A fronte del riconoscimento del rapporto come subordinato, spetta al lavoratore interessato il riconoscimento integrale del danno subito: quest’ultimo è pari alle mensilità retributive dovute dal momento della messa in mora fino a quello della riammissione in servizio.

Nota a Cass. (ord.) 25 giugno 2024, n. 17450

Pamela Coti

Nel caso di accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro, a fronte di un contratto stipulato dalle parti come formalmente di lavoro autonomo, non trova applicazione il regime indennitario dettato dall’art. 32, L. n. 183/2010, bensì quello risarcitorio a decorrere dalla costituzione in mora.

È quanto sancito dalla Corte di Cassazione, ord. 25 giugno 2024, n. 17450/2024, in relazione al ricorso presentato da una giornalista Rai, nei cui confronti i Giudici di merito avevano ordinato la riammissione in servizio, condannando la società a pagarle l’indennità risarcitoria di cui all’art. 32, L. n. 183/2010.

Al riguardo, gli Ermellini hanno precisato che:

  • il regime indennitario onnicomprensivo (da 2,5 a 12 mensilità dell’ultima retribuzione utile ai fini del calcolo del TFR) viene circoscritto dal legislatore unicamente ai rapporti di lavoro con contratto a tempo determinato che, sin dall’inizio, erano caratterizzati dalla subordinazione;
  • il regime indennitario, di per sé speciale, previsto dall’art. 28, co. 2, del D.Lgs. n. 81/2015 e, prima, dall’art. 32, co. 5, della L. n. 183/2010, non può estendere, per analogia, la propria efficacia ad altre tipologie contrattuali oltre a quelle citate nei commi 3 e 4 del richiamato art. 32;
  • tale interpretazione è conforme all’indirizzo espresso dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 303/2011) la quale ammette la possibilità di discipline diverse per i contratti a termine nulli, per i quali trova applicazione l’indennità “a forfait”, e per quelli ove sussiste una utilizzazione fraudolenta delle collaborazioni e per queste ultime il risarcimento non può che essere quello delle retribuzioni finalizzate a coprire il periodo non lavorato fino al ripristino del rapporto.

I Supremi Giudici, accogliendo il ricorso della giornalista, hanno pertanto ribadito l’orientamento recentemente consolidatosi, secondo cui il regime indennitario introdotto dalla norma citata non si applica all’ipotesi di accertamento di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a fronte di un contratto di lavoro autonomo a termine dichiarato illegittimo.

Sentenza

CORTE DI CASSAZIONE, ordinanza 25 giugno 2024, n. 17450

Svolgimento del processo

1.- A.A. aveva lavorato presso RAI – Radiotelevisione Italiana Spa in virtù di plurimi contratti di lavoro autonomo dal 06/09/2002 al 31/05/2014, svolgendo mansioni giornalistiche.

Deduceva la natura subordinata del rapporto di lavoro.

Adiva pertanto il Tribunale di Roma per ottenere l’accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, il suo diritto alla qualifica di redattore ordinario o, in subordine, di programmista regista livello 1 di cui al CCL 08/06/2000, la condanna della società al ripristino del rapporto di lavoro e al pagamento delle conseguenti differenze retributive.

2. – Instauratosi il contraddittorio, svolta l’istruttoria, il Tribunale rigettava le domande.

3. – Espletata una consulenza tecnica d’ufficio di tipo contabile, con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello accoglieva in parte il gravame interposto dalla A.A., dichiarava sussistente fra le parti un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato di natura giornalistica dal 06/09/2002, condannava RAI Spa a riammettere in servizio l’appellante con qualifica e trattamento economico – normativo di redattore ordinario con più di 30 mesi di anzianità, nonché al pagamento dell’indennità risarcitoria ex art. 32 L. n. 183/2010, che liquidava in misura pari a sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:

a) sebbene il regolamento negoziale possa offrire elementi di giudizio ai fini dell’accertamento del vincolo di subordinazione, in quanto non contenga previsione di clausole incompatibili con la qualificazione della prestazione come autonoma, non può tuttavia prescindersi dalle concrete modalità di svolgimento del rapporto;

b) inoltre, in relazione a prestazioni di natura intellettuale, il carattere della subordinazione resta attenuato per la particolare autonomia ed il carattere creativo che qualificano la prestazione, con la conseguenza per cui, ai fini dell’individuazione della subordinazione, rileva soprattutto l’inserimento continuativo ed organico del prestazione nell’organizzazione imprenditoriale ( n. 22785/2013);

c) l’appellante, giornalista professionista dal 1994 e già collaboratrice RAI dal 1990, ha lavorato nella struttura della società sulla base di molteplici contratti di lavoro autonomo e relative proroghe da settembre 2002 al 2014 (il periodo precedente è stato oggetto di una conciliazione), finalizzati alla collaborazione di natura giornalistica per la realizzazione di nominate produzioni televisive;

d) si è trattato di un arco temporale molto ampio ed in certi periodi addirittura vi è stata la sovrapposizione di più produzioni della medesima RAI, sicché si è realizzata una messa a disposizione della RAI pressocché assorbente e continuativa;

e) dall’istruttoria svolta in primo grado è emerso anche l’inserimento continuativo ed organico delle prestazioni nell’organizzazione della RAI in particolare per il programma “La vita in diretta” per un periodo di tempo prolungato, di circa dodici anni (testi B.B., C.C., D.D., E.E.;

f) in particolare le deposizioni testimoniali hanno messo in evidenza che l’appellante entrò subito nella vita di redazione, lavorando tutti i giorni (poiché era un programma giornaliero), osservando un orario di lavoro e ponendosi a disposizione della redazione; ella partecipava altresì alla riunione per l’affidamento dei compiti; svolgeva attività di ricerca di notizie e di soggetti da intervistare; riceveva direttive dagli autori o dai redattori; aveva obbligo di avviso in caso di assenza;

g) è vero che quando le veniva proposto un pezzo o un servizio da realizzare ella poteva rifiutare di farlo, ma il teste E.E. ha precisato che “ciò poteva farlo anche qualsiasi dipendente”;

h) dunque dall’istruttoria è emerso che l’appellante aveva una presenza quotidiana e si rapportava alla redazione del programma “La vita in diretta” in modo strettamente funzionale alle necessità del programma, sia nella fase preparatoria, sia per la messa in onda, dunque era pienamente inserita nella redazione funzionale al programma;

i) inoltre è emersa non solo la continuità della prestazione lavorativa, ma pure l’assoggettamento al potere direttivo degli autori del programma quanto ai tempi e ai modi della prestazione, nonché l’uso di mezzi aziendali;

j) rileva altresì la parallela controversia fra RAI ed INPGI riguardante la pretesa contributiva dell’istituto relativa alla posizione della A.A., in cui questa Corte d’Appello ha accertato la subordinazione dal 2002 al dicembre 2003 (sentenza n. 1553 del 20/06/2018);

k) considerate le mansioni di inviata, non rileva la mancata assidua partecipazione alle riunioni di redazione;

l) ai sensi dell’art. 11 CNLG l’appellante ha diritto al trattamento normativo ed economico del redattore;

m) tutti i programmi avevano indubbio carattere informativo e dunque è irrilevante che non si inserissero in una testata giornalistica;

n) quanto alla natura giornalistica della prestazione lavorativa resa dall’appellante, dall’istruttoria è emerso che ella non si limitava alla ricerca e alla raccolta delle notizie, ma provvedeva ed elaborarle in forma finale necessaria per la messa in onda, realizzando così veri e propri servizi giornalistici con la piena esplicazione del proprio apporto soggettivo e creativo;

o) è ravvisabile altresì l’elemento della mediazione diretta fra il soggetto che selezione ed elabora la notizia e la sua diffusione, dal momento che i servizi erano presentati dall’appellante e contenevano, oltre alle interviste a politici o cittadini, con il corredo di immagini più pertinenti, anche la voce fuori campo della stessa a commento del servizio medesimo;

p) dalla consulenza tecnica d’ufficio di tipo contabile sono emerse somme percepite di gran lunga superiori a quelle cui l’appellante avrebbe avuto diritto come redattore ordinario con più di 30 mesi di anzianità, sicché nulla le spetta a titolo di differenze retributive, assorbita in tal modo l’eccezione di prescrizione;

q) quanto alle conseguenze della scadenza dell’ultimo contratto di lavoro autonomo, deve trovare applicazione l’ 32 L. n. 183/2010, secondo l’insegnamento di Cass. n. 20500/2018, ribadito in tema di contratto di lavoro a progetto da Cass. n. 24100/2019e da Cass. n. 28510/2019.

4. – Avverso tale sentenza A.A. ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un motivo.

5. – RAI – Radiotelevisione Italiana Spa ha resistito con controricorso ed a sua volta ha proposto ricorso incidentale, affidato a due motivi.

6. – A.A. ha resistito al ricorso incidentale con controricorso.

7. – Entrambe le parti hanno depositato memoria, ma quella della lavoratrice è tardiva, in quanto depositata in data 30/04/2024 per l’adunanza camerale del 07/05/2024 quindi oltre il termine di dieci giorni prima, imposto dall’art. 380 bis.1c.p.c..

8. – Il Collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.

Motivi della decisione

1.- L’ordine logico – giuridico delle questioni poste dalle parti impone di esaminare dapprima il ricorso incidentale, che, qualora fondato, determinerebbe la cassazione senza rinvio della sentenza impugnata.

RICORSO INCIDENTALE

2. – Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. RAI Spa lamenta “violazione e/o falsa applicazione” degli artt. 2094, 2222 ss. c.c., 409, n. 3, c.p.c., 1 CCNL, 115 e 116 c.p.c., 2697 c.c., nonché della legge n. 69/1963, per avere la Corte territoriale sia omesso di applicare il principio di diritto, secondo nella subordinazione c.d. attenuata ciò che rileva come indice principale è la messa a disposizione delle energie lavorative, sia omesso di considerare la mancata prova della natura giornalistica delle prestazioni lavorative eseguite.

Il motivo è in parte inammissibile, in parte infondato.

E’ inammissibile laddove non si confronta con la specifica motivazione della Corte d’Appello, secondo cui risulta provato lo stabile inserimento della A.A. nell’organizzazione della RAI Spa e la continuità delle prestazioni lavorative da lei rese. In particolare, a pag. 11, al par. 4.6., della sentenza impugnata i giudici d’appello hanno evidenziato che era emersa la facoltà di rifiuto da parte della lavoratrice, ma ciò non era dirimente, perché altrettanto poteva fare qualsiasi dipendente, richiamando testualmente sul punto la deposizione del teste E.E.. Dunque la Corte ha motivatamente escluso che questa circostanza potesse escludere la messa a disposizione delle energie lavorative tipica della subordinazione.

Il motivo è per il resto infondato, perché la Corte territoriale ha espressamente evidenziato (v. sentenza impugnata, p. 6), che su un arco temporale di 4.380 giorni di lavoro, la somma degli intervalli fra un contratto e l’altro era pari soltanto a 411 giorni. Dunque, con un accertamento in concreto adeguatamente motivato (e quindi insindacabile in questa sede), ha escluso che quegli intervalli, pur sussistenti, fossero tali da inficiare la sostanziale messa a disposizione delle energie lavorative per l’intero periodo durato circa dodici anni. Ne consegue che la lamentata violazione del principio di diritto affermato da questa Corte (secondo cui ai fini della subordinazione c.d. attenuata rileva la messa a disposizione delle energie lavorative pure negli intervalli non lavorati) non sussiste.

Per il resto il motivo sollecita a questa Corte una diversa valutazione delle deposizioni testimoniali, interdetta in sede di legittimità.

3. – Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente incidentale lamenta “violazione e falsa applicazione” degli artt. 2114, 2909 c.c., 442 e 324 c.p.c. per avere la Corte territoriale fondato il proprio convincimento sulla sua sentenza n. 1553/2018 relativa alla pretesa contributiva dell’INPGI, non ancora passata in giudicato ed anzi impugnata da INPGI dinanzi a questa Corte di legittimità.

Il motivo è inammissibile, perché non tocca tutti gli altri elementi utilizzati dalla Corte territoriale per il proprio convincimento, rispetto ai quali la precedente sentenza del 2018 ha avuto un peso molto limitato, essendo stata in quella decisione riconosciuta fondata la pretesa dell’INPGI limitatamente al periodo 2002 – 2003 (v. sentenza impugnata, p. 13), mentre nel giudizio in esame il periodo del rapporto è molto più ampio, investendo il periodo dal 2002 al 2014.

RICORSO PRINCIPALE

4. – Con l’unico motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la A.A. lamenta “violazione e falsa applicazione” dell’art. 32 L. n. 183/2010 (come sostituito dall’art. 28, co. 2, D.Lgs. n. 81/2015), anche in relazione agli artt. 1206, 1217 e 1223 c.c. per avere la Corte territoriale escluso il diritto all’integrale risarcimento del danno (pari alle retribuzioni maturate dalla costituzione in mora successiva alla scadenza dell’ultimo contratto di lavoro autonomo fino all’effettiva riammissione in servizio) e riconosciuto soltanto il diritto all’indennità risarcitoria forfettaria ed omnicomprensiva di cui all’art. 32 L. cit. Invoca al riguardo la sentenza di questa Corte n. 6577/2022.

Il motivo è fondato.

Questa Corte ha già affermato che il regime indennitario introdotto dall’art. 32, co. 5, L. n. 183/2010 non si applica all’ipotesi di accertamento di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato al cospetto di un contratto di lavoro autonomo a termine dichiarato illegittimo (Cass. n. 22146/2023; Cass. n. 4327/2023; Cass. n. 4134/2023; Cass. n. 6577/2022; Cass. n. 11424/2021; Cass. ord. n. 29006/2020), riguardando quel regime soltanto i contratti di lavoro subordinato a termine e le altre tipologie contrattuali previste dai commi 3 e 4 dell’art. 32 cit., tra cui non rientrano i contratti di lavoro autonomo.

A questo orientamento va data continuità, non ravvisandosi motivi per discostarsene. Esso, peraltro, si pone nell’alveo dell’interpretazione della predetta norma da parte della Corte Costituzionale (sentenza n. 303/2011), la quale – ritenendo legittima la forfetizzazione del danno nei casi di conversione del contratto (di lavoro subordinato) a tempo determinato – ha escluso la sussistenza di profili di discriminazione tra fattispecie, evidenziando che “il contratto di lavoro subordinato con una clausola viziata (quella, appunto, appositiva del termine) non può essere assimilato ad altre figure illecite come quella, obiettivamente più grave, dell’utilizzazione fraudolenta della collaborazione continuativa e coordinata”. Il giudice delle leggi (punto 3.3.3. della sentenza) ha, dunque, tenuto distinte, da una parte, le ipotesi di conversione di un contratto di lavoro subordinato a termine in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato e, dall’altra, la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato, a tempo indeterminato, a seguito di illegittima stipulazione di contratto di lavoro autonomo, escludendo l’illegittimità costituzionale dell’art. 32, co. 5, L. n. 183/2010 proprio in considerazione della insuscettibilità della omologazione di fattispecie diverse nella previsione legislativa, da circoscriversi all’applicazione ai rapporti di lavoro stipulati, ab origine, come subordinati.

In senso diverso non rileva l’opposta conclusione raggiunta da questa Corte in tema di lavoro a progetto qualora operi la “sanzione” della conversione di cui all’art. 69, co. 1, D.Lgs. n. 276/2003 (Cass. n. 24100/2019). In quel caso si è infatti al cospetto di una fattispecie di “conversione” ex lege dovuta alla mancanza di un elemento formale nel contratto (id est lo specifico progetto), che il legislatore sanziona – con espressa previsione dell’art. 69, co. 1, D.Lgs. n. 276/2003 – considerando il rapporto come di natura subordinata sin dall’origine (v. Cass. n. 22146/2023 cit.), senza possibilità di prova contraria.

Fattispecie del tutto diversa è l’accertamento della natura subordinata del rapporto nel suo concreto svolgimento (art. 69, co. 2, D.Lgs. cit.). In tale ultimo caso al giudice è demandata l’ordinaria qualificazione giuridica del rapporto di lavoro (necessaria per l’applicazione della relativa disciplina), condotta sulla base di indici ritenuti rivelatori di un determinato atteggiarsi dei diritti, degli obblighi, dei poteri e delle correlate soggezioni delle parti, anche in senso difforme dal contratto da loro formalmente stipulato in termini di lavoro autonomo.

Dunque sul punto la sentenza impugnata va cassata. Il giudice del rinvio si atterrà al seguente principio di diritto: “nel caso di accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro al cospetto di un contratto stipulato dalle parti come formalmente di lavoro autonomo, non trova applicazione il regime indennitario dettato dall’art. 32 L. n. 183/2010, bensì quello risarcitorio a decorrere dalla costituzione in mora”.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso incidentale; accoglie quello principale, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, affinché determini il risarcimento del danno in conformità al principio di diritto sopra esposto.

Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, D.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso incidentale a norma dell’art. 13, co. 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto.

 

Riqualificazione di un rapporto di lavoro autonomo a termine
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