La fruizione illegittima dei premessi sindacali, utilizzati per motivi personali e non per lo svolgimento attività sindacale, giustifica il licenziamento in tronco del lavoratore.

Nota a Cass. (ord.) 12 novembre 2024, n. 29135

Fabio Iacobone

L’uso del permesso sindacale (per due giorni di seguito) per soddisfare esigenze prettamente ed esclusivamente personali e familiari è illegittimo e giustifica il licenziamento per giusta causa del lavoratore.

Questo, il principio ribadito dalla Corte di Cassazione (ord.) 12 novembre 2024, n. 29135, relativamente al ricorso di un lavoratore licenziato per giusta causa, rappresentata dalla fruizione illegittima dei premessi sindacali, durante i quali egli non aveva svolto alcuna attività sindacale ed era risultato fuori regione per motivi personali.

I giudici precisano che, pur avendo il diritto al permesso in capo al dirigente sindacale provinciale natura di diritto potestativo, nondimeno “allo stesso datore di lavoro spetta il diritto al controllo per accertare l’effettiva partecipazione dei sindacalisti, fruitori di tali permessi, alle riunioni degli organi direttivi, nazionali o provinciali” (Cass. n. 11759/2003).

Inoltre, in linea con la Corte territoriale, la Cassazione ritiene corretta, nel caso in esame, la valutazione circa la proporzionalità fra sanzione e infrazione, vista l’irreparabile compromissione del vincolo fiduciario poiché la fattispecie ha ad oggetto non una mera assenza ingiustificata (per la quale il ccnl prevederebbe una sanzione conservativa), bensì l’illegittima fruizione di permessi sindacali retribuiti da parte di un dirigente sindacale provinciale.

Sentenza

CORTE DI CASSAZIONE ORDINANZA  12 novembre 2024, n. 29135

Rilevato che

1.- Ca.Be. era stato dipendente di Bo.Ta. Spa fino al 20/10/2016, quando era stato licenziato per giusta causa, rappresentata dalla fruizione illegittima dei premessi sindacali ottenuti per i giorni 06 e 07 ottobre 2016, durante i quali non aveva svolto alcuna attività sindacale ed era risultato fuori regione per motivi personali. Impugnava il licenziamento, deducendone l’illegittimità sia per contrasto con gli artt. 23 e 24 L. n. 300/1970 sui permessi, sia per insufficienza del numero dei giorni di assenza idonei a consentire il licenziamento, sia per mancata comunicazione dei motivi, sia per erroneità della relazione investigativa quanto agli orari e comunque per la sua inutilizzabilità a causa della violazione della privacy, in quanto l’attività investigativa era iniziata durante un periodo di ferie. Pertanto adiva il Tribunale di S.Maria Capua Vetere per ottenere la reintegrazione nel posto di lavoro e la condanna della società al pagamento dell’indennità risarcitoria.

2.- Costituitosi il contraddittorio, all’esito della fase c.d. sommaria il Tribunale rigettava l’impugnazione. Poi, con sentenza, rigettava l’opposizione proposta dal Ca.Be.

3.- Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello rigettava il gravame interposto dal Ca.Be. Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:

a) è infondato il motivo di reclamo con cui il reclamante si duole che entrambe le fasi (sommaria e a cognizione piena) del giudizio di primo grado siano state decise dallo stesso giudice persona fisica, considerata la sentenza n. 78/2015 della Corte Costituzionale, che ha rigettato la questione di costituzionalità evidenziando che, pur in due fasi, si tratta pur sempre di un unico grado di giudizio;

b) la contestazione disciplinare attiene non all’assenza ingiustificata dal lavoro, bensì all’illegittima fruizione di permessi sindacali in due giorni;

c) dall’istruttoria svolta è emerso che nei due giorni per i quali aveva ottenuto permessi sindacali il Ca.Be. si era recato in Foligno in compagnia del figlio (che partecipava alle prove selettive per l’arruolamento volontario nelle Forze Armate) e lì era rimasto senza svolgere alcuna attività sindacale;

d) l’investigatore privato ha confermato la sua relazione, nella quale sono ben descritti tutti gli spostamenti e le attività del Ca.Be. in quei due giorni;

e) non sussiste la violazione della privacy, perché il controllo è stato effettuato in luoghi pubblici e finalizzato ad accertare le cause effettive della richiesta di premessi sindacali (Cass. n. 6174/2019);

f) pur volendo riconoscere che la tutela per i permessi nel caso in esame sia quella dell’art. 30 L. n. 300/1970 (e quindi degli artt. 63 e 63 bis CCNL), nondimeno si è avuto lo sviamento dall’interesse sotteso (la tutela dei diritti sindacali da parte di un dirigente sindacale provinciale), poiché l’istituto è stato adoperato per meri interessi personali e individuali (Cass. n. 34739/2019);

g) corrette sono anche le valutazioni del Tribunale circa la proporzionalità fra sanzione ed infrazione, vista l’irreparabile compromissione del vincolo fiduciario, poiché il caso ha ad oggetto non una mera assenza ingiustificata, bensì illegittima fruizione di permessi sindacali retribuiti da parte di un dirigente sindacale provinciale.

4.- Avverso tale sentenza Ca.Be. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.

5.- Bo.Ta. Spa ha resistito con controricorso.

6.- Entrambe le parti hanno depositato memoria.

7.- Il collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.

Considerato che

1.- Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta “violazione o falsa applicazione” di norme di diritto “in relazione al medesimo giudice della prima fase e di quella di opposizione rito Fornero”, con conseguente nullità della sentenza emessa. Il motivo è inammissibile sia perché non sono indicate le norme di diritto asseritamente violate, sia perché non tiene conto della motivazione articolata dalla Corte territoriale, che ha richiamato la specifica decisione della Corte Costituzionale (n. 78/2015) con la quale il ricorrente non si confronta in alcun modo.

2.- Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta “violazione e falsa applicazione” degli artt. 2119, 1175, 1375, 2104, 2105, 2106 c.c., 30 L. n. 300/1970 per aver la Corte territoriale erroneamente inteso la portata del diritto al permesso sindacale di cui è titolare il dirigente sindacale provinciale.

Il motivo è inammissibile in primo luogo perché riporta ampi passi dell’istruttoria, sollecitando a questa Corte una sua rilettura invece interdetta in sede di legittimità. In secondo luogo risultano travisati il significato e la portata del principio di diritto espresso da questa Corte nella sentenza n. 11759/2003, in cui si è precisato che, pur avendo il diritto al permesso in capo al dirigente sindacale provinciale natura di diritto potestativo, nondimeno “allo stesso datore di lavoro spetta il diritto al controllo per accertare l’effettiva partecipazione dei sindacalisti, fruitori di tali permessi, alle riunioni degli organi direttivi, nazionali o provinciali”.

Dunque, contrariamente all’assunto del ricorrente, il precedente di questa Corte rafforza ulteriormente la conformità a diritto della decisione d’appello in questa sede impugnata.

Neanche rileva Cass. n. 6495/2021, pure invocata dal ricorrente, perché in quel caso era rimasto accertato in fatto che il dirigente sindacale, nei giorni per i quali aveva ottenuto il permesso sindacale, aveva svolto attività che “pur non riconducibili allo schema della riunione sindacale, rientravano comunque nell’ambito di quelle proprie dell’incarico sindacale ricoperto”. Nel caso in esame, invece, il risultato dell’istruttoria è stato totalmente diverso e precisamente in termini di uso del permesso sindacale (per due giorni di seguito) per soddisfare esigenze prettamente ed esclusivamente personali e familiari.

Infine, quanto alla doglianza della mancata valutazione del CCNL che per tale fattispecie prevederebbe una sanzione conservativa, il motivo è parimenti inammissibile sia perché non indica né riporta la specifica clausola collettiva, sia perché non si confronta con quel punto della sentenza impugnata, in cui la Corte territoriale ha spiegato che la fattispecie concreta è rappresentata non da un’assenza ingiustificata, bensì dall’uso illegittimo e fraudolento di permessi sindacali.

3.- Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta “violazione e falsa applicazione” degli artt. 2 e 3 L. n. 604/1966 per avere la Corte territoriale omesso di rilevare che, fino alla costituzione in giudizio della società, egli non era stato posto in grado di conoscere i motivi del suo licenziamento.

Il motivo è inammissibile perché non si confronta in alcun modo con quel punto della sentenza impugnata, in cui la Corte territoriale ha ritenuto che la lettera di contestazione esplicitava le ragioni della stessa, facendo espresso riferimento alla fruizione di permesso sindacale utilizzato per finalità diverse da quelle per cui era stato riconosciuto (v. sentenza impugnata, p. 3).

La stessa Corte ha poi aggiunto che i motivi erano chiaramente indicati nell’atto di licenziamento e ciò peraltro è evincibile dalla trascrizione contenuta nello stesso ricorso per cassazione dell’atto di recesso, in cui vi è un evidente richiamo alla lettera di contestazione.

Questa ratio decidendi non è stata adeguatamente censurata ed è di per sé idonea a sorreggere l’affermazione della efficacia del licenziamento, sicché perde rilievo l’ulteriore affermazione della Corte territoriale secondo cui dalla documentazione in atti non emergeva la richiesta dei motivi del licenziamento da parte del lavoratore.

4.- Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge.

Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, D.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto.

Utilizzo illegittimo del permesso sindacale
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