Il licenziamento di un dirigente di banca in violazione del patto di stabilità è illegittimo e dà diritto all’indennità supplementare di cui al ccnl di settore. L’interpretazione dell’accordo collettivo fornita dal giudice non è sindacabile in sede di legittimità.

Nota a Cass. (ord.) 20 novembre 2024, n. 29888

Fabrizio Girolami

Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo (a seguito di fusione societaria) di un dirigente di banca di credito cooperativo – intimato in violazione di un accordo sindacale di mantenimento in servizio fino all’accesso a un Fondo di Solidarietà (c.d. “patto di stabilità”) – è illegittimo e dà diritto alla percezione, da parte del dirigente licenziato, della “indennità supplementare” prevista dalla contrattazione collettiva di settore.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con ordinanza n. 29888 del 20.11.2024, in relazione al licenziamento per giustificato motivo oggettivo di un dirigente (direttore commerciale) intimato dalla Banca di Credito Cooperativo di Venezia, Padova e Rovigo – Banca Annia, in violazione di un accordo collettivo stipulato dalla medesima Banca con i sindacati in data 23.12.2016, al fine di gestire le ricadute occupazionali conseguenti a seguito di procedure di fusione. Detto accordo prevedeva l’impegno della Banca – a favore dei lavoratori in esubero (incluso il dirigente de quo) aventi le condizioni per accedere a un Fondo di Solidarietà (ex L. 28.6.2012, n. 92) – a mantenerli in servizio fino all’accesso al Fondo, per poi procedere alla risoluzione consensuale del rapporto innanzi all’apposito Organo.

La Banca, in violazione del suddetto accordo, aveva, in data 16.1.2017, proceduto autonomamente a intimare al dirigente il licenziamento per “giustificato motivo oggettivo”, evidenziando la sussistenza di una “ragione oggettiva”, ossia la presenza – nell’ambito della nuova organizzazione conseguente alla fusione – di altro direttore commerciale avente maggiore anzianità di servizio (sicché la banca, non avendo necessità di due direttori commerciali, aveva soppresso la posizione del dirigente licenziato).

La Corte d’Appello di Venezia (sentenza 26.11.2021, n. 672), sulla base del contenuto del suddetto accordo, aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento, in quanto contrario al principio di “correttezza” e “buona fede” ex art. 1375 c.c. In particolare, si trattava di un inadempimento contrattuale “incidente sulla validità del licenziamento”, per cui l’atto, pur mantenendo la propria efficacia risolutiva del rapporto, a fronte dell’obbligo di procedimentalizzazione assunto con le parti sociali, era illegittimo “in quanto contrario all’accordo collettivo che imponeva alla società, a fronte dell’esercizio del diritto potestativo del dipendente di accedere al fondo, di non recedere”. Per l’effetto, la Corte aveva accordato al dirigente la “tutela indennitaria” prevista per le ipotesi di “ingiustificatezza” del recesso ex art. 54, punto 16, del c.c.n.l. per i dirigenti delle banche di credito cooperativo del 22.5.2008 (parametrata nella misura massima di 22 mensilità).

Il dirigente aveva proposto ricorso per cassazione, ritenendo che – contrariamente a quanto ritenuto dal giudice d’appello – il licenziamento intimato dalla Banca dovesse essere ritenuto “nullo” in quanto fondato su un “motivo illecito unico e determinante” (ex art. 1345 c.c.), in cui l’intento ritorsivo datoriale (motivo illecito) sotteso al recesso sarebbe consistito “nell’intento di evitare di sostenere gli oneri economici” derivanti dall’accesso del dirigente al Fondo di Solidarietà, con conseguente diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro (ex art. 18, commi 4 e 7, L. n. 300/1970).

La Cassazione ha confermato la sentenza d’appello, rigettando il ricorso del dirigente, osservando, in particolare, che la valutazione, nella concretezza della vicenda storica, se il licenziamento sia stato o meno intimato “per motivo di ritorsione” costituisce una questione di fatto (“quaestio facti”), come tale “devoluta all’apprezzamento dei giudici del merito, non suscettibile di riesame in cassazione.

Inoltre, la Corte ricorda che l’interpretazione che il giudice di merito dà al testo di un accordo collettivo non deve essere “l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicché, quando di un testo negoziale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito – alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito – dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra”.

Sentenza

CORTE DI CASSAZIONE  20 novembre 2024, n. 29888

Dirigente – Licenziamento -Accordo sindacale di mantenimento in servizio fino all’accesso al Fondo – Inadempimento – Indennità supplementare – Riconoscimento – Nullità del recesso – Motivo illecito – Esclusione

Svolgimento del processo

1.la Corte di Appello di Venezia, con la sentenza impugnata, nell’ambito di un procedimento ex  lege n. 92 del 2012 , ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato dalla società BANCA DI CREDITO COOPERATIVO DI VENEZIA, PADOVA E ROVIGO – BANCA ANNIA, a A.A., direttore commerciale, e gli accordava la tutela indennitaria prevista dalla contrattazione collettiva parametrata nella misura massima di 22 mensilità;

2. la Corte territoriale ha condiviso con il primo giudice l’esclusione del motivo illecito che avrebbe determinato il recesso, in quanto risultava provata la ragione oggettiva consistente nella presenza, in seguito ad una fusione, di un altro direttore commerciale avente maggiore anzianità; ha, tuttavia, ritenuto l’inadempimento della Banca al verbale di accordo sindacale interaziendale sottoscritto in data 23 dicembre 2016 con cui si era impegnata con le parti sociali in favore dei soggetti che, come il A.A., si trovavano nelle condizioni di accedere ad un fondo di solidarietà, a tenerli in servizio fino all’accesso al fondo, per poi procedere alla risoluzione consensuale del rapporto innanzi all’organo individuato dall’accordo stesso; invece, la Banca aveva deciso di procedere autonomamente alla risoluzione del rapporto col A.A. in data 16 gennaio 2017; in particolare, la Corte ha disatteso l’assunto della società secondo cui l’accordo avrebbe assunto natura cogente soltanto nell’ipotesi di licenziamento collettivo; quanto alla tutela indennitaria riconosciuta, di cui all’art. 54 punto 16 CCNL 22.5.08, la Corte ha respinto l’impugnazione della Banca che aveva contestato al primo giudice la violazione dell’ art. 112  c.p.c.; ha argomentato: “il reclamante in via principale aveva concluso per la nullità del licenziamento; tuttavia aveva formulato conclusioni in via subordinata che comprendevano (in particolare settimo comma del 18) anche l’ipotesi della tutela risarcitoria in ipotesi di non manifesta insussistenza del motivo oggettivo. Inoltre, in sede di opposizione a fronte del sollecito da parte del giudicante, con le note del 12 settembre 2018, A.A. aveva evidenziato di essere consapevole che l’eventuale rigetto della domanda di nullità avrebbe comportato un mutamento del rito da rito Fornero a rito ordinario, al pari di tutti i dirigenti, specificando che le conclusioni rassegnate in via subordinata dovevano essere intese come richiesta di tutela risarcitoria. Nella memoria citata infatti con riferimento alle conclusioni per cui è causa precisava essere state proposte: “… per mero scrupolo difensivo, a rafforzare la conclusione principale, pur nella consapevolezza che l’eventuale (denegato) suo accoglimento avrebbe comportato un mutamento del rito, avuto riguardo alla qualifica di dirigente del ricorrente” (cfr. pag. 4 note difensive del 12.9.18). Pertanto, non può ritenersi che le conclusioni formulate in via subordinata debbano essere intese come esclusiva volontà di ottenere l’applicazione dei rimedi previsti dal rito Fornero per il lavoratore subordinato, né come rinuncia alla tutela contrattuale risarcitoria cui come dirigente avrebbe avuto diritto in ipotesi di illegittimità del licenziamento e non nullità con il mutamento del rito (cfr. sul punto Cass. 148/20 che distingue le fattispecie in termini di effetti giuridici dell’atto risolutorio). La domanda seppure in modo implicito era stata formulata; non sussiste quindi il vizio di nullità lamentato dalla reclamante principale poiché l’atto comprendeva anche la richiesta in oggetto”;

3. per la cassazione di tale sentenza, ha proposto ricorso, in via principale, il A.A. con unico articolato motivo; ha resistito la Banca in epigrafe con controricorso, contenente ricorso incidentale affidato a due motivi; all’impugnazione incidentale ha resistito con controricorso il lavoratore; la società ha anche comunicato memoria; all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;

Motivi della decisione

1.col motivo di ricorso principale il dirigente denuncia: “Violazione e falsa applicazione degli artt. 2118, 1345 c.c. e 3 Legge n. 604 del 1966, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per avere la sentenza di appello ritenuto insussistente la nullità del licenziamento intimato dalla Banca a A.A. per motivo illecito determinante”; si insiste nel sostenere il motivo illecito sotteso al recesso datoriale, “consistente nell’intento di evitare di sostenere gli oneri economici derivanti dall’accesso di A.A. al Fondo di Solidarietà”, la censura è da respingere; per consolidata giurisprudenza “il valutare nella concretezza della vicenda storica se il licenziamento sia stato o meno intimato per motivo di ritorsione costituisce una quaestio facti, come tale devoluta all’apprezzamento dei giudici del merito, con un accertamento di fatto non suscettibile di riesame innanzi a (questa Corte di legittimità” (cfr. Cass. n. 26399 del 2022; Cass. n. 6838 del 2023; Cass. n. 2671 del 2024; Cass. n. 12899 del 2024; Cass. n. 18099 del 2024; ai quali precedenti si rinvia per ogni ulteriore aspetto anche ai sensi dell’art. 118  disp. att. c.p.c.); sicuramente la censura non può essere veicolata attraverso la prospettazione del vizio di violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., che presuppone una ricostruzione dei fatti storici incontestata, mentre nella specie il ricorrente principale pretende una diversa valutazione delle risultanze probatorie (cfr., assai di recente, Cass. n. 26896e n. 26918 del 2024); più volte le Sezioni unite di questa Corte hanno ribadito l’inammissibilità di censure che “sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione e falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, degradano in realtà verso l’inammissibile richiesta a questa Corte di una rivalutazione dei fatti storici da cui è originata l’azione”, così travalicando “dal modello legale di denuncia di un vizio riconducibile all’art. 360  cod. proc. civ., perché pone a suo presupposto una diversa ricostruzione del merito degli accadimenti” (cfr. Cass. SS.UU. n. 34476 del 2019; conf. Cass. SS.UU. n. 33373 del 2019 ; Cass. SS.UU. n. 25950 del 2020); inoltre, il motivo di doglianza neanche confuta adeguatamente la ritenuta sussistenza – da parte della Corte territoriale – di una idonea giustificazione del recesso, il che esclude in radice la ricorrenza di un motivo illecito unico e determinante; 2. con il primo motivo del ricorso incidentale la Banca denuncia: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 22 dell’Accordo collettivo nazionale di lavoro 21.12.2012 per i A.A. direttivi, violazione e falsa applicazione degli articoli 1362  e 1363  c.c., in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.”; si eccepisce che “la tesi accolta dalla sentenza impugnata (sulla asserita autolimitazione della Banca anche con riguardo ai licenziamenti individuali), da un lato viola il contratto collettivo nazionale del 2012 (e ne dà falsa applicazione) nella parte in cui (art. 22) si riferisce, come campo di applicazione, ai licenziamenti collettivi, con esclusione di quelli individuali; dall’altro lato applica malamente i criteri di interpretazione contrattuale all’Accordo decentrato interaziendale del dicembre del 2016; e ciò sia sotto il profilo dell’interpretazione letterale (del tutto chiara nel richiamare, nell’intestazione dell’accordo, la “Prevenzione dei conflitti collettivi”), sia sotto quello dell’interpretazione complessiva delle clausole, tutte regolanti fenomeno di esubero collettivi”; con il secondo mezzo di gravame incidentale, proposto in via subordinata, si deduce: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 112  c.p.c.”; si contesta la condanna a corrispondere al signor A.A. l’indennità supplementare prevista dall’art. 54 CCNL (per i dirigenti), che questi non avrebbe chiesto nel giudizio, con conseguente violazione del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunziato;

2. tale motivo non può trovare accoglimento; infatti, esso si traduce inevitabilmente nella proposta di una diversa interpretazione di una volontà negoziale espressa nell’accordo sindacale interaziendale del 23 dicembre 2016; infatti, l’accertamento della volontà negoziale si sostanzia in un accertamento di fatto (tra molte, Cass. n. 9070 del 2013; Cass. n. 12360 del 2014), riservato all’esclusiva competenza del giudice del merito (cfr. Cass. n. 17067 del 2007; Cass. n. 11756 del 2006; Cass. n. 22318 del 2023); tali valutazioni del giudice di merito in proposito soggiacciono, nel giudizio di cassazione, ad un sindacato limitato alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale ed al controllo della sussistenza di una motivazione logica e coerente (ex plurimis, Cass. n. 21576 del 2019; Cass. n. 20634 del 2018; Cass. n. 4851 del 2009; Cass. n. 3187 del 2009; Cass. n. 15339 del 2008; Cass. n. 11756 del 2006; Cass. n. 6724 del 2003; Cass. n. 17427 del 2003) e, nel vigore del novellato art. 360  c.p.c., di una motivazione che valichi la soglia del cd. “minimum costituzionale”; inoltre, per risalente insegnamento, sia la denuncia della violazione delle regole di ermeneutica, sia la denuncia di vizi motivazionali esigono una specifica indicazione – ossia la precisazione del modo attraverso il quale si è realizzata l’anzidetta violazione e delle ragioni della insanabile contraddittorietà del ragionamento del giudice di merito – non potendo le censure risolversi, in contrasto con l’interpretazione loro attribuita, nella mera contrapposizione di una interpretazione diversa da quella criticata (tra le innumerevoli: Cass. n. 18375 del 2006; Cass. n. 12468 del 2004; Cass. n. 22979 del 2004, Cass. n. 7740 del 2003; Cass. n. 12366 del 2002; Cass. n. 11053 del 2000); nella specie, al cospetto dell’approdo esegetico cui è pervenuta la Corte distrettuale parte ricorrente, nella sostanza, si limita a rivendicare un’alternativa interpretazione plausibile più favorevole in ordine al verbale di accordo del 2016, in connessione con la disciplina collettiva nazionale; ma per sottrarsi al sindacato di legittimità quella data dal giudice al testo non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicché, quando di un testo negoziale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito – alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito – dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (Cass. n. 10131 del 2006); infatti il ricorso per cassazione – riconducibile, in linea generale, al modello dell’argomentazione di carattere confutativo – là dove censuri l’interpretazione del negozio accolta dalla sentenza impugnata -non può assumere tutti i contenuti di cui quel modello è suscettibile, dovendo limitarsi ad evidenziare l’invalidità dell’interpretazione adottata attraverso l’allegazione (con relativa dimostrazione) dell’inesistenza o dell’assoluta inadeguatezza dei dati tenuti presenti dal giudice di merito o anche solo delle regole giustificative (anche implicite) che da quei dati hanno condotto alla conclusione accolta, e non potendo, invece, affidarsi alla mera contrapposizione di un risultato diverso sulla base di dati asseritamente più significativi o di regole di giustificazione prospettate come più congrue (in termini: Cass. n. 18375 del 2006);

3. il Collegio reputa, poi, infondato il secondo motivo articolato in via subordinata nel ricorso incidentale della società; il vizio di ultra ed extra petizione per violazione del canone di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ricorre solo quando il giudice pronunzia oltre i limiti delle domande e delle eccezioni non rilevabili d’ufficio fatte valere dalle parti, ovvero su questioni estranee all’oggetto del giudizio, attribuendo un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato, mentre al di fuori di tali specifiche previsioni il giudice, nell’esercizio della sua potestas decidendi, resta libero di individuare l’esatta natura dell’azione e di porre a base della pronunzia adottata considerazioni di diritto diverse da quelle all’uopo prospettate, in quanto ciò attiene all’obbligo inerente all’esatta osservanza della legge, che il giudice deve conoscere e applicare (art. 113  c.p.c.); avuto specifico riguardo alle circostanze di fatto che possono essere poste a fondamento di una domanda o di una eccezione, affinché la modifica o la sostituzione di tali fatti possa concretare la violazione dell’art. 112  c.p.c. è necessario che i medesimi abbiano natura costitutiva della fattispecie integrante la domanda o l’eccezione; di talché introducendo nel processo un nuovo tema di indagine e di decisione, si altera l’oggetto sostanziale dell’azione o dell’eccezione ed i termini della controversia; nella specie non è dubbio che il Vitale ha agito per ottenere l’accertamento dell’illegittimità del recesso dal rapporto di lavoro operato dalla Banca; circa le conseguenze patrimoniali derivanti dalla accertata illegittimità, i giudici di entrambi i gradi di merito non hanno attribuito un bene della vita diverso da quello richiesto con la domanda, atteso che hanno semplicemente liquidato il dovuto non in base alla tutela risarcitoria dell’art. 18 St. lav.  prevista per le altre categorie di lavoratori subordinati, ma in considerazione della qualificazione dirigenziale del rapporto di lavoro in contesa; diversamente argomentando, ove si fosse ritenuto che, nella presente controversia, il dirigente non aveva proposto domanda di tutela per l’inadempimento datoriale derivante dall’illegittimo recesso, avrebbe dovuto azionare una nuova domanda, con ingiustificato aggravio derivante dalla duplicazione dei giudizi; 5. pertanto, entrambi i ricorsi devono essere respinti, con conseguente compensazione delle spese in ragione della reciproca soccombenza; ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre altresì dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle parti ricorrenti, sia in via principale che incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale e incidentale, a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale e compensa le spese.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002  dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e della ricorrente in via incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso principale e incidentale a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Licenziamento di dirigente e interpretazione dell’accordo sindacale di stabilità occupazionale
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