La Cassazione ha precisato gli elementi che qualificano l’astensione come sciopero legittimo.
Nota a Cass. (ord.), 12 settembre 2024, n. 24473
Fabrizio Girolami
In assenza di una preventiva deliberazione di natura collettiva, l’astensione dal lavoro effettuata da singoli dipendenti non è giuridicamente riconducibile al “diritto di sciopero” (oggetto di tutela ex art. 40 Cost.).
Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con ordinanza n. 24473 del 12 settembre 2024, che conferma il proprio consolidato orientamento in materia.
Nel caso di specie, la società Autostrade per l’Italia S.p.A. aveva irrogato sanzioni disciplinari nei confronti di 5 dipendenti che si erano astenuti dall’attività lavorativa durante due giornate lavorative, non riconoscendo il carattere di sciopero legittimo alle astensioni effettuate.
La Corte d’Appello di Roma, riformando la sentenza di primo grado, aveva confermato la legittimità delle sanzioni disciplinari irrogate dal datore di lavoro, ritenendo che, in assenza di una deliberazione collettiva, la condotta astensiva operata dai lavoratori fosse da qualificarsi “come decisione di astensione dal lavoro assunta da singoli, priva delle caratteristiche della manifestazione collettiva di sciopero”.
Nel giudizio di legittimità instaurato dai lavoratori, la Cassazione (ricostruendo l’evoluzione della propria consolidata giurisprudenza in materia) ha confermato la sentenza impugnata, rilevando quanto segue:
- nel nostro ordinamento il diritto di sciopero è esente da limiti “che non siano quelli di tutela delle posizioni soggettive individuali, dell’incolumità personale e della libertà di iniziativa economica”;
- lo sciopero è un “diritto individuale del lavoratore ma suscettibile di collettivo esercizio”, in quanto diretto “alla tutela di un interesse collettivo”;
- pertanto, ancorché per l’attuazione dello sciopero non si richieda una formale “proclamazione” né una “preventiva comunicazione al datore di lavoro” (salva la eventuale particolare disciplina di un codice di autoregolamentazione), l’astensione, totale o parziale, dal lavoro deve essere collettivamente concordata, a prescindere da chi prenda l’iniziativa della sua attuazione, in presenza di una “situazione conflittuale” implicante la “tutela di un interesse collettivo”;
- ai fini della sussistenza dello sciopero, occorre un’astensione dal lavoro “decisa ed attuata collettivamente per la tutela di interessi collettivi” (anche di natura non salariale e di carattere politico generale), purché “incidenti sui rapporti di lavoro”,
- gli elementi che qualificano l’astensione dal lavoro come “sciopero legittimo” sono costituiti dalla natura “dell’interesse collettivo da tutelare” e, dunque, dalla decisione concordata e preventiva circa l’adozione del comportamento di astensione dal lavoro;
- l’elemento della “deliberazione collettivamente assunta” è “funzionale a dar conto proprio della diffusività dell’interesse” e della “natura collettiva dell’azione dimostrativa”;
- diversamente, ove la decisione dell’astensione e delle modalità di esecuzione dello sciopero fosse lasciata totalmente ai singoli interessati, senza una loro predeterminazione, il datore di lavoro “potrebbe essere esposto alla seria impossibilità di prevenire eventuali rischi per la salute di tutti i lavoratori ovvero rischi sulla produttività aziendale”.
In applicazione dei suesposti principi, la Cassazione ha condiviso l’iter logico-argomentativo osservato dal giudice di merito, il quale, nella vicenda di specie, alla luce delle modalità con le quali era stata decisa l’astensione (con mera comunicazione successiva, da parte dei lavoratori, ai rappresentanti sindacali) e dell’assenza di una deliberazione effettivamente collettiva, ha correttamente escluso la sussistenza di un’astensione qualificabile come sciopero.
Sentenza
CORTE DI CASSAZIONE ORDINANZA 12 settembre 2024, n. 24473
Fatti di causa
La Corte di appello di Roma, riformando la decisione del primo giudice aveva dichiarato la legittimità della sanzione disciplinare adottata da (…) Spa nei confronti di Gr.Fi., Fr.Iv., Be.La., Ch.Gr., Sp.Le., in ragione della astensione dall’attività lavorativa durante le giornate del 8 marzo 2015 e 5 aprile 2015. La corte di merito aveva ritenuto che in mancanza di una comunicazione sindacale che dichiarasse l’ora di inizio dello sciopero, svolto dai dipendenti indicati, con la chiusura delle “piste” cui erano assegnati e l’apertura della sola “pista” da cui i viaggiatori transitavano senza pagare il viaggio, ed in assenza, quindi di una deliberazione collettiva che attribuisse il carattere di “sciopero” al comportamento adottato dal lavoratori, questo fosse da qualificarsi come decisione di astensione dal lavoro assunta da singoli, priva delle caratteristiche della manifestazione collettiva di sciopero.
Avverso detta decisione proponevano ricorso i lavoratori, anche coltivato con successiva memoria, cui resisteva con controricorso la società.
Ragioni della decisione
In via preliminare deve evidenziarsi che la società ricorrente ha depositato verbale di conciliazione sottoscritto dalla stessa e da Fr.Iv. con il quale era stata definita la lite tra le stesse parti. La società ha chiesto dichiararsi la cessazione della materia del contendere. Preso atto della richiesta e della conciliazione della lite, deve dichiararsi cessata la materia del contendere tra le parti con compensazione delle spese di lite.
Con riguardo agli altri ricorrenti si evidenzia che:
1)- con primo motivo è dedotta la violazione degli artt. 3 co.2 e 40 Cost. (art. 360 n. 3 c.p.c.), per aver la corte di merito escluso che il diritto di sciopero possa essere esercitato legittimamente in assenza di una proclamazione da parte di una organizzazione sindacale;
2)- con secondo motivo è denunciato l’omesso esame di un fatto decisivo con riguardo alle disposizioni aziendali inerenti all’esercizio del diritto di sciopero;
3)-la terza censura riguarda la violazione dell’art. 40 Cost., dell’art. 2697 c.c., e art.421 c.p.c., per aver, la Corte d’Appello, ritenuto che in una situazione di incertezza probatoria, l’onere datoriale fosse stato assolto;
4)- con il quarto motivo si deduce la violazione dell’art. 7 L. n. 300/70; art. 2126 c.c. artt. 35 e 36 ccnl in relazione all’art. 1362 c.c. Errata interpretazione del codice disciplinare in ordine alla categorizzazione degli illeciti ed alla proporzionalità della sanzione;
5)-con ultimo motivo si censura la violazione degli artt. 91 e 100 c.p.c., per la condanna alle spese del doppio grado del giudizio.
I primi tre motivi di censura possono essere trattati congiuntamente perché attinenti, sotto vari profili, alla questione interpretativa del comportamento assunto dai lavoratori ricorrenti.
La Corte d’Appello, riaffermando i principi relativi all’esercizio del diritto di sciopero ed all’assenza di specifici limiti allo stesso, che non siano quelli di tutela delle posizioni soggettive individuali, dell’incolumità personale e della libertà di iniziativa economica, ha statuito che, nel caso concreto, l’astensione dal lavoro posta in essere dai ricorrenti non fosse riconducibile al diritto di sciopero. Ha infatti evidenziato che l’assenza di una deliberazione di natura collettiva di indizione dello sciopero cui far aderire liberamente i lavoratori portava ad escludere che l’astensione in questione fosse collocabile nel concetto di esercizio concreto del diritto in discussione.
Con riguardo alla natura collettiva del diritto di sciopero questa Corte ha da tempo chiarito che lo sciopero è un diritto individuale del lavoratore ma suscettibile di collettivo esercizio, in quanto diretto alla tutela di un interesse collettivo. Pertanto, ancorché per l’attuazione dello sciopero non si richieda una formale proclamazione né una preventiva comunicazione al datore di lavoro (salva la eventuale particolare disciplina del codice di autoregolamentazione), è necessario che l’astensione, totale o parziale, del lavoro sia collettivamente concordata, a prescindere da chi prenda l’iniziativa della sua attuazione, in presenza di una situazione conflittuale implicante la tutela di un interesse collettivo (Cass. n. 6831/1987). Quest’ultimo, infatti, costituisce elemento determinante dell’esercizio del diritto di sciopero, pur nella sottolineatura che l’art. 40 cost. attribuisce tale diritto personalmente ai lavoratori, e che lo stesso non incontra – stante la mancata attuazione della disciplina legislativa prevista da detta norma – limiti diversi da quelli propri della ratio storico-sociale che lo giustifica e dell’intangibilità di altri diritti o interessi costituzionalmente garantiti. Pertanto, può affermarsi che non si ha sciopero se non in presenza di un’astensione dal lavoro decisa ed attuata collettivamente per la tutela di interessi collettivi -anche di natura non salariale ed anche di carattere politico generale, purché incidenti sui rapporti di lavoro (Cass. n. 23552/2004).
Recentemente (Cass. n. 24653/2015) si è ribadito che sussiste l’interesse del datore di lavoro ad agire per l’accertamento negativo della legittimità dell’astensione dal lavoro, proclamata dai rappresentanti sindacali, ove ne sia incerta la qualificabilità come sciopero nella sua accezione di astensione collettiva per finalità di carattere collettivo.
Come si evince dai principi nel tempo affermati da questo Giudice di legittimità gli elementi che qualificano l’astensione dal lavoro come sciopero legittimo sono costituiti dalla natura dell’interesse collettivo da tutelare e dunque dalla decisione concordata e preventiva circa l’adozione del comportamento di astensione dal lavoro. Tale ultimo elemento (deliberazione collettivamente assunta) risulta infatti funzionale a dar conto proprio della diffusività dell’interesse (anche se riferito solo ad un gruppo di lavoratori addetti ad una singola funzione) e della natura collettiva dell’azione dimostrativa. Diversamente, ove la decisione dell’astensione e delle modalità di esecuzione dello sciopero siano lasciate totalmente ai singoli interessati, senza una loro predeterminazione, il datore di lavoro potrebbe essere esposto alla seria impossibilità di prevenire eventuali rischi per la salute di tutti i lavoratori ovvero rischi sulla produttività aziendale (Cass. n. 23552/2004).
La valutazione del giudice d’appello, considerando il concreto atteggiarsi delle modalità decisorie dell’astensione in questione, solo successivamente comunicata dai lavoratori ai rappresentanti sindacali e dunque priva della valenza effettivamente collettiva nel senso sopra indicato, risulta pertanto coerente con i principi enucleati e con la qualificazione di semplice astensione individuale dal lavoro.
Le censure devono essere rigettate.
Conseguentemente infondato risulta essere anche il quarto motivo con il quale si denuncia l’errata qualificazione data dalla corte di merito all’astensione dal lavoro, considerata quale abbandono anche temporaneo del posto di lavoro. Come sopra affermato è risultata corretta l’esclusione dello sciopero e dunque ogni differente qualificazione non potrebbe che evidenziare la illegittima mancata prestazione e assenza, sia pur temporanea, dal posto di lavoro. Le conseguenze sanzionatorie considerate e la loro entità sono peraltro espressione del giudizio valutativo del giudice d’appello coerente con le previsioni normative.
Il rigetto delle censure che precedono e la conferma della decisione della corte territoriale devono far ritenere assorbita ogni doglianza sulle spese di lite che, correttamente, hanno seguito, nei gradi di merito, il principio di soccombenza.
Per tali motivi il ricorso, con riguardo ai ricorrenti Gr.Fi., Be.La. e Ch.Gr., deve essere rigettato. Le spese, con riguardo ai suddetti ricorrenti, seguono il principio di soccombenza con la condanna solidale degli stessi.
P.Q.M.
La Corte dichiara cessata la materia del contendere nei confronti di Fr.Iv. con compensazione delle spese processuali; rigetta il ricorso dei restanti ricorrenti condannandoli, in solido, al pagamento delle spese processuali liquidate in E.2000,00 per compensi ed E. 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuale per il versamento, da parte dei ricorrenti soccombenti dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, ove dovuto.