Bologna l’impugnazione di un licenziamento tramite PEC inviata dal difensore può essere ritenuta idonea soltanto nell’ipotesi in cui il documento allegato rispetti la forma prevista dal d.lgs. n. 82 del 2005, dovendo in particolare trattarsi soltanto della “copia informatica di un documento analogico” e non potrebbe trattarsi di un file di word (allegato ad una PEC inviata dal difensore del lavoratore).

3.- Il Collegio non condivide la soluzione formalistica adottata dalla Corte di merito che cozza contro la costante applicazione dell’art. 6 della legge 604/1966 praticata da questa Corte di cassazione.

4.- Ed invero, l’art. 6 della legge n. 604/66 ammette l’impugnazione del licenziamento “con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore”.

5.- Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte l’atto di impugnazione può provenire anche dal difensore del lavoratore (Cass. n. 9650 del 13/04/2021).

6.- In coerenza con la sua lata formulazione letterale, la costante applicazione della norma da parte di questa Corte è stata sempre intesa in senso sostanziale, nel senso della sufficienza di un qualsiasi atto che sia tale da esprimere la volontà del lavoratore di impugnare il licenziamento (fin da Cass. n. 12709 del 1997, e da ultimo ordinanza Cass. n. 17731 del 21/06/2023).

7.- In particolare, pronunciandosi di recente sulla materia questa Corte di cassazione con la sentenza 10883 del 2021 aveva osservato: “il principio di diritto da cui partire è quello sempre affermato dalla giurisprudenza di legittimità – secondo il quale per l’impugnazione stragiudiziale del licenziamento non si richiedono formule particolari, essendo sufficiente, come testualmente specificato dall’art. 6 della legge n. 604 del 1966, qualsiasi atto scritto idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore di impugnare il licenziamento (per tutte Cass. n. 2200 del 1998). Quello che riveste importanza è che l’atto esprima la volontà inequivoca di impugnare il licenziamento (cfr. Cass. n. 12709 del 1997)”.

8.- La ratio della forma scritta è quella di far conoscere con la dovuta certezza la volontà del mittente al destinatario.

Nel caso di specie la datrice di lavoro non ha mai contestato di aver ricevuta tale manifestazione di volontà attraverso il file di word allegato alla PEC del difensore e con quel contenuto idoneo a comunicare l’intenzione del lavoratore di impugnare il licenziamento.

Si discute infatti soltanto della idoneità formale del documento ai sensi del d.lgs. n. 82 del 2005. Secondo la Corte di merito non sarebbe idoneo un file di word allegato ad una PEC dell’avvocato del lavoratore.

9.- Questa Corte di cassazione con la sentenza già citata (n. 10883 del 2021) ha però affermato il contrario ovvero che possa impugnarsi un licenziamento anche tramite una PEC. Anche se in quel caso l’atto spedito era in formato pdf e non word, non si trattava comunque di una copia informatica di un documento analogico nel senso prescritto dal citato 22 d.lgs. n. 82 del 2005 (non c’era firma digitale, non c’era valida attestazione di conformità di un notaio o di altro pubblico ufficiale, non si parlava di atto formato in origine su supporto analogico nel rispetto delle regole AGID).

Neppure la ratio decidendi della pronuncia citata risiedeva nel particolare formato digitale del documento informatico o sulla ritenuta immodificabilità del file (peraltro insussistente essendo modificabile non solo il formato word ma anche il file in formato pdf).

10.- La questione della modificabilità del file di word è in ogni caso priva di rilevanza nel caso che si tratta, posto che nella causa, come già detto, non è stata mai contestata l’autenticità del documento pervenuto tramite PEC, né il suo contenuto  o  la sua  corrispondenza all’originale spedito dall’avvocato ma solo l’astratta e formale conformità del documento al modello legale descritto dal d.lgs. 82/2015.

11.- Questa Corte di cassazione ha pure riconosciuto (in materia di licenziamento) che sia idonea ad integrare l’atto scritto la semplice mail non Si afferma nella sentenza n. 29753/2017: “ questa Corte ha già chiarito, con principio relativo all’interpretazione dell’articolo 2 della legge n. 604/1996 ma estensibile alle clausole contrattuali di analogo tenore, che il requisito della comunicazione per iscritto del licenziamento deve ritenersi assolto, in assenza della previsione di modalità specifiche, con qualunque modalità che comporti la trasmissione al destinatario del documento scritto nella sua materialità (in termini: Cassazione civile, sez. lav., 05/11/2007, n. 23061)”.

12.- Inoltre, quanto alla mancanza della sottoscrizione, può essere richiamato il costante insegnamento giurisprudenziale (pure applicato in materia di licenziamento da Cass. 12106 del 16/05/2017) “secondo cui la produzione in giudizio di una scrittura, priva di firma da parte di chi avrebbe dovuto sottoscriverla, equivale a sottoscrizione, a condizione che tale produzione avvenga – appunto – ad opera della parte stessa (cfr., ex aliis, Cass. n. 13548/06; Cass. n. 3810/04; Cass. n. 2826/2000)”.

13.- Alla luce di tali risalenti principi, questo Collegio ritiene che non possa sensatamente contestarsi l’idoneità della PEC (Posta Elettronica Certificata) di un avvocato ad impugnare un licenziamento inviando un documento informatico in formato word.

14.- Secondo questo Collegio assume rilevanza nel caso di specie, come risulta dagli atti, che la PEC contenente il file di word – nel quale, come affermato dalla Corte, era pacificamente contenuta la contestazione del licenziamento per giusta causa – sia stata spedita dal legale del lavoratore e formulata in questi termini : “la presente per conto del Sig. G.P.M. Distinti saluti. Avv. stab. V.S.”; sicché si può pure affermare che l’atto di impugnazione del licenziamento allegato alla medesima PEC andasse riferito allo stesso legale che aveva sottoscritto la PEC con cui il file allegato formava un tutt’uno inscindibile.

Va pure considerato che nel caso di specie non è stato mai nemmeno contestato che l’avvocato fosse munito dei relativi poteri o di procura. E che mai era stata contestata l’autenticità e veridicità della scrittura dal punto di vista del suo contenuto e cioè che si trattasse proprio dell’atto spedito dall’avvocato con quel contenuto idoneo ad impugnare il licenziamento.

15.- Sulla scorta di tali motivi il ricorso va quindi accolto.

La sentenza impugnata deve essere cassata con rimessione al giudice di rinvio indicato in dispositivo il quale dovrà procedere alla decisione della causa e provvedere altresì sulle spese del giudizio di cassazione, conformandosi, ai sensi dell’art. 384, primo comma, cod. proc. civ., al seguente principio di diritto: “Ai sensi dell’art. 6 della legge n. 604/66 il requisito della impugnazione per iscritto del licenziamento deve ritenersi assolto, in assenza della previsione di modalità specifiche, con qualunque modalità che comporti la trasmissione al destinatario di un qualsiasi atto scritto avente contenuto idoneo a comunicare l’intenzione del lavoratore di impugnare il licenziamento e allo stesso con certezza riferibile, pertanto anche mediante invio di una PEC con allegato un file formato word, non essendo necessario l’invio di una copia informatica di un documento analogico ai sensi dell’art.22 del decreto legislativo n. 82 del 2005”.

16.- Non sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

P.Q.M.

La Corte accoglie ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Bologna in diversa composizione anche per le spese del giudizio di cassazione.

Impugnazione del licenziamento tramite PEC
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