È legittimo il licenziamento per giusta causa del lavoratore che durante l’assenza per malattia partecipi ad un’attività sportiva impegnativa, quale una partita di calcio. Tale comportamento costituisce una violazione dei doveri di lealtà e correttezza, considerato che è incompatibile con lo stato di malattia dichiarato e compromette la guarigione e/o ritarda il rientro in servizio.
Nota a Cass. (ord.) 5 settembre 2024, n. 23852
Francesca Fedele
La Corte d’appello di Napoli rigettava il reclamo proposto dal lavoratore avverso la sentenza del Tribunale che aveva dichiarato la legittimità del licenziamento per giusta causa intimatogli. In particolare, secondo la Corte d’appello la condotta contestata al lavoratore – ossia l’aver violato i doveri di correttezza, lealtà e diligenza, per aver partecipato a una partita di calcio del torneo di prima categoria della Regione durante l’assenza per malattia – doveva essere fatta rientrare nella fattispecie disciplinare di cui all’art. 45, n. 2, del R.D. n. 148/1931 (che prevede la destituzione per chi adopera artifici per procurarsi vantaggi indebiti, ancorché non ne siano derivati inconvenienti di servizio), piuttosto che nella fattispecie di cui all’art. 42, che punisce con sanzione conservativa la simulazione di malattia. Contro tale decisione il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione poiché a suo dire la Corte di merito ha erroneamente ritenuto la condotta accertata rientrante nell’ipotesi tipizzata dall’art. 45, n. 2, e non nell’ipotesi dell’art. 42 del R.D. sopra citato, nonché erroneamente ritenuto sussistente la proporzione tra la condotta contestata e la sanzione irrogata ai sensi dell’art. 2119 c.c. La Corte di cassazione rigetta il ricorso. La Suprema Corte ricorda, innanzitutto, che «in tema di licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo, la valutazione della gravità e proporzionalità della condotta rientra nell’attività sussuntiva e valutativa del giudice di merito, avuto riguardo agli elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie» e che la Corte di cassazione «non può sostituirsi al giudice del merito nell’attività di riempimento di concetti giuridici indeterminati, se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza, e tale sindacato sulla ragionevolezza non è quindi relativo alla motivazione del fatto storico, ma alla sussunzione dell’ipotesi specifica nella norma generale, quale sua concretizzazione». Ribadisce del resto la Suprema Corte che «l’attività di integrazione del precetto normativo contenuto in norma cd. elastica compiuta dal giudice di merito, non può essere censurata in sede di legittimità se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza del giudizio di sussunzione del fatto concreto, siccome accertato, nella norma generale, ed in virtù di una specifica denuncia di non coerenza del predetto giudizio rispetto agli standard, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale» (Cass. n. 13534/2019). La Suprema Corte ricorda poi che «nel nostro ordinamento la nozione di malattia rilevante a fini di sospensione della prestazione lavorativa ricomprende le situazioni nelle quali l’infermità abbia determinato, per intrinseca gravità o per incidenza sulle mansioni normalmente svolte dal dipendente, una concreta ed attuale, sebbene transitoria, incapacità al lavoro del medesimo, per cui, anche là dove la malattia comprometta la possibilità di svolgere quella determinata attività oggetto del rapporto di lavoro, può comunque accadere che le residue capacità psico-fisiche possano consentire al lavoratore altre e diverse attività» Tuttavia – precisa la Corte di cassazione – «il compimento di altre attività da parte del dipendente assente per malattia non è circostanza disciplinarmente irrilevante, ma può anche giustificare la sanzione del licenziamento, in relazione alla violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifichi obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, sia nell’ipotesi in cui la diversa attività accertata sia di per sé sufficiente a far presumere l’inesistenza dell’infermità addotta a giustificazione dell’assenza, dimostrando quindi una sua fraudolenta simulazione, sia quando l’attività stessa, valutata in relazione alla natura ed alle caratteristiche della infermità denunciata ed alle mansioni svolte nell’ambito del rapporto di lavoro, sia tale da pregiudicare o ritardare, anche potenzialmente, la guarigione e il rientro in servizio del lavoratore» (Cass. n. 21253/2012, Cass. n. 17625/2014, Cass. n. 10416/2017, Cass. n.26496/2018). Rileva quindi la Corte di cassazione che l’accertamento sulla sussistenza o meno dell’inadempimento idoneo a legittimare il licenziamento – sia esso la fraudolenta simulazione della malattia ovvero l’idoneità dell’attività contestata a pregiudicare il recupero delle normali energie psico-fisiche del lavoratore – è un giudizio di fatto, riservato al giudice del merito, insindacabile in sede di legittimità. In conclusione, la Corte d’appello – nell’ambito dei suddetti principi generali di valutazione della gravità e proporzionalità della condotta con riguardo agli elementi concreti della fattispecie – ha correttamente ritenuto «la condotta addebitata di tipo artificioso, in violazione degli obblighi di lealtà e correttezza, perché diretta, tramite la simulazione di uno stato fisico incompatibile con lo svolgimento dell’attività lavorativa, non solo all’assenza dal lavoro, ma anche al vantaggio indebito della partecipazione in orario di lavoro a partita di calcio già programmata (nell’ambito di campionato regionale), implicante uno sforzo fisico gravoso».
Sentenza
CORTE DI CASSAZIONE ordinanza 5 settembre 2024, n. 23852
Fatto
1.la Corte d’Appello di Napoli ha respinto il reclamo proposto da A.A. avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che, in accoglimento dell’opposizione di EAV, in riforma dell’ordinanza resa in esito alla fase sommaria, aveva dichiarato la legittimità del licenziamento (destituzione ai sensi del R.D. n. 148/1931) intimato dalla società al reclamante in data 27.03.2018, a seguito di contestazione degli addebiti del 21.11.2017;
2. in particolare, la Corte d’Appello ha ritenuto la condotta contestata al lavoratore, che aveva mansioni di operaio ausiliario, consistita, nei giorni 27 e 28.10.2017, durante l’assenza per malattia, nell’avere violato i doveri di correttezza, lealtà e diligenza, in particolare per aver partecipato a una partita di calcio del torneo di prima categoria della Regione Campania, rientrante nella fattispecie disciplinare di cui all’art. 45, n. 2, R.D. cit. (che prevede la destituzione per chi adopera artifici per procurarsi vantaggi indebiti, ancorché non ne siano derivati inconvenienti di servizio), piuttosto che nella fattispecie di cui all’art. 42, che punisce con sanzione conservativa la simulazione di malattia;
3. il reclamante ricorre per la cassazione della sentenza di appello con unico articolato motivo; resiste con controricorso il datore di lavoro; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
Diritto
1.parte ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione delle disposizioni del R.D. n. 148/1931, artt. 42, 45 e 46; sostiene che la Corte di merito ha erroneamente ritenuto la condotta accertata rientrante nell’ipotesi tipizzata dall’art. 45, n. 2, e non nell’ipotesi dell’art. 42, che invece tipizza il caso di specie, e che, inoltre, ha erroneamente ritenuto sussistente la proporzione tra condotta contestata e sanzione irrogata ai sensi dell’art. 2119 c.c.;
2. il ricorso non è accoglibile;
3. osserva preliminarmente il Collegio che, in tema di licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo, la valutazione della gravità e proporzionalità della condotta rientra nell’attività sussuntiva e valutativa del giudice di merito, avuto riguardo agli elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie; questa Corte non può sostituirsi al giudice del merito nell’attività di riempimento di concetti giuridici indeterminati, se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza, e tale sindacato sulla ragionevolezza non è quindi relativo alla motivazione del fatto storico, ma alla sussunzione dell’ipotesi specifica nella norma generale, quale sua concretizzazione; l’attività di integrazione del precetto normativo contenuto in norma c.d. elastica, compiuta dal giudice di merito non può essere censurata in sede di legittimità se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza del giudizio di sussunzione del fatto concreto, siccome accertato, nella norma generale, ed in virtù di una specifica denuncia di non coerenza del predetto giudizio rispetto agli standard, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale (cfr. Cass. n. 13534/2019, e giurisprudenza ivi richiamata; cfr., inoltre, Cass. n. 985/2017, n. 88/2023; v. anche, Cass. n. 14063/2019, n. 16784/2020, n. 17321/2020, n. 26043/2023, n. 2516/2024);
4. secondo la giurisprudenza di questa Corte, lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente, durante lo stato di malattia, può configurare la violazione degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà nonché dei doveri generali di correttezza e buona fede, oltre che nell’ipotesi in cui tale attività esterna sia, di per sé, sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia, anche nel caso in cui la medesima attività, valutata con giudizio ex ante in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione o il rientro in servizio (Cass. n. 10416/2017, n. 26496/2018);
5. nel nostro ordinamento la nozione di malattia rilevante a fini di sospensione della prestazione lavorativa ricomprende le situazioni nelle quali l’infermità abbia determinato, per intrinseca gravità o per incidenza sulle mansioni normalmente svolte dal dipendente, una concreta ed attuale, sebbene transitoria, incapacità al lavoro del medesimo (cfr. Cass. n. 14065/1999, n. 12152/2024), per cui, anche là dove la malattia comprometta la possibilità di svolgere quella determinata attività oggetto del rapporto di lavoro, può comunque accadere che le residue capacità psico-fisiche possano consentire al lavoratore altre e diverse attività; tuttavia, la stessa giurisprudenza citata ha precisato che il compimento di altre attività da parte del dipendente assente per malattia non è circostanza disciplinarmente irrilevante, ma può anche giustificare la sanzione del licenziamento, in relazione alla violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifichi obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, sia nell’ipotesi in cui la diversa attività accertata sia di per sé sufficiente a far presumere l’inesistenza dell’infermità addotta a giustificazione dell’assenza, dimostrando quindi una sua fraudolenta simulazione, sia quando l’attività stessa, valutata in relazione alla natura ed alle caratteristiche della infermità denunciata ed alle mansioni svolte nell’ambito del rapporto di lavoro, sia tale da pregiudicare o ritardare, anche potenzialmente, la guarigione e il rientro in servizio del lavoratore (cfr. Cass. n. 21253/2012, n. 17625/2014, n. 10416/2017, n.26496/2018);
6. l’accertamento in ordine alla sussistenza o meno dell’inadempienza idonea a legittimare il licenziamento, sia essa la fraudolenta simulazione della malattia ovvero l’idoneità della diversa attività contestata a pregiudicare il recupero delle normali energie psico-fisiche, si risolve in un giudizio di fatto, che dovrà tenere conto di tutte le circostanze del caso concreto, come tale riservato al giudice del merito, con i consueti limiti di sindacato in sede di legittimità (v. Cass. n. 24812/2016, n. 21667/2017; cfr. anche Cass. n. 107/2024);
7. nel caso in esame, la Corte di merito, nell’ambito dei suddetti principi generali di valutazione della gravità e proporzionalità della condotta con riguardo agli elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie, ha ritenuto la condotta addebitata di tipo artificioso, in violazione degli obblighi di lealtà e correttezza, perché diretta, tramite la simulazione di uno stato fisico incompatibile con lo svolgimento dell’attività lavorativa, non solo all’assenza dal lavoro, ma anche al vantaggio indebito della partecipazione in orario di lavoro a partita di calcio già programmata (nell’ambito di campionato regionale), implicante uno sforzo fisico gravoso;
disposto d’ufficio rispetto a tale accertamento di fatto (di un quid pluris rispetto alla mera simulazione di malattia per assentarsi dal lavoro), sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, viene, in realtà, richiesta una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi, al fine di un loro riesame (v. Cass. n. n. 8758/2017, n. 29404/2017, n. 18721/2018, S.U. n. 34476/2019, n. 5987/2021, n. 20553/2021); ciò, tra l’altro, in una situazione processuale in cui la Corte d’Appello ha confermato il giudizio di primo grado, così realizzandosi ipotesi di c.d. doppia conforme;
9. in ragione della soccombenza, parte ricorrente deve essere condannata alla rifusione in favore di parte controricorrente delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo; sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per l’impugnazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 4.000 per compensi, Euro 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.