L’attività lavorativa svolta dal dipendente pubblico (infermiera) oltre il debito orario comporta (ex art. 2126 c.c.) il diritto al compenso per lavoro straordinario nella misura prevista dalla contrattazione collettiva, purché sussista il consenso datoriale, a nulla rilevando il superamento dei limiti e delle regole riguardanti la spesa pubblica e la relativa responsabilità dei funzionari verso la pubblica amministrazione.
Nota a Cass. 3 settembre 2024, n. 23610
Maria Novella Bettini
“In tema di pubblico impiego privatizzato, il disposto dell’art. 2126 c.c. non si pone in contrasto con le previsioni della contrattazione collettiva che prevedano autorizzazioni o con le regole normative sui vincoli di spesa, ma è integrativo di esse nel senso che, quando una prestazione, come quella di lavoro straordinario, sia stata svolta in modo coerente con la volontà del datore di lavoro o comunque di chi abbia il potere di conformare la stessa, essa va remunerata a prescindere dalla validità della richiesta o dal rispetto delle regole sulla spesa pubblica, prevalendo la necessità di attribuire il corrispettivo al dipendente, in linea con il disposto dell’art. 36 Cost.”.
Lo afferma la Corte di Cassazione (3 settembre 2024, n. 23610; v. anche Cass. 5 aprile 2023, n. 9413; ma v. anche Cass. n. 24327/2024 sulla retribuzione dei medici turnisti, annotata in q. sito da M.N. BETTINI) in relazione alla remunerazione di attività svolta dal dipendente di un ospedale oltre il debito orario per l’assicurazione di prestazioni aggiuntive di dialisi “estiva” in favore anche di pazienti di altre regioni soggiornanti in Calabria. La Corte territoriale aveva ritenuto che, essendo mancata allegazione e prova dei fatti costitutivi, tra cui l’autorizzazione regionale, e le condizioni soggettive dei lavoratori (quali il servizio a tempo pieno da almeno sei mesi o l’assenza di esenzioni da mansioni) e mancando una disciplina contrattuale collettiva definitoria dei compensi, la fattispecie non risultava integrata e la domanda andava disattesa.
La Cassazione precisa che:
– l’ipotesi delle prestazioni “aggiuntive” è speciale, poiché è caratterizzata da elementi di fattispecie che “vanno al di là della mera prestazione del lavoro su incarico datoriale, essendo necessario un previo controllo sulle risorse e di coerenza rispetto agli obiettivi sanitari, cui si riferisce evidentemente la “previa” autorizzazione regionale – esterna al datore di lavoro – richiesta dalla legge” (art. 1, co. 2, D.L. n. 402/2001, conv. con mod. dalla L. n. 1/2002);
– al lavoratore spetta il diritto al compenso per il lavoro straordinario svolto anche laddove la previa richiesta di autorizzazione dell’amministrazione risulti illegittima e/o contraria a disposizioni del contratto collettivo (purché le prestazioni non siano svolte insciente o prohibente domino, ma con il consenso anche implicito alle prestazioni del lavoratore);
– ciò in quanto l’art. 2108 c.c., applicabile anche al pubblico impiego contrattualizzato, interpretato alla luce degli artt. 2 e 40 del D.Lgs. n. 165/2001 e dell’art. 97 Cost., prevede il diritto al compenso per lavoro straordinario se debitamente autorizzato. E dunque, “rispetto ai vincoli previsti dalla disciplina collettiva, la presenza dell’autorizzazione è il solo elemento che condiziona l’applicabilità dell’art. 2126 c.c.” (v. Cass. n. 23506/2022);
– invero, in tema di pubblico impiego privatizzato, il riconoscimento del diritto a prestazioni cd. “aggiuntive” (ex art. 1, D.L. n. 402/2001, richiamato “ratione temporis” dalla contrattazione collettiva del comparto sanità) è subordinato al ricorrere: a) dei presupposti dell’autorizzazione regionale; b) della presenza in capo ai lavoratori di requisiti ccdd. soggettivi; c) e della determinazione tariffaria (l’attribuzione dei trattamenti economici è riservata alla contrattazione collettiva, sicché non è sufficiente un atto deliberativo della P.A. ma occorre, a pena di nullità, la conformità di tale atto al contratto collettivo (v. Cass. n. 11645/2021; Cass. n. 17226/2020);
– tuttavia, pur in mancanza dei summenzionati presupposti, “l’attività lavorativa oltre il debito orario comporta il diritto al compenso per lavoro straordinario nella misura prevista dalla contrattazione collettiva, purché sussista il consenso datoriale che, comunque espresso, è il solo elemento che condiziona l’applicabilità dell’art. 2126 c.c., in relazione all’art. 2108 c.c., a nulla rilevando il superamento dei limiti e delle regole riguardanti la spesa pubblica, il quale determina, però, la responsabilità dei funzionari verso la pubblica amministrazione” (Cass. n. 18063/2023 e Cass. n. 25696/2023; analogamente, sul servizio di dialisi estiva della ASP di Reggio Calabria, v. Cass. n. 17641/2023 e Cass. n. 11946/2024);
– “ciò che conta è lo svolgimento del lavoro su incarico anche solo implicito del datore e non contro la volontà di questi, sicché non rileva il fatto che siano osservate forme, né che l’autorizzazione si manifesti per qualunque ragione come invalida o potenzialmente tale, oppure come inidonea (v. il caso dei compensi incentivanti) al suo scopo originario”; ed infatti, come afferma la Corte Costituzionale (n.8/2023), l’art. 2126 c.c., in ragione della protezione da esso assicurata alla «causa dell’attribuzione, costituita da una attività lavorativa che è stata, di fatto, concretamente prestata, pur se si dimostra giuridicamente non dovuta”, giustifica «sia la pretesa a conseguire il corrispettivo sia, qualora questo sia stato già erogato, l’irripetibilità del medesimo”;
– in particolare, sotto il profilo della spesa, una volta autorizzata e svolta la prestazione, non è sul lavoratore, in forza dell’asse sostanziale della disciplina di cui all’art. 36 Cost. e 2126 c.c., che possono gravare le conseguenze della divergenza rispetto agli impegni di spesa;
– è vero che le remunerazioni delle prestazioni nel pubblico impiego possono essere riconosciute solo se in linea con le previsioni ed allocazioni di spesa e che l’accordo incoerente con esse è invalido (Cass. 21 febbraio 2022, n. 5679) e rende pertanto ripetibili eventuali pagamenti eseguiti sulla sua base (Cass. n. 14672/2022 e Cass. n. 28938/2019 in tema di compenso per i turni di pronta reperibilità svolti in eccedenza ai limiti della contrattazione collettiva). Tuttavia, ciò non può essere di ostacolo al pagamento di una prestazione ulteriore a quella ordinaria che sia resa non insciente o prohibente domino o comunque in modo coerente con la volontà del datore;
– semmai, il tema si sposta sul piano della responsabilità verso la Pubblica Amministrazione, ossia dei preposti che non avrebbero dovuto consentire quelle lavorazioni, ma non può ammettersi un “pregiudizio del prestatore di lavoro subordinato che abbia svolto l’attività sua propria ed alla cui tutela sono di presidio i principi costituzionali già richiamati”.
LEGENDA: le c.d. prestazioni aggiuntive sono regolate, fino al 31.12.2003, dall’art. 1, co. 2, D.L. n. 402/2001, conv. con mod. in L. n. 1/2002 (con effetti poi prorogati, dapprima al 31.12.2006 dall’art. 6-quinquies D.L. n. 314/2004, conv. con mod. in L. n. 26/2005 e quindi al 31.5.2007 dall’art. 1, co. 2, D.L. n. 300/2006, conv. con mod. in L. n. 17/2007 e quindi ulteriormente, fino all’intervenire della contrattazione collettiva per effetto della L. n. 120/2007) e poi disciplinate, attraverso il richiamo alla medesima disciplina, dall’art. 13 del ccnl 10 aprile 2008 (normativo 2006-2009 ed economico 2006-2007) e dall’art. 12 ccnl 31 luglio 2009 (economico 2008-2009).
Sentenza
CORTE DI CASSAZIONE 3 settembre 2024, n. 23610
Rilevato che
1.St.Si., paramedica presso il reparto di nefrologia dell’Ospedale di L, ha agito con decreto ingiuntivo nei confronti dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria (di seguito, ASP), chiedendo il pagamento delle prestazioni aggiuntive rese nel servizio “dialisi estiva”, destinato anche a persone in ferie nella regione, pagate dall’ente negli anni antecedenti e successivi, ma non per il periodo 2013-2015;
la Corte d’Appello di Reggio Calabria, riformando la pronuncia del Tribunale di Locri, ha disatteso la domanda, revocando il decreto ingiuntivo e ritenendo che la vicenda non fosse regolata dal CCNL richiamato dal ricorrente, in quanto riguardante il personale dirigente, ma dal D.L. 402/2001, poi recepito dal CCNL 2008/2009, norme che prevedono la necessità di autorizzazione regionale, il ricorrere di certe condizioni soggettive e la contrattazione della tariffa, tutte circostanze la cui ricorrenza non era stata allegata, senza contare che, contestualmente, gli impegni lavorativi e di spesa erano stati ridotti per rispettare i vincoli di bilancio;
2. St.Si. ha proposto ricorso per cassazione con due motivi, mentre l’Azienda è rimasta intimata;
Considerato che
1.deve preliminarmente dirsi che la notifica del ricorso per cassazione è da ritenere regolare;
la sentenza di appello dà atto che la ASP era difesa in quella sede dall’avv. Ro.Lo.;
il ricorso per cassazione risulta notificato il 6.5.2022 presso la casella Pec del predetto legale e ricorrono dunque i presupposti di cui all’art. 330 c.p.c., sub specie di notifica presso il procuratore costituito; pertanto, tenuto conto che la sentenza è stata pubblicata il 11.11.2021 e non risulta la sua notificazione, la proposizione del ricorso per cassazione è tempestiva;
2. il primo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonché degli artt. 1375 e 2697 c.c. e degli artt. 36 e 111 della Costituzione, anche in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c. e con esso si fa leva sul fatto che le prestazioni fossero state in concreto eseguite, su incarico della Azienda;
dalla sentenza di appello si evince che la domanda ha riguardato la remunerazione di attività svolta dal ricorrente oltre il debito orario per l’assicurazione di prestazioni di dialisi “estiva” in favore anche di pazienti di altre regioni soggiornanti in C;
la Corte d’Appello, rettificando il richiamo svolto dal ricorrente alla contrattazione dirigenziale, ha riportato la pretesa a quella propria delle c.d. prestazioni aggiuntive, quali regolate fino al 31.12.2003, dall’art. 1, co. 2, D.L. 402/2001 conv. con mod. in L. 1/2002 (con effetti poi prorogati dapprima al 31.12.2006 dall’art. 6-quinquies D.L. 314/2004 conv. con mod. in L. 26/2005 e quindi al 31.5.2007 dall’art. 1, co. 2, D.L. 300/2006, conv. con mod. in L. 17/2007 e quindi ulteriormente, fino all’intervenire della contrattazione collettiva per effetto dell’art. L. 120/2007) e poi regolate, attraverso il richiamo alla medesima disciplina, dall’art. 13 del CCNL 10.4.2008 (normativo 2006-2009 ed economico 2006-2007) e dall’art. 12 CCNL 31 luglio 2009 (economico 2008-2009);
la Corte di merito ha in proposito ritenuto che, essendo mancata allegazione e prova dei fatti costitutivi, tra cui l’autorizzazione regionale e le condizioni soggettive dei lavoratori (prestazione servizio a tempo pieno da almeno sei mesi; assenza di esenzioni da mansioni; etc.) e mancando una disciplina contrattuale definitoria dei compensi, la fattispecie non risultasse integrata e la domanda andasse quindi disattesa;
3. il ragionamento della Corte territoriale è in sé corretto, sebbene non sufficiente, per quanto si andrà a dire, a sorreggere la reiezione della domanda.
4. l’ipotesi delle prestazioni “aggiuntive” è in effetti speciale, in quanto caratterizzata da elementi di fattispecie che vanno al di là della mera prestazione del lavoro su incarico datoriale, essendo necessario un previo controllo sulle risorse e di coerenza rispetto agli obiettivi sanitari, cui si riferisce evidentemente la “previa” autorizzazione regionale – esterna al datore di lavoro – richiesta dall’art. 1, co. 2, D.L. 402 cit., implicitamente confermata dalla normativa di proroga di cui si è detto ed altresì poi confermata dal rinvio alla disciplina pregressa operata dalla contrattazione collettiva, parimenti citata, che regola ratione temporis quanto oggetto di causa;
giustamente la Corte territoriale aggiunge a tali requisiti quello della fissazione tariffaria specifica di tali prestazioni, da attuare svolgere previa consultazione sindacale;
tali elementi sono risultati carenti ed anzi si può dire che pacificamente essi non ricorressero, sicché, una volta operata la qualificazione in tal senso della domanda, va da sé che la stessa dovesse essere disattesa;
in tal senso questa S.C. già si è espressa, seppure rispetto alle prestazioni “aggiuntive” dei dirigenti medici ai sensi degli artt. 14, comma 6, CCNL 2005 e 5, comma 2, del CCNL 2000 di Area (Cass. 5 aprile 2023, n. 9413);
5. tuttavia, l’apprezzamento dell’oggetto del contendere svolto dalla Corte territoriale è parziale e fondatamente il primo motivo di ricorso fa leva sul fatto che la ASP, quale datore di lavoro, richiese e recepì dal lavoratore le prestazioni svolte oltre il debito orario, da cui derivò anche per l’ente la percezione di “ricavi”, secondo quanto risulterebbe emergere dai documenti incorporati al ricorso per cassazione;
lo svolgimento di lavoro oltre il debito orario non intercetta infatti, sotto il profilo della remunerazione, soltanto quella fattispecie delle prestazioni c.d. “aggiuntive”, ma anche quella del lavoro straordinario, in ipotesi nella variante di cui all’art. 2126 c.c. ed è a tali ipotesi che l’insistenza del ricorrente sulla concreta esecuzione di prestazioni cui egli era stato “comandato” inevitabilmente riporta, in esercizio del potere-dovere di individuare, una volta denunciata la violazione di legge, la disciplina normativa regolativa della fattispecie dedotta in causa;
il tema diviene dunque quella della remunerazione di tali prestazioni sulla base della disciplina dello straordinario;
6. è indubbio che la contrattazione collettiva preveda (art. 34, co. 2 CCNL 198/2001; art. 31, co. 2, CCNL 2016/2018; ora, art. 47, co. 2, CCNL 2019/2021) che lo straordinario sia autorizzato dal dirigente; questa S.C. ha tuttavia declinato il principio, cui va data continuità, secondo cui in tema di pubblico impiego contrattualizzato, il diritto al compenso per il lavoro straordinario svolto, che presuppone la previa autorizzazione dell’amministrazione, spetta al lavoratore anche laddove la richiesta autorizzazione risulti illegittima e/o contraria a disposizioni del contratto collettivo, atteso che l’art. 2108 c.c., applicabile anche al pubblico impiego contrattualizzato, interpretato alla luce degli artt. 2 e 40 del D.Lgs. n. 165 del 2001 e dell’art. 97Cost., prevede il diritto al compenso per lavoro straordinario se debitamente autorizzato e che, dunque, rispetto ai vincoli previsti dalla disciplina collettiva, la presenza dell’autorizzazione è il solo elemento che condiziona l’applicabilità dell’art. 2126 c.c.(Cass. 22 luglio 2022, n. 23506);
assetto su cui è allineata la definizione di cause sostanzialmente identiche alla presente, con l’affermazione dell’ulteriore principio per cui in tema di pubblico impiego privatizzato, il riconoscimento del diritto a prestazioni cd. “aggiuntive” – ai sensi dell’art. 1 D.L. n. 402 del 2001, conv. con mod. dalla L. n. 1 del 2002, richiamato “ratione temporis” dalla contrattazione collettiva del comparto sanità – è subordinato al ricorrere dei presupposti dell’autorizzazione regionale, della presenza in capo ai lavoratori di requisiti ccdd. soggettivi e della determinazione tariffaria; tuttavia, pur in mancanza dei menzionati presupposti, l’attività lavorativa oltre il debito orario comporta il diritto al compenso per lavoro straordinario nella misura prevista dalla contrattazione collettiva, purché sussista il consenso datoriale che, comunque espresso, è il solo elemento che condiziona l’applicabilità dell’art. 2126 c.c., in relazione all’art. 2108 c.c., a nulla rilevando il superamento dei limiti e delle regole riguardanti la spesa pubblica, il quale determina, però, la responsabilità dei funzionari verso la pubblica amministrazione (Cass. 23 giugno 2023, n. 18063; analogamente, sempre sul servizio di dialisi estiva della ASP di Reggio Calabria, v. Cass. 20 giugno 2023, n. 17641 e Cass. 3 maggio 2024, n. 11946);
nel dare continuità a tali principi si ribadisce quindi che per autorizzazione, nell’ambito del lavoro straordinario, si intende il fatto che le prestazioni non siano svolte insciente o prohibente domino, ma con il consenso del medesimo e che il consenso alle prestazioni può anche essere implicito;
tale consenso, come si è detto, una volta esistente, integra gli estremi per il necessario pagamento e ciò anche ove la richiesta autorizzazione risulti illegittima e/o contraria a disposizioni del contratto collettivo;
i principi suesposti hanno del resto trovato continuità in fattispecie del tutto contigue, come quella della remunerazione a titolo di straordinario delle prestazioni rese a titolo di compenso incentivante, ove manchi la realizzazione dei presupposti propri di esso, ma vi sia superamento del debito orario (Cass. 4 settembre 2023, n. 25696) o quella delle prestazioni rese a favore di terzi con il consenso della P.A. di appartenenza, sempre oltre il debito orario (Cass. 3 ottobre 2023, n. 27842);
6.1 il collegio ritiene di ulteriormente precisare quanto segue; sul piano delle fonti, nel pubblico impiego contrattualizzato, ai sensi dell’art. 2, comma 3, del D.Lgs. n. 165 del 2001, l’attribuzione dei trattamenti economici è in effetti riservata alla contrattazione collettiva, sicché non è sufficiente a tale scopo un atto deliberativo della P.A. ma occorre, a pena di nullità, la conformità di tale atto alla contrattazione collettiva (Cass. 4 maggio 2021, n. 11645; Cass. 18 agosto 2020, n. 17226);
nei casi come quello di specie quanto accade è però che, se anche l’autorizzazione prevista dal CCNL risponda ad ulteriori ragioni (programmatiche, di spesa etc.) o risalga a fattispecie diversa da quella dello straordinario (ad es. attività da remunerare con compensi incentivanti di cui non si realizzino i presupposti), rispetto alla remunerazione del lavoratore ciò che conta è lo svolgimento del lavoro su incarico anche solo implicito del datore e non contro la volontà di questi, sicché non rileva il fatto che siano osservate forme, né che l’autorizzazione si manifesti per qualunque ragione come invalida o potenzialmente tale, oppure come inidonea (v. il caso dei compensi incentivanti) al suo scopo originario;
a ben vedere, quello che si realizza in tal modo non è un reale contrasto tra la norma del codice civile (art. 2126 c.c., qui in relazione all’art. 2108 c.c.) e le regole che disciplinano l’autorizzazione nella contrattazione collettiva e quindi di un contrasto tra le previsioni di legge e quest’ultima;
al di là del regime del rapporto tra le fonti, mutevole nelle diverse versioni normative del pubblico impiego privatizzato succedutesi nel tempo, attraverso l’applicazione dell’art. 2126 c.c. viene regolata una fattispecie ulteriore e comune, in tutto il diritto del lavoro, alle prestazioni subordinate svolte coerentemente con la volontà datoriale, ma in condizioni non conformi al regime di validità proprio di esse, le quali vanno ciononostante remunerate, ovviamente secondo il quantum previsto, per tali prestazioni e per quanto riguarda il pubblico impiego privatizzato, dalla contrattazione collettiva;
d’altra parte, la fattispecie di cui all’art. 2126 c.c. è indubbiamente espressiva, nell’evoluzione dell’ordinamento, del precetto di cui all’art. 36 Cost. e non a caso, recentemente, Corte Costituzionale 27 gennaio 2023, n. 8, nel vagliare la legittimità dell’art. 2033 c.c., rispetto alla ripetizione di pagamenti indebiti nell’ambito del pubblico impiego privatizzato, ha evidenziato come l’art. 2126 c.c., in ragione della protezione da esso assicurata alla “causa dell’attribuzione, costituita da una attività lavorativa che è stata, di fatto, concretamente prestata, pur se si dimostra giuridicamente non dovuta”, giustifica “sia la pretesa a conseguire il corrispettivo sia, qualora questo sia stato già erogato, l’irripetibilità del medesimo”, ponendosi, sotto quest’ultimo profilo, come uno dei parametri di equilibrio dell’ordinamento a fronte di pretese recuperatorie sproporzionate rispetto alle situazioni coinvolte, ma inevitabilmente giustificando e corroborando la centralità della norma anche ove vista sotto il profilo della prestazioni retributive che essa impone siano adempiute, pur in assenza di validità, anche solo in parte, del rapporto di lavoro e delle prestazioni rese;
6.2 ciò vale anche sotto il profilo delle regole di spesa; è vero che, secondo questa S.C., le remunerazioni delle prestazioni nel pubblico impiego possono essere riconosciute solo se in linea con le previsioni ed allocazioni di spesa e che l’accordo incoerente con esse è invalido (Cass. 21 febbraio 2022, n. 5679) e rende pertanto ripetibili eventuali pagamenti eseguiti sulla sua base (Cass. 9 maggio 2022, n. 14672);
tuttavia, una volta autorizzata e svolta la prestazione, non è sul lavoratore, in forza dell’asse sostanziale della disciplina di cui all’art. 36 Cost. e 2126 c.c., che possono gravare le conseguenze della divergenza rispetto agli impegni di spesa;
tale divergenza può certamente impedire di riconoscere aumenti di corrispettivo non coperti da una regolare conduzione della contrattazione o di riconoscere speciali emolumenti di cui siano carenti i necessari presupposti quali previsti dalla contrattazione collettiva, ma non può essere di ostacolo al pagamento di una prestazione ulteriore a quella ordinaria che sia resa non insciente o prohibente domino o comunque in modo coerente con la volontà del datore;
ciò è già stato del resto affermato rispetto ad alcune fattispecie giunte alla disamina di questa S.C. (v. Cass. 8 novembre 2019, n. 28938 in tema di compenso per i turni di pronta reperibilità svolti in eccedenza ai limiti della contrattazione collettiva) e va qui ribadito anche rispetto alla presente ipotesi;
semmai il tema si sposta sul piano della responsabilità, verso la Pubblica Amministrazione, dei preposti che non avrebbero in ipotesi non dovuto consentire quelle lavorazioni, ma non può ammettersi che il sistema giuridico, contro il disposto di norme centrali di esso, sia alla fine declinato in pregiudizio del prestatore di lavoro subordinato che abbia svolto l’attività sua propria ed alla cui tutela sono di presidio i principi costituzionali già richiamati;
6.3 restano al di fuori dal diritto alla retribuzione – a meno di prestazioni svolte contro norme a tutela del prestatore di lavoro – le nullità afferenti alla prestazione o alla sua richiesta che si riconnettano ad illiceità dell’oggetto o della causa;
tale ipotesi è tuttavia palesemente estranea al caso di specie, in cui quella chiesta è la partecipazione infermieristica ad attività di dialisi estiva per pazienti anche di altre regioni soggiornanti in C e dunque una tipica prestazione sanitaria, propria dell’oggetto del rapporto di impiego e linearmente interna alla causa di un rapporto di lavoro subordinato;
7. il primo motivo va dunque accolto e ciò comporta l’assorbimento del secondo motivo di ricorso con cui la ricorrente adduce la violazione dell’art. 111, co. 6, della Costituzione e degli artt. 132 n. 4 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. (art. 360 n. 4 c.p.c.), sostenendo che la motivazione della sentenza impugnata contenesse, nel denegare l’esistenza di un’autorizzazione, affermazioni inconciliabili e contraddittorie che avrebbero imposto di riconoscere dovuta la retribuzione almeno per le ore entro cui una certa delibera del Commissario straordinario ASP avrebbe ridotto l’impegno lavorativo e di spesa;
8. la cassazione della sentenza di appello determina il rinvio alla medesima Corte territoriale, la quale verificherà l’esistenza del credito retributivo sulla base di quanto sopra precisato e quindi in ragione del superamento del debito orario e con riferimento, sotto il profilo della quantificazione, alle misure unitarie orarie proprie del lavoro straordinario secondo la contrattazione collettiva del tempo, senza attribuire rilievo ai limiti orari di ricorso allo straordinario in ipotesi previsti dalla medesima contrattazione, né ad altri vizi degli incarichi con cui è stato disposto l’impiego del lavoratore nel servizio di dialisi estiva;
9. può anche esprimersi, in continuità con i precedenti, il seguente principio: “in tema di pubblico impiego privatizzato, il disposto dell’art. 2126 c.c. non si pone in contrasto con le previsioni della contrattazione collettiva che prevedano autorizzazioni o con le regole normative sui vincoli di spesa, ma è integrativo di esse nel senso che, quando una prestazione, come quella di lavoro straordinario, sia stata svolta in modo coerente con la volontà del datore di lavoro o comunque di chi abbia il potere di conformare la stessa, essa va remunerata a prescindere dalla validità della richiesta o dal rispetto delle regole sulla spesa pubblica, prevalendo la necessità di attribuire il corrispettivo al dipendente, in linea con il disposto dell’art. 36 Cost.”;
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Reggio Calabria in diversa composizione.