Caratteristica della cessione è di avere ad oggetto la trasmissione di quel complesso unitario di situazioni giuridiche attive e passive che derivano per ciascuna dalle parti dalla esistenza del contratto. Ciò, sia con salvaguardia della posizione acquisita presso il cedente sia con tutte le limitazioni derivanti dal contratto precedente, ivi compresa l’efficacia di un licenziamento già intimato dal cedente, impugnato ed ancora sub iudice.

Nota a Cass. (ord.) 5 novembre 2024, n. 28406

Flavia Durval

In caso di cessione del contratto di lavoro, “non è necessario fare riferimento all’atto di licenziamento sub iudice; e non rilevava, pertanto, la circostanza che in sede di cessione del contratto individuale e della sottoscrizione per accettazione del contraente ceduto nessuna delle parti avesse fatto cenno alla preesistenza di una controversia giudiziale pendente tra le parti originarie in ordine alla risoluzione del rapporto per licenziamento, in quanto, come deve dedursi dall’ampiezza della previsione normativa dell’articolo 1406 c.c., la sostituzione di un terzo ad una delle parti del rapporto assume portata generale, esplicando efficacia con riferimento a tutte le posizioni giuridiche attive e passive, incluse o generatesi nel rapporto, senza necessità di specifica o preventiva individuazione”.

Il principio è espresso dalla Corte di Cassazione (ord. 5 novembre 2024, n. 28406) la quale chiarisce che:

a) in base all’art.1406 c.c., ciascuna parte può sostituire a sé un terzo nei rapporti derivanti da un contratto con prestazioni corrispettive, se queste non sono state ancora eseguite, purché l’altra parte vi consenta. Mentre l’art. 1410 c.c. regola i rapporti fra cedente e cessionario prevedendo che il cedente è tenuto a garantire la validità del contratto;

b) la cessione del contratto attua una successione a titolo particolare del cedente al cessionario in tutti i rapporti attivi o passivi. “Si trasmettono, quindi, non solo debiti e crediti ma anche obblighi strumentali, diritti potestativi, azioni, aspettative ricollegate alla volontà delle parti ed all’esistenza del contratto, ivi compresa l’efficacia risolutiva di un licenziamento già intimato dal cedente ed ancora sub iudice”;

c) se oggetto della cessione è la trasmissione del complesso unitario delle situazioni giuridiche attive e passive che derivano per ciascuna delle parti dall’esistenza del contratto, la cessione medesima “presuppone che l’oggetto dell’obbligazione rimanga immutato nel senso che devono rimanere sostanzialmente immutati gli elementi essenziali, realizzandosi soltanto una sostituzione soggettiva” (v. Cass. n.16635/2003);

d) “pertanto la successione di un datore di lavoro ad un altro può attuarsi tramite la cessione del contratto di lavoro col consenso del lavoratore che continua la prestazione della propria opera alle dipendenze del cessionario, con salvaguardia della posizione acquisita presso il cedente ma anche con tutte le limitazioni derivanti dal contratto precedente (compresa, come già detto, l’efficacia di un licenziamento già intimato dal cedente, impugnato ed ancora sub iudice)”.

Sentenza

 CORTE DI CASSAZIONE Ordinanza 5 novembre 2024, n. 28406

Lavoro – Impugnazione comunicazione cessazione rapporto di lavoro – Legittimità del licenziamento – Valida cessione di contratto individuale – Rigetto

Fatti di causa

La Corte d’appello di Lecce, con la sentenza in atti n.57/2022, ha rigettato il reclamo proposto da R.N. avverso la sentenza del tribunale di Lecce che aveva respinto il suo ricorso diretto ad impugnare la comunicazione dell’11.11.2019, mediante la quale la società S.E.N. S.p.A. aveva dichiarato la cessazione del rapporto di lavoro in virtù del licenziamento già intimato il 13/4/2012 e riconosciuto legittimo dalla Corte d’appello di Lecce con la sentenza n. 1106 del 2019, in riforma della sentenza del tribunale.

A fondamento della decisione in oggetto n.57/2022 la Corte d’appello ha ricordato che: il ricorrente era stato licenziato il 13/4/2012 per motivi disciplinari; il licenziamento era stato annullato in primo grado sia in sede sommaria che in sede di opposizione conclusasi con la sentenza del tribunale di Lecce del 23/5/2018 che aveva condannato E.E. S.p.A. alla reintegrazione; nelle more, in data 1 luglio 2015, il contratto di lavoro di R. era stato ceduto ai sensi dell’articolo 1406 c.c. da E.E. alla società E.S.E. S.p.A; nel 2019 però, in sede di appello, la Corte di appello di Lecce aveva invece accertato la legittimità del licenziamento; pertanto, in base alla cessione del contratto individuale ed a quest’ultima sentenza di appello il cessionario aveva legittimamente comunicato al lavoratore la ripristinata efficacia del licenziamento, già intimato nel 2012 dalla precedente società.

La Corte d’appello ha confermato che il rapporto di R.N. aveva costituito oggetto di una valida cessione di contratto individuale intercorsa tra la originaria società datrice di lavoro E.E. S.p.A. e la nuova società E.S.E. S.p.A. poi denominata S.E.N. S.p.A., cessione efficace ex art. 1406 c.c. a far tempo dall’1/7/2015 stante l’accettazione espressa del lavoratore ceduto.

Con la cessione si era dato luogo, infatti, ad un fenomeno successorio a titolo particolare per il quale il cessionario é subentrato al cedente in tutte le posizioni giuridiche attive e passive pendenti e proprie del rapporto negoziale, tanto che il contraente ceduto può opporre al cessionario tutte le eccezioni derivanti del contratto, escluse quelle fondate su altri rapporti col cedente per le quali non abbia espresso riserva al momento dell’accettazione della cessione, come previsto dall’articolo 1409 codice civile.

Non rilevava l’articolo 1410 c.c. poiché tale norma prevede una garanzia a favore del cessionario che subentra in un vincolo negoziale già sorto ed intercorso tra altri soggetti.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso per Cassazione R.N. con tre motivi di ricorso ai quali ha resistito S.E.N. S.p.A. con controricorso.

Le parti hanno depositato memorie.

Il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380 bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.

Ragioni della decisione

1.- Col primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 1409 codice civile, in relazione all’articolo 360 numero 3 c.p.c., per avere la Corte erroneamente affermato che il ricorrente, contraente ceduto, non poteva proporre eccezioni fondate sul rapporto col cedente trascurando che la lettera di risoluzione del contratto proveniente dal cessionario si basava unicamente sul licenziamento intimato dal cedente.

La lettera di risoluzione del contratto proveniente dal cessionario, dell’11 novembre 2019, si fondava unicamente sulla sentenza della Corte d’appello del novembre 2019 che riteneva giustificato il licenziamento intimato dal cedente il 18 aprile 2012.

Questa sentenza, tuttavia, non era passata in giudicato, in quanto il ricorrente aveva proposto ricorso per cassazione con adunanza fissata per il 30 marzo 2022.

Secondo il ricorrente, pertanto, o si doveva dichiarare invalida la lettera di risoluzione del contratto proveniente dal concessionario, in quanto si fondava sulla sentenza non passata in giudicato, oppure il presente giudizio doveva essere sospeso ex articolo 295 c.p.c. fino alla conclusione del predetto giudizio relativo al licenziamento, che è pregiudicante.

1.1. Il primo motivo di ricorso è anzitutto inammissibile per la novità della censura relativa alla sospensione di cui all’art. 295 c.p.c., posto che nulla si dice della questione nella sentenza impugnata.

1.2. Non viene nemmeno dedotta, inoltre, la violazione dell’articolo 295 c.p.c., quale norma da applicare e che la Corte non avrebbe applicato.

1.3. In ogni caso la Corte d’appello ha sostenuto che entrambe le parti potevano sollevare eccezioni relative al contratto ceduto, e non si comprende quindi in che termini la Corte di appello avrebbe precluso al ricorrente la possibilità di difendersi e di sollevare eccezioni.

Non si intuisce nemmeno quale sia l’eccezione rilevante ai fini della causa che la Corte di appello abbia impedito di sollevare al ricorrente; mentre risulta che il lavoratore abbia pienamente dispiegato le proprie facoltà difensive, prima impugnando giudizialmente il licenziamento e poi impugnando la comunicazione con cui la cessionaria ha sostenuto di volersi avvalere del primo licenziamento.

1.4. Correttamente la Corte di appello ha rilevato che l’effetto successorio, garantito dalla cessione del contratto, non restava precluso dal mancato intervento della società cessionaria nel giudizio di impugnativa del licenziamento, che al momento della cessione era in corso tra la società cedente ed il lavoratore, perché tale evenienza costituiva una facoltà consentita dall’ordinamento giuridico sostanziale e processuale, come chiaramente si rileva dall’art.111 c.p.c. che al comma 4 estende al successore a titolo particolare gli effetti della sentenza pronunciata tra le parti originarie.

1.5. E’ pure infondata l’eccezione secondo cui la Corte non poteva riconoscere l’efficacia del licenziamento prima del giudicato; posto che non c’è necessità dell’intervento del giudicato per attribuire efficacia risolutiva ad un licenziamento riconosciuto legittimo in sede di appello essendo la relativa sentenza immediatamente esecutiva.

1.6. E’ evidente, inoltre, che se il licenziamento fosse stato in ipotesi annullato in sede di legittimità sarebbe venuta meno anche l’efficacia della lettera di risoluzione oggetto di questo giudizio.

Senonché, al contrario, il licenziamento, è stato riconosciuto legittimo con sentenza su cui è calato il giudicato con la pronunzia della Cassazione n. 19327/2022 del 15 giugno 2022, che ha rigettato il ricorso.

2.- Con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 1406 e 1410 codice civile, in relazione all’articolo 360 numero 3 c.p.c., per avere erroneamente affermato che la mancata indicazione nell’atto di cessione del licenziamento intimato dal cedente sarebbe irrilevante; invece se nell’atto di cessione del 2015 non fosse stato indicato il licenziamento intimato dal cedente nel 2012 il cessionario non avrebbe avuti diritto a risolvere il contratto con il lavoratore.

3.- Con un terzo motivo si sostiene la violazione falsa applicazione dell’articolo 1410 c.c. in relazione all’articolo 360 numero 3 c.p.c. per avere la Corte d’appello erroneamente affermato che tale norma è a favore solo del cessionario e non anche a favore del contraente ceduto.

4.- I due motivi possono essere decisi unitariamente per connessione logica-giuridica in quanto investono gli effetti della disciplina della cessione del contratto.

Essi sono infondati perché non risultano violazioni né dell’articolo 1410 c.c. nè dell’art.1406 del codice civile.

L’art.1406 c.c. detta la nozione di cessione del contratto stabilendo che ciascuna parte può sostituire a sé un terzo nei rapporti derivanti da un contratto con prestazioni corrispettive, se queste non sono state ancora eseguite, purché l’altra parte vi consenta.

L’art.1410 c.c. regola i rapporti fra cedente e cessionario e stabilisce che il cedente è tenuto a garantire la validità del contratto.

Com’è noto, la cessione del contratto attua una successione a titolo particolare del cedente al cessionario in tutti i rapporti attivi o passivi.

Caratteristica della cessione è di avere ad oggetto la trasmissione di quel complesso unitario di situazioni giuridiche attive e passive che derivano per ciascuna dalle parti dalla esistenza del contratto; si trasmettono, quindi, non solo debiti e crediti ma anche obblighi strumentali, diritti potestativi, azioni, aspettative ricollegate alla volontà delle parti ed all’esistenza del contratto, ivi compresa l’efficacia risolutiva di un licenziamento già intimato del cedente ed ancora sub iudice.

Poiché ai sensi dell’articolo 1406 c.c. oggetto del contratto è la trasmissione del complesso unitario delle situazioni giuridiche attive e passive che derivano per ciascuna delle parti dall’esistenza del contratto, la cessione del contratto presuppone che l’oggetto dell’obbligazione rimanga immutato nel senso che devono rimanere sostanzialmente immutati gli elementi essenziali, realizzandosi soltanto una sostituzione soggettiva (v. Cassazione 16635 del 2003).

Pertanto la successione di un datore di lavoro ad un altro può attuarsi tramite la cessione del contratto di lavoro col consenso del lavoratore che continua la prestazione della propria opera alle dipendenze del cessionario, con salvaguardia della posizione acquisita presso il cedente ma anche con tutte le limitazioni derivanti dal contratto precedente (compresa, come già detto, l’efficacia di un licenziamento già intimato dal cedente, impugnato ed ancora sub iudice).

Come correttamente affermato dalla sentenza gravata, non era quindi necessario fare riferimento all’atto di licenziamento sub iudice; e non rilevava, pertanto, la circostanza che in sede di cessione del contratto individuale e della sottoscrizione per accettazione del contraente ceduto nessuna delle parti avesse fatto cenno alla preesistenza di una controversia giudiziale pendente tra le parti originarie in ordine alla risoluzione del rapporto per licenziamento, in quanto, come deve dedursi dall’ampiezza della previsione normativa dell’articolo 1406 c.c., la sostituzione di un terzo ad una delle parti del rapporto assume portata generale, esplicando efficacia con riferimento a tutte le posizioni giuridiche attive e passive, incluse o generatesi nel rapporto, senza necessità di specifica o preventiva individuazione.

5.- Sulla scorta delle ragioni fin qui espresse, il ricorso che si giudica deve essere rigettato.

6.- Le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c..

7.- Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio che liquida in euro 4.500,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfettarie oltre accessori dovuti per legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.

Cessione del contratto e licenziamento già intimato dal cedente
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