La manifestazione di solidarietà del RLS ad altri lavoratori con generale valenza politico-sindacale rientra nell’ambito del diritto di critica e del diritto di manifestazione del pensiero costituzionalmente tutelati purché sia rispettosa del cd. principio di continenza formale.
Nota a Cass. (ord.) 5 settembre 2024, n. 23850
Massimo Citerni di Siena
L’esercizio del diritto di critica, anche aspra, da parte del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS) nei confronti del datore di lavoro, è garantito dagli artt. 21 e 39 Cost. Esso, tuttavia, incontra i limiti della correttezza formale, imposti dall’esigenza, anch’essa costituzionalmente assicurata (art. 2 Cost.), di tutela della persona umana e consistenti nell’inammissibilità di riferimenti denigratori non provati ovvero di espressioni che attribuiscano all’impresa datoriale o a suoi dirigenti qualità apertamente disonorevoli. In altri termini, all’esercizio del dissenso “è connaturata l’espressione delle proprie opinioni e della propria personale interpretazione dei fatti, anche con espressioni soggettivamente sgradite alla controparte, dovendosi bilanciare l’interesse che si assume leso con quello a che non siano introdotte limitazioni alla libera espressione del pensiero costituzionalmente garantito” (cfr. Cass. n. 996/2017, in q. sito con nota di M.N. BETTINI). Né va dimenticato che la critica in generale, e quella sindacale in particolare, sono “ontologicamente e dialetticamente contrapposti agli interessi e alle opinioni imprenditoriali”. Soltanto se i suddetti limiti siano superati, il comportamento del lavoratore può essere legittimamente sanzionato in via disciplinare (in termini, Cass. n. 7471/2012; conf. Cass. n. 19176/2018).
Questo il principio ribadito dalla Corte di Cassazione (ord.) 5 settembre 2024, n. 23850 in una fattispecie in cui l’azienda sosteneva che, anche a voler ritenere il ruolo di RLS meritevole di tutela (al pari di quello sindacale) per la natura collettiva degli interessi di rilevanza costituzionale perseguiti, la dichiarazione contestata esorbitava dalle funzioni e dalle attribuzioni di RLS, assumendo semmai generale valenza politico-sindacale.
Nello specifico, la Corte chiarisce: a) che “dal momento che il ruolo di RLS va ricompreso nell’area dei soggetti tutelati come i lavoratori sindacalisti quali portatori di interessi collettivi, “la manifestazione di solidarietà ad altri lavoratori con generale valenza politico-sindacale rientra nell’ambito del diritto di critica e del diritto di manifestazione del pensiero costituzionalmente tutelati”; b) e che “il lavoratore che sia anche rappresentante sindacale se, quale lavoratore subordinato, è soggetto allo stesso vincolo di subordinazione degli altri dipendenti”, per altro verso, “si pone, in relazione all’attività di sindacalista, su un piano paritetico con il datore di lavoro, con esclusione di qualsiasi vincolo di subordinazione, giacché detta attività, espressione di una libertà costituzionalmente garantita dall’art. 39 Cost., non può in quanto diretta alla tutela degli interessi collettivi dei lavoratori nei confronti di quelli contrapposti del datore di lavoro essere subordinata alla volontà di quest’ultimo; consegue che la contestazione dell’autorità e della supremazia del datore di lavoro siccome caratteristica della dialettica sindacale, ove posta in essere dal lavoratore sindacalista e sempreché inerisca all’attività di patronato sindacale, non può essere sanzionata disciplinarmente” (v. Cass. n. 11436/1995)
Sentenza
CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 05 settembre 2024, n. 23850
Rilevato che
1.la Corte d’Appello di Roma, in accoglimento dell’appello di D.D.A., in riforma della sentenza del Tribunale di Roma che aveva rigettato la domanda proposta con ricorso depositato in data 1.4.2015, dichiarava l’illegittimità della sanzione disciplinare della sospensione per dieci giorni dal lavoro e dalla retribuzione, comminatagli in data 7.10.2010 da T. (di cui era dipendente con mansioni di macchinista), e condannava la società al pagamento in favore del lavoratore della somma pari alla retribuzione non percepita per i giorni di sospensione, oltre accessori;
2. la Corte, in particolare, rilevato che il dipendente rivestiva all’epoca la carica di coordinatore nazionale Responsabile dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS) ex art. 50 d.lgs. n. 81/2008, a differenza del Tribunale riteneva che le sue affermazioni, apparse sul portale di informazione on-line (…) in data 24.8.2010 e in una dichiarazione riportata sul quotidiano I.T. il 5.7.2010 (riguardante dati sugli incidenti ai viaggiatori per guasti alle porte e sui decessi per infortuni sul lavoro, poi rettificata circa il periodo temporale di riferimento, stante il fraintendimento del giornalista), fossero state espresse nei limiti della continenza e riconducibili al diritto di critica, in particolare quello riconosciuto al lavoratore sindacalista con caratteristiche tipiche della dialettica sindacale, che possono risultare più aspre e rivendicative rispetto al diritto di critica spettante a ciascun lavoratore, essendo il sindacalista titolare anche di un di un diritto funzionale al perseguimento e alla tutela di interessi collettivi di rilevanza costituzionale (artt. 2 e 39 Cost.);
3. per la cassazione della sentenza d’appello la società propone ricorso con sei motivi, illustrati da memoria; resiste il lavoratore con controricorso; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
Considerato che
1.la società ricorrente per cassazione deduce, con il primo motivo, violazione degli artt. 111, comma 6, Cost., 132 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. (art. 360, n. 3, c.p.c.), per mera apparenza o illogicità della motivazione in ordine al contenuto del primo addebito, nonché nullità della sentenza (art. 360, n. 4, c.p.c.) per mancanza della motivazione sul punto, ex art. 132, n. 4, c.p.c.; si contesta che la Corte di merito, nel valutare il primo addebito (concernente una dichiarazione di solidarietà, apparsa sul portale di informazione on-line (…) in data 24.8.2010, a operai dipendenti F. – stabilimento di Melfi, non effettivamente reintegrati a seguito di sentenza, pur percependo lo stipendio, con equiparazione di tale situazione, qualificata come “scorciatoia antidemocratica ed antisindacale”, alla situazione dal medesimo vissuta in occasione di suo licenziamento nel 2006, però seguito da reintegrazione in forza di conciliazione prima di provvedimento giudiziale), non abbia rilevato la falsità dell’equiparazione e la conseguente lesività dell’immagine dell’azienda;
2. il motivo è infondato;
3. la motivazione della sentenza gravata sul punto non è né mancante né apparente; invero, la Corte di merito, premessa un’ampia ricostruzione sui limiti del diritto critica nel rapporto di lavoro, e sulla specificità del diritto di critica del lavoratore sindacalista (§ 3.4), ha affermato che il contenuto critico della dichiarazione in questione era rivolto sostanzialmente nei confronti dell’amministratore delegato della F. piuttosto che nei confronti di T., e che essa si era mantenuta nei limiti delle modalità più aspre che il diritto di critica assume nell’ambito della dialettica tra datore di lavoro e lavoratore sindacalista (§ 5.4);
4. si tratta di valutazione conforme alla pertinente giurisprudenza di questa Corte, del resto espressamente richiamata, secondo cui il lavoratore che sia anche rappresentante sindacale se, quale lavoratore subordinato, è soggetto allo stesso vincolo di subordinazione degli altri dipendenti, si pone, in relazione all’attività di sindacalista, su un piano paritetico con il datore di lavoro, con esclusione di qualsiasi vincolo di subordinazione, giacché detta attività, espressione di una libertà costituzionalmente garantita dall’art. 39 Cost., in quanto diretta alla tutela degli interessi collettivi dei lavoratori nei confronti di quelli contrapposti del datore di lavoro, non può essere subordinata alla volontà di quest’ultimo;
l’esercizio, da parte del rappresentante sindacale, del diritto di critica, anche aspra, nei confronti del datore di lavoro, garantito dagli artt. 21 e 39 Cost., incontra i limiti della correttezza formale, imposti dall’esigenza, anch’essa costituzionalmente assicurata (art. 2 Cost.), di tutela della persona umana; solo ove tali limiti siano superati con l’attribuzione all’impresa datoriale o a suoi dirigenti di qualità apertamente disonorevoli e di riferimenti denigratori non provati, il comportamento del lavoratore può essere legittimamente sanzionato in via disciplinare (in termini, Cass. n. 7471/2012; conf. Cass. n. 19176/2018; ma v. già Cass. n. 11436/1995, che chiarisce che il lavoratore che sia anche rappresentante sindacale se, quale lavoratore subordinato, è soggetto allo stesso vincolo di subordinazione degli altri dipendenti, si pone, in relazione all’attività di sindacalista, su un piano paritetico con il datore di lavoro, con esclusione di qualsiasi vincolo di subordinazione, giacché detta attività, espressione di una libertà costituzionalmente garantita dall’art. 39 Cost., non può in quanto diretta alla tutela degli interessi collettivi dei lavoratori nei confronti di quelli contrapposti del datore di lavoro essere subordinata alla volontà di quest’ultimo; consegue che la contestazione dell’autorità e della supremazia del datore di lavoro siccome caratteristica della dialettica sindacale, ove posta in essere dal lavoratore sindacalista e sempreché inerisca all’attività di patronato sindacale, non può essere sanzionata disciplinarmente);
5. ora, entro tale perimetro in diritto, la Corte di Roma ha escluso in fatto, con motivazione congrua e logica, l’attribuzione di comportamenti apertamente disonorevoli o riferimenti denigratori ai dirigenti della società ricorrente, riconducendo al legittimo esercizio del diritto di critica sindacale le dichiarazioni oggetto di addebito disciplinare;
6. l’apprezzamento in ordine al superamento dei limiti di continenza e pertinenza stabiliti per un esercizio lecito della critica rivolta dal lavoratore nei confronti del datore, così come per l’esercizio del diritto di critica sindacale, costituisce valutazione rimessa al giudice di merito, il quale, nella ricostruzione della vicenda storica, deve enucleare i fatti rilevanti nell’integrazione della fattispecie legale e motivare circa il convincimento che i predetti limiti siano stati rispettati, delineando l’iter logico che lo ha indotto a maturare detto convincimento (Cass. n. 1379/2019);
7. a tali oneri ricostruttivi della vicenda e motivazionali la sentenza impugnata si è puntualmente conformata, resistendo quindi alle censure espresse nel motivo di ricorso in esame;
8. con il secondo motivo, la società denuncia violazione degli artt. 1324 e 1362 ss. c.c. (art. 360, n. 3, c.p.c.) in ordine al contenuto del primo addebito, nonché omesso esame (art. 360, n. 5, c.p.c.) di un fatto decisivo al fine di apprezzarne il contenuto, assumendo essere stati omessi o travisati gravemente il contenuto e la valenza di uno specifico documento (nel quadro delle trattative nella vertenza, conciliata, collegata al licenziamento del 2006), debitamente trascritto;
9. il motivo è inammissibile;
10. in primo luogo, perché, in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, c.p.c., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione (Cass. n. 3397/2024, n. 26874/2018, n. 19443/2011);
11. in secondo luogo, perché la censura di violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale, al pari di quella per vizio di motivazione, non può risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione, posto che, quando di una clausola contrattuale (ovvero di un atto unilaterale o preparatorio) sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito – alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito – censurare in sede di legittimità il fatto che sia stata privilegiata l’altra (v. Cass. n. 33425/2022, n. 27136/2017, n. 6125/2014, n. 16254/2012, n. 24539/2009, n. 10131/2006);
12. con il terzo motivo, la sentenza impugnata viene censurata per violazione e falsa applicazione (art. 360, n. 3, c.p.c.) degli artt. 21 e 39 Cost., dal 47 al 50 d. lgs. n. 81/2008, 2104, 1175, 1375 c.c., in ordine alla riconduzione delle dichiarazioni contestate al diritto di critica sindacale; parte ricorrente sostiene che, anche a voler ritenere il ruolo di RLS meritevole di tutela (al pari di quello sindacale) per la natura collettiva degli interessi di rilevanza costituzionale perseguiti, la dichiarazione contestata (manifestazione di solidarietà ai lavoratori F. per le vicende lavorative inerenti lo stabilimento di Melfi) esorbitava dal ruolo e dalle attribuzioni di RLS, assumendo semmai generale valenza politico-sindacale;
13. il motivo è infondato;
14. proprio ricomprendendo il ruolo di RLS nell’area dei soggetti tutelati come i lavoratori sindacalisti quali portatori di interessi collettivi, la manifestazione di solidarietà ad altri lavoratori con generale valenza politico-sindacale rientra nell’ambito del diritto di critica e del diritto di manifestazione del pensiero costituzionalmente tutelati (v. supra, §§ 4-5);
15. una volta ritenuto in fatto l’esercizio del diritto di critica sindacale nel caso concreto rispettoso del principio di continenza formale, a tale esercizio è connaturata l’espressione delle proprie opinioni e della propria personale interpretazione dei fatti, anche con espressioni soggettivamente sgradite alla controparte, dovendosi bilanciare l’interesse che si assume leso con quello a che non siano introdotte limitazioni alla libera espressione del pensiero costituzionalmente garantito (cfr. Cass. n. 996/2017); per la natura dell’esame e delle indagini da effettuare, le conclusioni cui perviene il giudice di merito non sono censurabili in Cassazione se sorrette da motivazione congrua, priva di salti logici, e rispettosa dei principi di continenza sostanziale e formale cui deve sottostare il diritto di critica in generale, e quello di critica sindacale in particolare, ontologicamente e dialetticamente contrapposto agli interessi e alle opinioni imprenditoriali;
16. con il quarto motivo di ricorso, la società deduce violazione degli artt. 111, co. 6, Cost., 132 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. (art. 360, n. 3, c.p.c.), per mera apparenza o illogicità della motivazione in ordine alla valenza della rettifica al fine di escludere la rilevanza disciplinare del secondo addebito, nonché nullità della sentenza (art. 360, n. 4, c.p.c.) per mancanza della motivazione sul punto, ex art. 132, n. 4, c.p.c.; si contesta che la Corte di merito, nel valutare il secondo addebito, abbia ritenuto credibile la rettifica pubblicata dal quotidiano I.T., nel senso che i decessi di viaggiatori per guasti alle porte denunciati si erano verificati non negli ultimi 6 mesi ma negli ultimi 6 anni, e che i decessi per infortuni sul lavoro si erano verificati non negli ultimi 4 mesi ma negli ultimi 4 anni, ricollegando l’iniziale erronea affermazione a fraintendimento del giornalista;
17. il motivo è infondato;
18. la motivazione della sentenza gravata sul punto non è né mancante né apparente; invero, la Corte di merito ha osservato (§§ 6.1, 6.2, 6.3, 6.4) che l’ascrivibilità dell’errore a fraintendimento del giornalista era desumibile sia dalla operata rettifica da parte del quotidiano senza obiezioni, sia dal fatto che, corretto l’ambito temporale di riferimento, i dati riportati risultavano sostanzialmente corrispondenti a quelli ricavabili dalle fonti utilizzate dal lavoratore, qualificate e basate su un serio lavoro di ricerca finalizzato al perseguimento di interessi collettivi e pubblici di primario rilievo, quali la sicurezza e l’incolumità di lavoratori e passeggeri;
19. con il quinto motivo, si denuncia violazione dell’art. 2697 c.c. (art. 360, n. 3, c.p.c.), in relazione alla ripartizione dell’onere della prova circa la veridicità delle dichiarazioni rilasciate a mezzo stampa;
20. il motivo non è fondato;
21. posto che la violazione dell’art. 2697 c.c. è deducibile per cassazione quale violazione di legge soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne sia onerata, secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni (v. Cass. n. 18092/2020, n. 13395/2018, n. 15107/2013), in questo caso oggetto di censura risulta in realtà la valutazione delle prove proposte dalle parti svolta dal giudice, che, come detto, ha ritenuto serie e qualificate le fonti utilizzate dal lavoratore RLS in materia di incidenti e infortuni, come riprese in sede giornalistica rettificata;
22. con il sesto motivo, viene dedotta nullità della sentenza (art. 360, n. 4, c.p.c.) per omessa motivazione circa la mancata ammissione della prova testimoniale richiesta da T. in ordine ai decessi sul lavoro, nonché omesso esame (art. 360, n. 5, c.p.c.) della relativa allegazione in fatto della società;
23. il motivo è inammissibile;
24. spettano al giudice di merito la selezione e valutazione delle prove a base della decisione, l’individuazione delle fonti del proprio motivato convincimento, l’assegnazione di prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, la facoltà di escludere, anche attraverso un giudizio implicito, la rilevanza di una prova, senza necessità di esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga non rilevante o di enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni;
infatti, il giudizio di Cassazione non è strutturato quale terzo grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi, al fine di un loro riesame (v. Cass. n. 15568/2020, e giurisprudenza ivi richiamata; Cass. n. 20553/2021, n. 20814/2018);
25. in ragione della soccombenza parte ricorrente deve essere condannata alla rifusione delle spese del presente giudizio in favore di parte controricorrente, liquidate come da dispositivo, con distrazione in favore dei difensori dichiaratisi antistatari;
26. al rigetto dell’impugnazione consegue il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto nella ricorrenza dei presupposti processuali;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 4.000 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge, da distrarsi.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.