Indossare in modo non corretto la mascherina anti-Covid non legittima il licenziamento per giusta causa.

Nota a Cass. 22 ottobre 2024, n. 27335

Francesco Belmonte

La “giusta causa” di licenziamento, così come “il giustificato motivo soggettivo”, integrano una clausola generale che richiede di essere concretizzata dall’interprete tramite valorizzazione dei fattori esterni relativi alla coscienza generale e dei principi tacitamente richiamati dalla norma.

Così si è pronunciata la Corte di Cassazione (22 ottobre 2024, n. 27335) in relazione ad una fattispecie concernente il licenziamento per giusta causa intimato ad un lavoratore che, in violazione delle disposizioni aziendali, non aveva utilizzato correttamente la mascherina durante la pandemia.

La Corte, in linea con le statuizioni dei giudici di secondo grado (App. Milano n. 768/2023), ha ritenuto la sanzione espulsiva comminata al dipendente sproporzionata, in quanto la condotta contestata, sebbene non tipizzata dal contratto collettivo, era espressiva di un valore disciplinare contiguo a quelle previste dall’art. 69 del c.c.n.l. applicato in azienda, suscettibili di sola sanzione conservativa.

In particolare, la condotta del lavoratore, pur non conforme alle misure aziendali, non poteva ritenersi di gravità tale da legittimare il licenziamento, “in quanto non aveva assunto caratteri tali da integrare un serio o quantomeno apprezzabile pregiudizio, né per la salute collettiva né per i beni e l’organizzazione dell’azienda”.

Per la Cassazione, infatti, l’esistenza di una situazione emergenziale legata alla pandemia, “non si configura … quale elemento intrinsecamente idoneo a conferire un connotato di assoluta e necessaria gravità, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, alla condotta del dipendente adottata in violazione delle misure intese alla prevenzione della diffusione del Covid 19 in ambito lavorativo”.

Sulla scorta di tali argomentazioni, i Giudici di legittimità hanno confermano la sentenza della Corte distrettuale che ha applicato al caso di specie la tutela reale c.d. “debole”, ex art. 18, co. 4, Stat. Lav.

Sentenza

CORTE DI CASSAZIONE 22 ottobre 2024, n. 27335

Svolgimento del processo

1.Con ricorso ex lege n. 92/2012 A.A. adiva il giudice del lavoro chiedendo l’accertamento della nullità/illegittimità del licenziamento per giusta causa intimatogli con lettera del 5 maggio 2021 da STAR INDUSTRIALE Srl sulla base di contestazione che ascriveva al dipendente: a) di essersi, il giorno 30 marzo 2021, benché già in precedenza esortato ad un corretto uso della mascherina, in violazione delle disposizioni aziendali finalizzate alla prevenzione del virus Covid 19, avvicinato a due colleghi parlando loro con la mascherina indossata in modo da non coprire il naso e la bocca; b) di avere, il giorno successivo, avvicinato una collega con tono di voce elevato ed atteggiamento intimidatorio, alla presenza di altri dipendenti, ripetendo più volte all’ indirizzo della stessa “Tu non dovevi dire così”, in tal modo alludendo all’episodio verificatosi il giorno prima nel corso del quale la collega in oggetto, a richiesta di altro dipendente della società con qualifica di HR Plant Manager, aveva confermato che il A.A., in violazione delle disposizioni aziendali, non aveva utilizzato correttamente la mascherina rientrante tra le misure di prevenzione del Covid 19; l’atteggiamento del A.A. aveva procurato alla interessata, soggetto diversamente abile, un turbamento.

2. Con l’ordinanza adottata all’esito della fase sommaria il Tribunale, escluso il ricorrere di profili di discriminatorietà o ritorsività del licenziamento, ne dichiarava l’illegittimità con le tutele di cui all’art. 18 comma 4 L. n. 300/1970.

3. La ordinanza era confermata all’esito di opposizione proposta dalla società.

Con la sentenza qui impugnata la Corte d’Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza di primo grado nel resto confermata, ha accertato il diritto di STAR     INDUSTRIALE Srl a detrarre la somma di Euro 2.728,00 dall’importo liquidato a favore del A.A. a titolo di risarcimento del danno.

4. La Corte di appello, per quel che ancora rileva, all’esito del riesame delle emergenze istruttorie, ha mostrato di condividere la valutazione del primo giudice in ordine alla limitata gravità disciplinare del primo episodio; quanto al secondo episodio, ha ritenuto che lo stesso, per come ricostruito sulla base delle emergenze istruttorie, rasentasse l’ irrilevanza disciplinare; ha quindi escluso la riconducibilità delle condotte accertate alle ipotesi tipiche per le quali il contratto collettivo prevedeva la possibilità di licenziamento; ha in particolare escluso che ricorressero gli estremi dell’ insubordinazione e quelli degli atti implicanti dolo o colpa grave con danno dell’azienda, né la grave offesa a compagno di lavoro punita con il licenziamento dall’art. 70 c.c.n.l. Ha quindi osservato che le condotte in questione, pur se non tipizzate dal contratto collettivo, fossero espressive di un valore disciplinare contiguo a quelle che l’art. 69 c.c.n.l. contemplava, come suscettibile di sola sanzione conservativa; in base a tale considerazione ha applicato la tutela di cui all’art. 18 comma 4 L. n. 300/1970 nel testo novellato dalla legge n. 92/2012.

5. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso STAR INDUSTRIALE Srl sulla base di tre motivi;

la parte intimata ha resistito con controricorso.

6. Il PG ha depositato memoria con la quale ha concluso per il rigetto del ricorso.

7. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

1.Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2119 c.c. e degli artt. 1 e 3 L. n. 604/1966 nella parte in cui la sentenza impugnata, nell’attività integrativa delle clausole generali della “giusta causa” e del ” giustificato motivo soggettivo” non aveva mostrato di tener conto del contesto storico-sociale connotato dalla emergenza sanitaria da Covid 19 che all’epoca interessava in particolare la regione Lombardia; tanto avrebbe imposto una valutazione in termini particolarmente rigorosi della violazione delle misure di prevenzione e di contenimento della pandemia adottate dalla società ascritte al dipendente. In questa prospettiva denunzia il mancato adeguamento della clausola generale ex art. 2119 c.c. agli standard conformi alla realtà sociale nella specifica situazione emergenziale.

2. Con il secondo motivo deduce ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. violazione e/o falsa applicazione dei commi 4 e 5 dell’art. 18 L. n. 300/1970, come modificato dalla legge n. 92/2012, censurando la sentenza impugnata per avere applicato la tutela reintegratoria pur in presenza di un fatto sussistente e riconosciuto di rilievo disciplinare, sia pure lieve.

3. Con il terzo motivo deduce ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. violazione e falsa applicazione dell’art.18, comma 4 L. n. 300/1970 come modificato dalla legge n. 92/2012, censurando la sentenza impugnata con riferimento alla tutela reintegratoria applicata; rappresenta che in base al testo novellato dell’art. 18 St. lav. la reintegrazione è possibile solo in presenza di condotte punibili con sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi; la Corte di appello, viceversa, aveva mostrato di sostituire o comunque assimilare il criterio di selezione della tutela applicabile, rappresentato dalla riconducibilità o meno della concreta fattispecie alle previsioni collettive punite con sanzione conservativa, al criterio dell'”analoga gravità”, non contemplato dal legislatore il quale non aveva affatto autorizzato operazioni di “analogia interpretativa” e tanto meno valutazioni comparative tra gravità dei fatti elencati dalle parti sociali e quelli oggetto di contestazione. Secondo parte ricorrente il giudice di appello avrebbe dovuto limitarsi alla verifica della sussumibilità delle condotte accertate nell’ambito delle previsioni collettive, nei limiti della relativa interpretazione e non svolgere alcuna autonoma valutazione attinente al rilievo disciplinare della condotta.

4. Il ricorso è infondato.

4.1. Preliminarmente deve essere respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di autosufficienza, motivata dalla parte controricorrente con la considerazione che gli atti e i documenti posti a base delle censure articolati erano privi dell’indicazione del luogo di relativo reperimento nell’ambito del fascicolo di merito e, inoltre, con la mancata allegazione al ricorso per cassazione del contratto collettivo applicato.

4.2. Invero, quanto al primo motivo di ricorso, assume rilievo assorbente rispetto all’eccezione formulata la considerazione che le censure articolate, come si dirà in prosieguo, si sostanziano nell’espressione di un mero dissenso valutativo in ordine alla rilevanza del contesto epidemiologico nel quale si sono svolti i fatti, contesto che è stato tenuto ben presente dal giudice di appello (v. in particolare pag. 16, terzo capoverso, della sentenza,) il quale con apprezzamento ad esso istituzionalmente devoluto lo ha ritenuto ininfluente in considerazione della modesta gravità della condotta tenuta dal A.A., anche sotto il profilo soggettivo; quanto ai motivi secondo e terzo, se occorre convenire con il rilievo di parte controricorrente in ordine alla mancata allegazione del testo integrale del contratto collettivo, come prescritto a pena di improcedibilità dall’art. 369, comma 2 n. 4 c.p.c. (Cass. n. 7891/2011, Cass. n. 21358/2010, Cass. n. 21366/2010, Cass. Sez. Un. 20075/2010, Cass. n. 15495/2009), nondimeno si rileva che tale carenza non è destinata ad influire sulla procedibilità dei motivi in oggetto (come, del resto, anche sulla relativa ammissibilità); invero, tali motivi pongono una questione di diritto che non concerne l’interpretazione e l’applicazione delle norme collettive, ma investe direttamente l’interpretazione delle disposizioni dell’art. 18 St. Lav. nel testo risultante dalle modifiche introdotte dalla L. n. 92/2012, in ordine ai presupposti per l’applicabilità della tutela reintegratoria in presenza di fatto di rilievo disciplinare del quale sia stato accertato l’effettivo verificarsi. Le doglianze di parte ricorrente non possono quindi dirsi propriamente fondate sulle disposizioni del contratto collettivo in quanto pongono un tema più generale che concerne la possibilità per il giudice di merito di collegare la reintegra ex art. 18 comma 4 L. n. 92/2012 oltre che a fattispecie sussumibili in via interpretativa nell’ambito delle ipotesi che le parti collettive hanno inteso punire con sanzione conservativa, anche a fattispecie di “gravità omologabile” a quelle esplicitamente menzionate nel catalogo esemplificativo dettato dalle parti stipulanti.

5. Tanto premesso, venendo all’esame dei singoli motivi, il primo motivo di ricorso deve essere respinto.

5.1. Per consolidata giurisprudenza di questa Corte, la “giusta causa” di licenziamento ex art. 2119 cod. civ., così come ” il giustificato motivo soggettivo” ex artt. 1 e 3 L. n. 604/1966, integrano una clausola generale, che richiede di essere concretizzata dall’ interprete tramite valorizzazione dei fattori esterni relativi alla coscienza generale e dei principi tacitamente richiamati dalla norma, quindi mediante specificazioni che hanno natura giuridica e la cui disapplicazione è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l’accertamento della ricorrenza concreta degli elementi del parametro normativo si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in cassazione se privo di errori logici e giuridici; la sussunzione della fattispecie concreta nella clausola elastica della giusta causa secondo “standards” conformi ai valori dell’ordinamento, che trovino conferma nella realtà sociale, è dunque sindacabile in sede di legittimità con riguardo alla pertinenza e coerenza del giudizio operato in relazione ai detti ” standards”) quali specificazioni del parametro normativo avente natura giuridica e del conseguente controllo nomofilattico affidato alla Corte di cassazione (v. tra le altre, Cass. n. 7029/2023, Cass. n. 12789/2022, Cass. n. 17321/2020, Cass. n. 14504/2019, Cass. n. 7426/2018, Cass. n. 31155/2018, Cass. n. 25144/2010).

5.2. Nella operazione sussuntiva della concreta fattispecie da parte del giudice del reclamo non è dato rinvenire alcuna violazione del parametro normativo della “giusta causa” o del ” giustificato motivo soggettivo” quale ricostruibile sulla base dei principi generali dell’ordinamento e della coscienza sociale in un determinato momento storico. L’esistenza di una situazione emergenziale legata alla pandemia da Covid 19, peraltro tenuta ben presente dalla Corte di merito, non si configura, infatti, alla stregua di detti principi, quale elemento intrinsecamente idoneo a conferire un connotato di assoluta e necessaria gravità, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, alla condotta del dipendente adottata in violazione delle misure intese alla prevenzione della diffusione del Covid 19 in ambito lavorativo.

Invero, costituisce acquisizione consolidata nell’ambito del diritto lato sensu punitivo l’esigenza di graduazione della sanzione in funzione dell’ intensità dell’elemento soggettivo ed in ragione delle sua effettiva idoneità lesiva rispetto al bene tutelato dalla prescrizione violata; la decisione della Corte di merito, che con apprezzamento di fatto ad essa istituzionalmente devoluto, ha fondato il giudizio di gravità della condotta tenendo conto della minore intensità dell’elemento soggettivo derivante dal carattere sostanzialmente fortuito dell’ incontro del A.A. con i colleghi e della durata temporale molto limitata dello stesso e del difetto di apprezzabile lesione dei beni protetti, risulta in linea con gli standard presenti nell’ordinamento e nella coscienza sociale e sottrae l’attività integrativa del precetto di attività integrativa del precetto di legge alle censure formulate.

6. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso, esaminati congiuntamente per connessione, sono anch’essi da respingere.

6.1. Le censure articolate muovono infatti da un’inesatta ricostruzione del ragionamento decisorio alla base della conferma dell’applicazione della tutela ex art. 18 comma 4 L. n. 300 del 1970. A riguardo occorre sgomberare il campo dall’equivoco verosimilmente generato dall’affermazione della sentenza impugnata secondo la quale le condotte in questione erano “espressive di un valore disciplinare contiguo a quelle contemplate dall’art. 69 CCNL”, punite con sanzione conservativa, di talché anche per esse doveva valere l’applicazione della tutela reintegratoria; il significato di tale espressione, peraltro mutuata da Cass. 13063/2022, si chiarisce, infatti, tenendo presente il concreto contesto argomentativo nel quale tale affermazione è inserita, rivelatore dell’adesione da parte della Corte di merito ad un’opzione ermeneutica che si colloca all’ interno del perimetro del sindacato giurisdizionale quale ridefinito dal recente approdo di Cass. n. 13063/2022.

6.2. È noto che con quest’ultima decisione la S.C., in funzione dichiaratamente chiarificatrice del precedente indirizzo di legittimità (v. per tutte, Cass. n. 12365/2019), ha statuito che il giudice può sussumere la condotta addebitata al lavoratore, e in concreto accertata giudizialmente, nella previsione contrattuale che, con clausola generale ed elastica, punisca l’ illecito con sanzione conservativa; ha chiarito che detta operazione di interpretazione e sussunzioni non trasmodava nel giudizio di proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato, restando nei limiti dell’attuazione del principio di proporzionalità, come eseguito dalle parti sociali attraverso la previsione del contratto collettivo (Cass. n. 11665/2022). In base tale recente arresto (seguito da giurisprudenza conforme, v., tra le altre, Cass. n. 13063/2022 Cass. n. 20780/2022,) al giudice è quindi demandato di interpretare la fonte negoziale e verificare la sussumibilità del fatto contestato nella previsione collettiva anche attraverso una valutazione di maggiore o minore gravità della condotta.

Tale operazione non si esaurisce in una generica valutazione di proporzionalità della stessa rispetto alla sanzione irrogata, ma realizza una vera e propria sussunzione dei fatti contestati al dipendente nell’una o nell’altra fattispecie contemplata dalla disciplina collettiva. E infatti la tutela reintegratoria attenuata dettata dall’art. 18 comma 4 dello statuto dei lavoratori riformulato è applicabile in presenza di una valutazione di non proporzionalità attraverso il parametro della riconducibilità della condotta accertata ad una ipotesi punita con sanzione conservativa dalla contrattazione collettiva (cfr. Cass. n. 32500 del 2018 cit.).

6.3. La tecnica dell’individuazione di fattispecie generali poi specificate in via esemplificativa attraverso l’individuazione di casi esplicativi, o ancora la catalogazione di una serie di condotte tipizzate accompagnata da una previsione più generale e di chiusura, non preclude quindi al giudice di svolgere quell’attività di interpretazione integrativa del precetto normativo sempre al fine di individuare quale sia la tutela in concreto applicabile. L’utilizzazione nei contratti collettivi di norme elastiche o di previsioni di chiusura è connessa all’ impossibilità pratica di tipizzare tutte le condotte di rilievo disciplinare oltre che all’indeterminatezza degli obblighi che fanno capo al lavoratore.

6.4. Dalle considerazioni che precedono discende che l’intervento chiarificatore del giudice di legittimità è stato costruito come funzionale alla piena realizzazione della volontà delle parti collettive, nella consapevolezza della obiettiva difficoltà per le parti stipulanti di procedere alla puntuale e analitica individuazione di tutte le condotte di rilievo disciplinare ritenute sanzionabili solo con misura conservativa.

6.5. Esterna all’ambito del sindacato consentito rimane, viceversa, la possibilità del ricorso all’analogia nell’ individuazione delle fattispecie sanzionabili in via conservativa e ciò in ragione di una delle rationes ispiratrici della modifica dell’originario sistema di tutela delineato dall’art. 18 St. lav., rappresentato per il datore di lavoro della conoscibilità e prevedibilità delle conseguenze connesse ad un licenziamento illegittimo.

6.6. A tale indirizzo, espressamente richiamato, e ritenuto ” condivisibile”, il giudice del reclamo ha fatto specifico riferimento, dando atto che le condotte del lavoratore, pur non tipizzate, erano comunque riconducibili all’ambito dell’art. 69 c.c.n.l. il quale conteneva una elencazione dichiaratamente esemplificativa dei comportamenti puniti con sanzione conservativa. In coerenza con tale premessa, pur senza esplicitarlo in termini palesi, la Corte di merito, dopo avere trascritto la norma collettiva dell’art. 69 c.c.n.l., ha mostrato di ricondurre il primo episodio oggetto di addebito all’ ipotesi di cui al punto 13 dell’art. 69 cit., concernente il lavoratore “che in qualunque modo trasgredisca alle disposizioni del presente contratto o del regolamento interno dell’azienda o che commetta qualunque atto che porti pregiudizio alla morale, all’ igiene, alla disciplina, sempreché gli atti relativi non debbano essere puniti con punizione più grave in relazione all’entità o alla gravità o alla abituale recidività dell’infrazione …”. Tanto emerge dal percorso argomentativo seguito dalla Corte di merito nel pervenire alla conclusione qui contestata, percorso che rispetta puntualmente lo schema della previsione collettiva, secondo quanto evincibile dagli specifici profili considerati in sentenza, vale a dire la circostanza che la condotta costituiva inadempimento degli obblighi finalizzati alle misure di prevenzione da Covid 19 (quindi d’una specifica disciplina aziendale), inadempimento che però – considerata anche l’assenza di precedenti disciplinari a carico del lavoratore) non aveva assunto caratteri tali da integrare un serio o quantomeno apprezzabile pregiudizio, né per la salute collettiva né per i beni e l’organizzazione dell’azienda.

6.7. Tanto premesso, si osserva che alla luce del ragionamento decisorio seguito dalla Corte distrettuale risultano privi di pregio sia il secondo che il terzo motivo di ricorso; il secondo motivo, in quanto la Corte di merito non ha collegato la reintegrazione al difetto di gravità tout court dell’addebito, atteso che l’ individuazione della tutela in concreto applicabile è stata mediata dalla ricostruzione della volontà delle parti collettive in punto di conseguenze connesse all’ intensità della rilevanza disciplinare della condotta contestata; restano inoltre inammissibili, in quanto espressione di mero dissenso valutativo, le deduzioni di parte ricorrente intese a dimostrare un particolare disvalore della condotta sulla base di circostanze fattuali (v. in particolare ricorso, pag. 11); quanto al terzo motivo di ricorso, come sopra evidenziato, l’applicazione della tutela reintegratoria non è frutto di impropria “assimilazione”, espressione di ragionamento per analogia, alle infrazioni previste dal contratto collettivo di fattispecie ad esso estranee, quanto della ricostruzione della volontà delle parti collettive alla luce del catalogo dichiaratamente esemplificativo delle previsioni contenute nell’art. 69 c.c.n.l. Ed è proprio il carattere esemplificativo, e quindi volutamente non esaustivo di tale catalogo che imponeva all’interprete, come avvenuto, di ricercare spazi di integrazione della norma non resi espliciti dalle parti collettive, oltre le ipotesi specificamente previste.

6.8. Infine, quanto al secondo episodio, per come concretamente ricostruito dal giudice di merito, non si ravvisano, né la sentenza li specifica, elementi che consentano di conferire allo stesso rilievo disciplinare; invero la ricostruzione fattuale alla base del decisum, che aveva accertato che si era in presenza di una “agitata – ma urbana -conversazione”, non coincide con quella oggetto di addebito di cui alla lettera trascritta in sentenza e, soprattutto, non consente di riconoscere nello svolgersi della vicenda alcun connotato di rilievo disciplinare; in conseguenza la concreta fattispecie ricade nell’ambito della ” insussistenza del fatto” che giustifica l’applicazione della tutela reintegratoria cd. attenuata (Cass. n. 30469/2023, Cass. n. 12174/2019).

7. In base alle considerazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato.

8. Al rigetto del ricorso consegue il regolamento secondo soccombenza delle spese di lite e la condanna di parte ricorrente al raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma quater D.P.R. n. 115/2002, nella sussistenza dei relativi presupposti processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 5.500,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge, con distrazione.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della società ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Licenziamento per violazione delle misure di prevenzione Covid-19
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