Risarcito il medico ortopedico per i danni derivanti dall’eccessivo carico di lavoro in violazione del diritto al periodo minimo di 11 ore consecutive di riposo e della normativa sull’orario notturno.
Nota a App. Napoli 3 ottobre 2024, n. 1505/2021
Maria Novella Bettini e Flavia Durval
Il medico che, a causa della cronica carenza di personale, sia stato costretto, per circa otto anni, a svolgere turni che spesso superavano le 24 ore consecutive, subendo anche lunghi turni notturni, ha diritto al risarcimento del danno.
Lo afferma la Corte di Appello di Napoli 3 ottobre 2024, n. 1505/2021, la quale ha richiamato:
– la Direttiva 93/104/CE che, nell’individuare la nozione di orario di lavoro ai fini dell’applicazione delle tutele in essa previste, si riferisce a “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni […]”; la nozione di periodo di riposo è individuata, in negativo, in relazione a quella di orario ed è indicata in “qualsiasi periodo che non rientra nell’orario di lavoro” (art. 2, nn. 1 e 2);
– la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE secondo cui, nell’ambito della qualificazione del servizio di guardia di un medico ospedaliero, ha affermato che, nella fattispecie esaminata, tale servizio richiedeva la presenza fisica nella struttura per l’effettuazione delle prestazioni eventualmente necessarie (9 settembre 2003, C-151/02 e 11 gennaio 2007, n. 437, C-437/05). Nel reparto era presente una stanza con letto nella quale il medico poteva dormire quando non erano richieste le sue prestazioni. Tuttavia, il periodo di servizio di guardia che svolgono i medici ospedalieri, secondo il regime della presenza fisica nel centro sanitario, rientra interamente nell’orario di lavoro, “indipendentemente dalle prestazioni lavorative realmente effettuate, anche, quindi, se il medico ha dedicato una parte dell’orario al sonno”.
Per i giudici, infatti, allo scopo di stabilire se un determinato periodo di servizio rientri nella nozione di orario di lavoro, occorre che sussistano gli obblighi di “essere fisicamente presenti sul luogo indicato dal datore di lavoro e a tenervisi a disposizione di quest’ultimo per poter fornire immediatamente la loro opera in caso di necessità”; tali doveri che rendono “impossibile ai medici interessati di scegliere il luogo in cui stare durante le [eventuali] attese, rientrano nell’esercizio delle loro funzioni”. La Corte ha precisato che fanno parte dell’orario di lavoro anche le fasi temporali in cui il lavoratore riposi o, addirittura, dorma (in tal senso, v. anche Cass. n. 34125/2019).
Il giudice europeo ha, cioè, chiarito che “la possibilità, per i medici che svolgono un servizio di guardia secondo il regime della presenza fisica in ospedale, di riposarsi, e anche di dormire, durante i periodi in cui non si richiede la loro opera è irrilevante al riguardo”. “Siffatti periodi di inattività professionale ineriscono infatti al servizio di guardia effettuato dai medici secondo il regime della presenza fisica in ospedale, dato che, a differenza del normale orario lavorativo, la necessità di interventi urgenti dipende dalle circostanze e non può essere preventivamente programmata”. Il lavoratore, infatti, è costretto a “restare lontano dal suo ambiente familiare e sociale”, sicché risulta limitata la sua libertà di gestire il proprio tempo e, anche quando materialmente non eroghi una prestazione o, addirittura, dorma, il periodo non può definirsi riposo;
– la definizione del “riposo adeguato” che l’art. 2, n. 9, Direttiva n. 88/2003 qualifica come «riposo adeguato»: “il fatto che i lavoratori dispongano di periodi di riposo regolari, la cui durata è espressa in unità di tempo, e sufficientemente lunghi e continui per evitare che essi, a causa della stanchezza, della fatica o di altri fattori che perturbano l’organizzazione del lavoro, causino lesioni a sé stessi, ad altri lavoratori o a terzi o danneggino la loro salute, a breve o a lungo termine”. Sulla scorta di questa definizione appare evidente che il riposo discontinuo durante un turno di guardia ospedaliero non può ritenersi adeguato e deve pertanto rientrare nell’ambito dell’orario di lavoro. Non sarebbe nemmeno legittimo un sistema di calcolo solo parziale (e non integrale) delle ore di presenza ‘inattiva’ sul luogo di lavoro (CGUE 1° dicembre 2005, C-14/2004 e Cass. n. 34125/2019, cit.).
In quest’ottica, sono ricompresi nell’orario di lavoro anche i periodi, non collocati nel servizio di guardia bensì nell’orario ordinario, durante i quali accada occasionalmente che il sanitario non debba erogare la prestazione in quanto non richiesta dalle esigenze del reparto. Ciò, tenuto conto dell’obiettivo principale della Direttiva n. 88/2003 cit., che è quello di proteggere in modo efficace la sicurezza e la salute dei lavoratori;
– la pronunzia della CGUE per la quale il lavoratore deve, in particolare, beneficiare di periodi di riposo adeguati ed effettivi che devono, cioè, “caratterizzarsi per il fatto che il lavoratore, durante tali periodi, non è soggetto, nei confronti del suo datore di lavoro, ad alcun obbligo che gli possa impedire di dedicarsi, liberamente e senza interruzioni, ai suoi propri interessi al fine di neutralizzare gli effetti del lavoro sulla sicurezza e la salute dell’interessato” (CGUE 14 ottobre 2010, C-429/09 ). Tali riposi devono altresì consentire “alle persone interessate di recuperare la fatica dovuta al lavoro, devono anche rivestire un carattere preventivo tale da ridurre il più possibile il rischio di alterazione della sicurezza e della salute dei lavoratori che l’accumulo di periodi di lavoro senza il necessario riposo può rappresentare” (CGUE 9 settembre 2003, causa C-151/02, Jaeger, Racc. pag. I-8389, punto 92). I riposi compensativi devono, poi, necessariamente “essere immediatamente successivi all’orario di lavoro che sono intesi a compensare”; non essendo legittimo differire il riposo perché in tal modo lo stesso verrebbe meno al suo fine “di evitare uno stato di fatica o di sovraccarico del lavoratore dovuti all’accumulo di periodi di lavoro consecutivi (v. sentenza Jaeger, cit., punto 94)”. Tale necessità è finalizzata non solo ad ottenere “un’efficace tutela della salute del lavoratore”, ma anche a “garantire la sicurezza” della prestazione erogata. “Deve pertanto essere prevista, di regola, un’alternanza di un periodo di lavoro e di un periodo di riposo. Infatti, per potersi effettivamente riposare, il lavoratore deve beneficiare della possibilità di sottrarsi al suo ambiente di lavoro per un certo numero di ore che non solo devono essere consecutive, ma anche venire subito dopo un periodo di lavoro, per consentire all’interessato di rilassarsi e smaltire la fatica connessa all’esercizio delle proprie funzioni. Tale esigenza risulta ancor più necessaria quando, in deroga alla regola generale, l’orario di lavoro normale giornaliero è prolungato dallo svolgimento di un servizio di sorveglianza (sentenza Jaeger, cit., punto 95)”;
– la sentenza CGUE 23 dicembre 2015, C—180/14, nella quale, con specifico riferimento ai sanitari, i giudici hanno ribadito che “l’aumento dell’orario di lavoro giornaliero che, ai sensi dell’articolo 17 della direttiva 2003/88, gli Stati membri possono effettuare, riducendo la durata del riposo concesso al lavoratore durante una giornata lavorativa prestata deve in linea di principio essere compensato mediante la concessione di periodi equivalenti di riposo compensativo, costituiti da un numero di ore consecutive corrispondente alla riduzione operata e di cui il lavoratore deve beneficiare prima di iniziare il periodo lavorativo successivo. In linea generale, il fatto di concedere tali periodi di riposo solo in “altri orari”, non avendo più un nesso diretto con il periodo di lavoro prolungato dovuto all’attività straordinaria, non tiene adeguatamente conto della necessità di rispettare i principi generali di tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori che costituiscono il fondamento del sistema di organizzazione dell’orario di lavoro dell’Unione (v., sentenza Jaeger, C‑151/02, EU:C:2003:437, punto 97)”;
– i chiarimenti della CGUE in merito al carattere eccezionale di eventuali deroghe al regime dei riposi. Tali deroghe vanno cioè “interpretate in modo che la loro portata sia limitata a quanto strettamente necessario alla tutela degli interessi che esse permettono di proteggere” (v. sentenza Jaeger, cit., punto 89; e, nel senso della interpretazione restrittiva delle deroghe, CGUE 4 maggio 2023, da C-529/21 a C-536//21 e da C-732/21 a C-738/21; 3 maggio 2012, C-337/10; 21 febbraio 2018, n. 518, C-518/15; 14 ottobre 2010, C-429/09). Non può peraltro essere invocata la formulazione dell’art. 17, n. 2, Direttiva 2003/88, laddove consente che sia concessa al lavoratore un’altra «protezione appropriata» in luogo dei riposi compensativi immediati: la Corte, infatti, ha specificato che tale possibilità è ammessa “soltanto in casi eccezionali” e tuttavia “ciò non toglie che” tali alternative protezioni appropriate “devono comunque garantire il rispetto dei principi della protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori” (CGUE 14 ottobre 2010, C-429/09; v., per analogia, sentenza Jaeger, cit., punto 98). “Anche se l’art. 17, n. 2, della Direttiva 2003/88 deve quindi essere interpretato nel senso che conferisce un certo margine di discrezionalità agli Stati membri e, eventualmente, alle parti sociali al fine di stabilire, in casi eccezionali, una protezione appropriata per i lavoratori interessati, nondimeno tale protezione, che riguarda la sicurezza e la salute dei lavoratori, è anche volta…… a consentire ai detti lavoratori di rilassarsi e smaltire la fatica connessa all’esercizio delle loro funzioni”;
– la sentenza 4 maggio 2023 cit. (in tema di rapporto di lavoro dei vigili del fuoco, applicabile per identità di ratio anche al lavoro dei sanitari) ha ulteriormente precisato che “benché determinati servizi debbano affrontare eventi che, per definizione, non sono prevedibili, le attività a cui tali servizi danno luogo in condizioni abituali – e che corrispondono, del resto, esattamente alla missione che è stata impartita a siffatti servizi – possono comunque essere organizzate preventivamente, anche per quanto riguarda gli orari di lavoro del loro personale” (v. anche sentenza 5 ottobre 2004, da C-397/01 a C- 403/01, punto 57). Secondo la Corte di Appello di Napoli, pertanto, la eccezionalità non può essere invocata, “per giustificare deroghe alle norme sui riposi, quando le condizioni di criticità derivino dalla errata gestione del personale o dalla carenza dello stesso creata dalla errata programmazione dei fabbisogni da parte dello Stato. Tali condizioni, infatti, rientrano, comunque, nell’esercizio dell’attività in “condizioni abituali” e non integrano quell’eccezionalità che ricorre, invece, solo in casi che costituiscono un’eccezione alla normalità per un tempo determinato a causa di particolari e gravi circostanze, quindi straordinari, singolari, insoliti”. Nel campo sanitario, in particolare, le deroghe possibili sono subordinate alla condizione: a) che vengano concessi ai lavoratori interessati equivalenti periodi di riposo compensativo; b) ovvero in ipotesi eccezionali in cui la concessione di tali periodi equivalenti di riposo compensativo non sia possibile per ragioni oggettive, alla condizione che venga concessa ai medici una protezione appropriata;
– i cc.nn.ll. della dirigenza medica del periodo 2016-2019 e 2019-2021 prevedono che nel caso in cui ricorrano “ragioni eccezionali”, e, quindi, non sia possibile rispettare la normativa sul riposo compensativo, “quale misura di adeguata protezione, le ore di mancato riposo saranno fruite nei successivi sette giorni fino al completamento delle undici ore di riposo” (art. 24, co. 15). La previsione contrattuale quindi ripete la normativa europea richiamando il presupposto della eccezionalità al fine di giustificare la deroga al riposo compensativo immediatamente successivo e individuando come unico limite quello del godimento non oltre sette giorni. La norma, tuttavia, non spiega quali siano le condizioni di eccezionalità, rimettendo, in sostanza, la scelta e la responsabilità al dirigente della struttura, al quale spetterà, pertanto, “motivare la deroga al riposo e alla fruizione immediata di quello compensativo e chiarire quali siano le ragioni eccezionali (non prevedibili, non rientranti nelle condizioni abituali, legate a particolari e gravi circostanze)”.
Nel caso concreto, la Corte territoriale ha rilevato che l’ASL resistente “non ha allegato situazioni di eccezionalità legate al caso concreto, non ha provato che il dirigente della struttura abbia motivato la deroga al riposo e alla fruizione immediata di quello compensativo, o abbia chiarito quali siano le ragioni eccezionali (non prevedibili, non rientranti nelle condizioni abituali, legate a particolari e gravi circostanze). Così facendo si è sottratta all’onere sulla stessa gravante trattandosi, infatti, di circostanze che per la loro eccezionalità hanno una natura derogatoria di diritti costituzionali e di rilievo eurounitario, ed un effetto estintivo e modificativo degli stessi”. La mancata fruizione del riposo (periodo minimo di 11 ore consecutive), fra cui lo svolgimento di lavoro notturno per più di 8 ore per periodi di 24 ore, integrando una violazione della normativa europea e nazionale (Direttiva 2003/88/CE cit. e D.Lgs. n. 66/2003), conferisce ai ricorrenti il diritto al risarcimento del danno.