Alla luce dei principi di non discriminazione i criteri del periodo di anzianità di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro dovranno essere i medesimi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli a tempo indeterminato.
Nota a Cass. 19 novembre 2024, n. 2978
Massino Citerni di Siena
In relazione alla questione se il lavoratore, già dipendente con vari contratti a termine e poi assunto a tempo indeterminato, abbia diritto, in ragione del principio di parità di trattamento tra lavoratori a termine e a tempo indeterminato, all’aumento periodico di anzianità e, quindi, alla valutazione dell’anzianità maturata anche nel periodo di assunzione a termine, la Corte di Cassazione 19 novembre 2024, n. 2978, in linea con la Corte di merito, afferma che: in base al principio di non discriminazione, la giurisprudenza comunitaria e la Cassazione stessa (CGUE 15 aprile 2008, causa C-268/06; 13 settembre 2007, causa C-307/05; 8 settembre 2011, causa C-177/10 e Cass. (ord.) n. 14959/2022), consentono al lavoratore a termine di richiedere le medesime condizioni di lavoro previste per i lavoratori a tempo indeterminato.
“La “saldatura” tra contratti a termine in un unico tempo lavorato è doverosa alla luce dei principi di non discriminazione ben chiariti dalle fonti sovranazionali oltre che dalle decisioni di questa Corte di legittimità” (v. Cass. n. 21241/2022).
In particolare, la clausola 4 dell’Accordo Quadro, che impone di riservare agli assunti a tempo determinato le medesime condizioni di impiego previste per i dipendenti a tempo indeterminato, prevede che “i criteri del periodo di anzianità di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro dovranno essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli a tempo indeterminato, eccetto quando criteri diversi in materia di periodo di anzianità siano giustificati da motivazioni oggettive” (co.2) (v. anche Cass. n. 7584/22).
Inoltre, la Corte di Giustizia ha aggiunto che “la clausola 4 non cessa di spiegare effetti una volta che il lavoratore abbia acquistato lo status di dipendente a tempo indeterminato, perché l’esigenza di vietare discriminazioni dei lavoratori a termine rispetto a quelli a tempo indeterminato viene in rilievo anche qualora il rapporto a termine, seppure non più in essere, venga fatto valere ai fini dell’anzianità di servizio” (cfr. CGUE 8 novembre 2011, causa C- 177/10, punto 43; CGUE 18 ottobre 2012, cause riunite da C- 302/11 a C-305/11, punto 36).
Pertanto, in applicazione di tali principi, il tempo lavorato con plurimi contratti a termine, legittimi e non consecutivi, va considerato utile ai fini del raggiungimento del requisito in questione. I contratti vanno cioè cumulati per non incorrere nella violazione dell’art. 4 dell’Accordo citato.
Tale valutazione è ulteriormente confermata laddove si consideri che i contratti in discussione, per quantità e ravvicinamento temporale, hanno avuto una evidente continuità in un arco di tempo di circa cinque anni, cui ha fatto seguito l’assunzione a tempo indeterminato con le stesse mansioni. Secondo i giudici, “a parte il caso di successione di contratti aventi ad oggetto profili e mansioni differenti, si può avere «soluzione di continuità» soltanto quando tra i diversi contratti a termine, o tra l’ultimo contratto a termine e l’assunzione a tempo indeterminato, sia passato un lasso di tempo tale da non potersi considerare l’esperienza professionale maturata nei periodi precedenti utile in funzione della capacità di svolgere nel modo migliore le mansioni assegnate con il contratto a tempo indeterminato” (Cass. n. 1065/2024).
La Corte perciò, accertate le medesime mansioni svolte dal dipendente (O. Operatore Unico Aeroportuale), sia con i contratti a termine che a tempo indeterminato, ha ritenuto che l’anzianità maturata fosse da considerare tra le condizioni di lavoro che l’art. 4 richiede siano le medesime tra lavoratori.
Sentenza
CORTE DI CASSAZIONE 19 novembre 2024, n. 29787
Lavoro – Principio di parità di trattamento tra lavoratori a termine e a tempo indeterminato – Diritto all’aumento periodico di anzianità – Valutazione anzianità maturata anche nel periodo di assunzione a termine – Voci della retribuzione globale di fatto – Rigetto
Fatti di causa
La Corte di appello di Venezia aveva rigettato gli appelli proposti, rispettivamente, da G.I. nei confronti di G.V. Spa e da quest’ultima società, avverso la decisione con cui il Tribunale di Venezia aveva ritenuto, per quanto attualmente in rilievo, che il lavoratore, già dipendente con vari contratti a termine e poi assunto a tempo indeterminato, avesse diritto, in ragione del principio di parità di trattamento tra lavoratori a termine e a tempo indeterminato, all’aumento periodico di anzianità e , quindi, alla valutazione dell’anzianità maturata anche nel periodo di assunzione a termine.
La stessa Corte di merito aveva invece ritenuto infondata la domanda proposta dal lavoratore con riguardo alla riliquidazione delle maggiorazioni previste per il lavoro supplementare prestato dal dipendente part time, che tenesse conto anche dei ratei di TFR, 13^ e 14^ mensilità, EDR, ovvero degli istituti retributivi indiretti.
In particolare, la corte aveva ritenuto, quanto alla anzianità pregressa, che il principio di parità richiamato fosse operativo non soltanto con riferimento ai contratti a termine illegittimamente stipulati, ma anche a quelli con termine apposto legittimo, in ragione di quanto anche valutato da Cass. n. 7584/2022 secondo cui la clausola 4 dell’Accordo Quadro, che impone di riservare agli assunti a tempo determinato le medesime condizioni di impiego previste per i dipendenti a tempo indeterminato, e che prevede espressamente, al comma 2, «I criteri del periodo di anzianità di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro dovranno essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli a tempo indeterminato, eccetto quando criteri diversi in materia di periodo di anzianità siano giustificati da motivazioni oggettive».
In ragione degli stessi principi richiamati, la corte di merito rigettava le questioni sollevate dalla società in riferimento all’inquadramento, valutando che il datore di lavoro non aveva allegato nessuna causa ostativa oggettiva che consentisse la deroga al principio di parità di trattamento con riguardo ai tempi utili alla progressione automatica (di cui agli artt. H2 e H8 CCNL), similmente applicati per entrambe le categorie di lavoratori.
Quanto, infine, alla maggiorazione del lavoro supplementare per il lavoratore part-time, (appello lavoratore), la corte d’appello riteneva l’infondatezza della pretesa del lavoratore, in primo luogo, perché rimasta indimostrata l’effettiva diversità di trattamento tra lavoratore part time e full time.
In aggiunta, richiamava la correttezza della determinazione della retribuzione globale di fatto sulla base di come tale voce fosse espressamente indicata nel Ccnl.
Dal combinato degli artt. “H 14 e H 13″ evinceva, infatti, che la retribuzione globale di fatto era costituita da stipendio di fatto (minimo tabellare più aumenti periodici di anzianità più aumenti eventuali di merito o altre eccedenze sul minimo tabellare) e indennità di contingenza.
Tale composizione era quella indicata per la retribuzione mensile anche richiamata dall’art. H 23 per definire la retribuzione oraria. In nessuna di tali disposizioni, e da ultimo in quella relativa alla base per la retribuzione oraria, erano compresi gli istituti indiretti (EDR ,13, 14 e tfr).
A fronte di tale articolata decisione proponeva ricorso G.V. spa affidato a tre motivi cui resisteva con controricorso il lavoratore che anche proponeva ricorso incidentale affidato a cinque motivi.
Entrambe le parti depositavano successiva memoria.
L’Ufficio della Procura Generale depositava memoria concludendo per il rigetto di entrambi ricorsi.
Ragioni della decisione
Ricorso principale:
1)- Con il primo motivo è denunciata la falsa applicazione della clausola “4”, punto “1” dell’Accordo Quadro sul rapporto di lavoro a tempo indeterminato, recepito dalla Direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28.6.1999, relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dalla C., dall’U. e dal C.
nonché violazione dell’art. 6 D. Lgs. 6.9.2001 n. 368, ratione temporis vigente e dell’art. “H18” del C.C.N.L. “per il personale di terra del trasporto aereo e delle attività aeroportuali” (sezione “Handlers.”).
2)- Con il secondo motivo è denunciata la falsa applicazione della clausola “4”, punto “1” dell’Accordo Quadro sul rapporto di lavoro a tempo indeterminato, recepito dalla Direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28.6.1999, relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dalla C., dall’U. e dal C. nonché violazione dell’art. 6 D. Lgs. 6.9.2001 n. 368, ratione temporis vigente, degli artt. “H2 e H8 CCNL; art. 25 d.lgs n.n. 81/2015.”
3)- Il terzo motivo denuncia la nullità sentenza per omissione totale di pronuncia, in violazione dell’art. 112 c.p.c., su uno dei motivi di appello sollevati da G.V. (art. 360 co.1. n. 4 c.p.c.).
Con tale motivo la società si duole della mancata pronuncia, richiesta in via subordinata, sul differente periodo da cui calcolare gli scatti di anzianità.
4)-I primi due motivi possono essere trattati congiuntamente.
4.1) Con il primo di essi la società lamenta, ai fini degli scatti di anzianità, la errata considerazione del periodo antecedente alla assunzione a tempo indeterminato, caratterizzato da plurimi contratti a termine, tutti legittimi, non immediatamente consecutivi, ma “sparsi” nel periodo in esame.
La società si duole del cumulo di tali contratti, trattati come se fossero contratti a termine illegittimamente stipulati e dunque da sommare in un unico tempo contrattuale.
5)-Occorre subito precisare che i mesi “non lavorati” in questione sono il frutto di interruzioni nell’arco di 8 contratti in circa 5 anni e che, in molti contratti, l’interruzione è di circa 2/3 mesi tra l’uno e l’altro.
La disposizione originariamente invocata dal dipendente è l’art. H18 del CCNL che dispone: “dopo ciascun biennio di servizio prestato dalla data di assunzione presso la società, il lavoratore ha diritto ad un aumento periodico di anzianità”
5.1) -La società ricorrente ritiene errato il cumulo dei periodi dei contratti a termine, ai fini di applicazione della disposizione in questione, del calcolo del biennio e del riconoscimento dell’aumento periodico, trattandosi di contratti legittimamente stipulati.
5.2) -A riguardo la corte territoriale aveva evidenziato che, in base al principio di non discriminazione, la giurisprudenza comunitaria e la corte di legittimità (Corte di Giustizia 15 aprile 2008, causa C-268/06, I.; 13 settembre 2007, causa C-307/05, D.C.A.; 8 settembre 2011, causa C-177/10, R.S. citata da ultimo da Cass. Sez. L -, Ordinanza n. 14959 del 11/05/2022), consentono al lavoratore a termine di richiedere le medesime condizioni di lavoro previste per i lavoratori a tempo indeterminato.
In particolare la sentenza richiama “la clausola 4 dell’Accordo Quadro, che impone di riservare agli assunti a tempo determinato le medesime condizioni di impiego previste per i dipendenti a tempo indeterminato, e che prevede espressamente, al comma 2, «I criteri del periodo di anzianità di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro dovranno essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli a tempo indeterminato, eccetto quando criteri diversi in materia di periodo di anzianità siano giustificati da motivazioni oggettive”».
In ragione della applicazione di tali principi il tempo lavorato con plurimi contratti a termine, sia pur non consecutivi, dalla corte d’appello è stato considerato utile ai fini del raggiungimento del requisito del “biennio” richiesto dalla su richiamata disposizione.
6)-La decisione del giudice d’appello è corretta in quanto la “saldatura” tra contratti a termine in un unico tempo lavorato, ai fini che interessano, è doverosa alla luce dei principi di non discriminazione ben chiariti dalle fonti sovranazionali oltre che dalle decisioni di questa Corte di legittimità.
È stato infatti affermato, con argomentazioni cui si intende dare seguito (sul punto Cass. n. 21241/2022), che sono diverse ed entrambe possibili le domande di riconoscimento degli effetti distorsivi della sequenza di contratti a termine: l’uno riferito all’abuso degli stessi e l’altro alla violazione dell’art. 4 cit. in tema di effetti discriminatori.
Nel caso in esame è dunque corretto ritenere che i tempi di durata dei vari contratti, sia pur tutti legittimi, debbano essere cumulati per non incorrere nella violazione dell’art. 4 dell’Accordo Quadro, poiché, in caso contrario, si realizzerebbe una effettiva disparità discriminatoria tra lavoratori, non consentita.
7)- Tale valutazione trova ulteriore conferma ove si consideri che i contratti in discussione, per quantità e ravvicinamento temporale, hanno avuto una evidente continuità in un arco di tempo di circa cinque anni, cui è seguita l’assunzione a tempo indeterminato con le medesime mansioni.
Sul punto deve ribadirsi, (in continuità con Cass. n. 7584/22) che la Corte di Giustizia ha aggiunto che la clausola 4 non cessa di spiegare effetti una volta che il lavoratore abbia acquistato lo status di dipendente a tempo indeterminato, perché l’esigenza di vietare discriminazioni dei lavoratori a termine rispetto a quelli a tempo indeterminato viene in rilievo anche qualora il rapporto a termine, seppure non più in essere, venga fatto valere ai fini dell’anzianità di servizio (cfr. Corte di Giustizia 8.11.2011 in causa C- 177/10 R.S. punto 43; Corte di Giustizia 18.10.2012 in cause riunite da C- 302/11 a C-305/11, V. ed altri, punto 36).
Con recente decisione questa Corte ha ulteriormente soggiunto che “a parte il caso di successione di contratti aventi ad oggetto profili e mansioni differenti, si può avere «soluzione di continuità» soltanto quando tra i diversi contratti a termine, o tra l’ultimo contratto a termine e l’assunzione a tempo indeterminato, sia passato un lasso di tempo tale da non potersi considerare l’esperienza professionale maturata nei periodi precedenti utile in funzione della capacità di svolgere nel modo migliore le mansioni assegnate con il contratto a tempo indeterminato” (Cass. n. 1065/2024).
Le censure devono essere pertanto disattese.
8)-Allo stesso modo, con riferimento alla lamentata decisione sulla progressione automatica ai fini dell’inquadramento superiore, riconosciuto dalla corte di merito quale identico effetto della positiva considerazione della anzianità maturata nel periodo di contratti a termine, vanno ribaditi i medesimi principi correttamente adottati dal giudice del merito.
Anche in tal caso la corte territoriale, accertate le medesime mansioni svolte dal dipendente (O. Operatore Unico Aeroportuale), sia con i contratti a termine che a tempo indeterminato, ha ritenuto che l’anzianità maturata fosse da considerare tra le condizioni di lavoro che l’art. 4 richiede siano le medesime tra lavoratori.
9)-Con il terzo motivo si lamenta l’omessa pronuncia sulla domanda, avanzata in via subordinata, sul differente periodo su cui calcolare gli scatti di anzianità e le conseguenti differenze retributive.
Il motivo è inammissibile, intanto, per la carente specificazione circa la riduzione invocata, non espressamente indicata, e, comunque, perché non è configurabile una omessa pronuncia su una domanda risultata incompatibile con il percorso logico -giuridico seguito dal giudice d’appello di riconoscimento di tutti i periodi di lavoro prestato.
Questa Corte ha chiarito che non ricorre il vizio di omessa pronuncia quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto della domanda o eccezione formulata dalla parte (tra le altre Cass. n. 20718/2018; Cass. n. 2919/2017) Conclusivamente il ricorso principale è da rigettare.
Ricorso incidentale
1)-Con il primo motivo il lavoratore ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 7 e dell’art. 6 co.2 ult. capoverso D.lgs n. 81/2015, lamentando la decisione della corte di merito circa l’assenza di una discriminazione tra lavoratori part time e full time quanto alla base di calcolo per il lavoro supplementare.
È sostenuto che erroneamente la corte territoriale ha escluso trattamenti discriminatori dei lavoratori part time cui è richiesto il lavoro supplementare, rispetto ai lavoratori a tempo pieno, ove si consideri, in astratto, quanto viene corrisposto a quest’ultimo per la ordinaria prestazione, rispetto a quanto è invece riconosciuto al lavoratore part time chiamato a svolgere un orario di lavoro eccedente quello contrattuale, nel limite del tempo pieno.
2)- Con il secondo motivo è lamentata la violazione dell’art. 4 della direttiva europea sull’Accordo Quadro per violazione del principio di parità di trattamento in riferimento alla lettura data dalla corte d’appello all’art. 6 del D.lgs n. 81/2015 e all’art. H10 CCNL: mancata equiparazione del trattamento del lavoratore part time, con riguardo al lavoro supplementare, al lavoro full time.
3)- Con il terzo motivo (art. 360 co.1 n. 3 c.p.c.) è denunciata la errata lettura della nozione di retribuzione globale di fatto svota dalla corte di merito ed in particolare la violazione dell’art. H10 del CCNL.
4)- La quarta censura denuncia la violazione dell’art. H17 CCNL per aver, la corte d’appello, ritenuto abolito l’EDR.
5)- Con quinto motivo è lamentata la compensazione delle spese in violazione dell’art. 92 c.p.c.
I primi quattro motivi del ricorso possono essere trattati congiuntamente poiché attengono, sotto vari profili, al tema della valutazione data dalla corte di merito alle diposizioni regolanti il rapporto di lavoro part time e la eventuale prestazione di lavoro supplementare previsto.
È sostenuto che la mancata equiparazione del trattamento del lavoro supplementare rispetto al trattamento previsto per il lavoro a tempo pieno sia in contrasto con il disposto degli artt. 7 e 6 co.2 ult. capoverso del D.lgs n. 81/2015.
Le disposizioni ritenute violate sanciscono, per quel che in questa sede interessa, che “il lavoratore a tempo parziale non deve ricevere un trattamento meno favorevole rispetto al lavoratore a tempo pieno di pari inquadramento” (art. 7) che, “nel rispetto di quanto previsto dai contratti collettivi, il datore di lavoro ha la facoltà di richiedere, entro i limiti dell’orario normale di lavoro di cui all’articolo 3 del decreto legislativo n. 66 del 2003, lo svolgimento di prestazioni supplementari, intendendosi per tali quelle svolte oltre l’orario concordato fra le parti ai sensi dell’articolo 5, comma 2, anche in relazione alle giornate, alle settimane o ai mesi” (art. 6 co.1) ed infine che “il lavoro supplementare è retribuito con una maggiorazione del 15 per cento della retribuzione oraria globale di fatto, comprensiva dell’incidenza della retribuzione delle ore supplementari sugli istituti retributivi indiretti e differiti” (art. 6 co.2 ult.cpv).
A tale quadro normativo deve aggiungersi anche la previsione contrattuale che ribadisce che il lavoro supplementare può essere svolto “fino al raggiungimento del limite settimanale ed annuo del normale orario di lavoro” (art. 28 CCNL) Le censure in esame lamentano la errata lettura effettuata dalla corte territoriale delle disposizioni in questione, e dunque la violazione delle stesse, in quanto ritenuto in sentenza non discriminatorio il trattamento economico adottato nel lavoro supplementare rispetto a quello riconosciuto al lavoro full time.
Deve premettersi che tutte le censure in esame, partendo dal comune presupposto della vigenza del principio secondo cui “il lavoratore a tempo parziale non deve ricevere un trattamento meno favorevole rispetto al lavoratore a tempo pieno di pari inquadramento” (art. 7) fanno riferimento ad ipotesi teorica di deteriore trattamento del lavoratore part time cui sia richiesta una prestazione supplementare senza mai allegare , in concreto, quale sia stato l’effettivo utilizzo supplementare del ricorrente così da rappresentare oggettivamente la reale sovrapposizione tra le due prestazioni asseritamente trattate in modo differente.
I motivi di censura sono dunque diretti a sostenere non già la violazione di disposizioni, nel concreto atteggiarsi del rapporto di lavoro del ricorrente, ma a richiedere una rivalutazione interpretativa di quanto già interpretato dalla corte territoriale.
Si deve osservare che il motivo con cui in sede di legittimità si censura la statuizione del giudice del merito non può essere meramente generico e teorico, ma deve essere calato nella fattispecie concreta, per mettere la Corte in grado di poter comprendere dalla sua sola lettura, l’errore asseritamene compiuto dal giudice di merito e la regola applicabile.
Nel caso in esame le doglianze proposte riguardano l’interpretazione data dalla corte territoriale al disposto normativo e contrattuale e, al fine di provare la fondatezza delle stesse, è fatto riferimento non già a quanto percepito o non percepito dal ricorrente con adeguata ricostruzione dei tempi di lavoro, ma ad un ipotetico “caso” di raffronto lavoro part time/lavoro full time, contenuto in esempi teorici dimostrativi delle incongruenze asserite.
Il ricorso contiene infatti “specchietti” rappresentativi delle differenti ipotesi assunte a confronto.
Si tratta, pertanto, di una richiesta di rivisitazione teorica della interpretazione data dalla corte di merito, cui è opposta una differente ricostruzione giuridica, del tutto sganciata dalle concrete modalità eventualmente caratterizzanti il rapporto di lavoro del ricorrente che, se correttamente dedotte, avrebbe consentito di valutare una eventuale difformità nell’utilizzo del dipendente e nel suo trattamento economico, rispetto al modello legale.
Tale profilo di evidente inammissibilità segna tutte le censure proposte poiché in ciascuna di esse si denuncia la violazione di legge proponendo una interpretazione delle norme invocate contrapposta a quella assunta dalla corte di merito. In tutte le censure, infatti, è carente il dato concreto, rappresentativo delle modalità con cui si è svolto il rapporto di lavoro del ricorrente, che sostanzia l’interesse ad agire in giudizio.
Anche di recente questa Corte ha chiarito che l’interesse ad agire deve essere concreto ed attuale e richiede non solo l’accertamento di una situazione giuridica, ma anche che la parte prospetti l’esigenza di ottenere un risultato utile, giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice, poiché il processo non può essere utilizzato solo in previsione di possibili effetti futuri pregiudizievoli per l’attore, senza che siano ammissibili questioni d’interpretazioni di norme, se non in via incidentale e strumentale alla pronuncia sulla domanda principale di tutela del diritto ed alla prospettazione del risultato utile e concreto che la parte in tal modo intende perseguire (Cass. n. 12733/2024).
I primi quattro motivi devono pertanto essere dichiarati inammissibili come pure il quinto, in quanto, con valutazione non censurabile in sede di legittimità, il giudice ha valutato di compensare le spese del giudizio in ragione della reciproca soccombenza.
Il ricorso incidentale deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità devono essere altresì compensate in ragione della reciproca soccombenza.
Con riferimento al ricorrente principale si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, ove dovuto. Il ricorrente incidentale risulta invece esente.
Non si provvede all’oscuramento dei dati richiesto dal ricorrente, risultando immotivata la richiesta a riguardo avanzata.
Risultando dagli atti che il processo risulta esente, non si applica l’art. 13 comma 1 quater del d.p.r.n.115/2002.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale; dichiara inammissibile il ricorso incidentale.
Spese compensate.
Ai sensi dell’art. 13 comma quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto, con riferimento al ricorrente principale, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, ove dovuto.