Per beneficiare del regime agevolativo degli impatriati è necessario un periodo minimo di precedente residenza all’estero di sei (o sette) anni in tutti i casi in cui l’impatriato svolga in Italia un’attività di lavoro autonomo che veda come committente l’ex datore di lavoro estero.

Nota a AdE Risposta 7 febbraio 2025, n. 22

Francesco Palladino

Con la Risposta ad interpello 7 febbraio 2025, n. 22, l’Agenzia delle Entrate è intervenuta, per la prima volta, sulla novella disposizione recata dall’art. 5, co. 1 lett. b) del D.lgs. n. 209/2023 che prevede, quale condizione per beneficiare del regime degli impatriati, un allungamento del periodo minimo di pregressa permanenza all’estero del lavoratore (dagli ordinari 3 e fino a 7 periodi d’imposta) nel caso in cui il lavoratore, una volta rientrato in Italia, presti la sua attività lavorativa in favore dello stesso soggetto presso il quale era impiegato all’estero prima del trasferimento (oppure in favore di un soggetto appartenente al suo stesso gruppo).

In tale ipotesi, infatti, il periodo minimo di residenza estera pregressa (ordinariamente, 3 periodi d’imposta) è incrementato:

– a 6 periodi d’imposta, se il lavoratore non è stato in precedenza impiegato in Italia in favore dello stesso soggetto o di un soggetto dello stesso gruppo;

– a 7 periodi d’imposta, se il lavoratore, prima del suo trasferimento all’estero, era già stato impiegato in Italia in favore dello stesso soggetto o di un soggetto dello stesso gruppo.

La questione esaminata dall’Ufficio riguardava una persona fisica di nazionalità francese che aveva lavorato in Italia sino al marzo del 2018 e che si era poi trasferita in Svizzera, lavorando a Zurigo con contratto di lavoro subordinato, dal 2018 sino a giugno del 2024. La persona in questione trasferiva la propria residenza in Italia da agosto 2024 stipulando, da un lato, un contratto di lavoro dipendente e, dall’altro, un contratto di consulenza con la stessa società di Zurigo (unico committente dell’istante).

La domanda principale verteva proprio sulla possibilità di accedere alle agevolazioni di cui al regime degli impatriati alla luce della circostanza per cui, in sostanza, il rapporto di lavoro continuava ad essere intrattenuto con la medesima controparte estera, pur se in precedenza sotto forma di rapporto di lavoro subordinato e ora con contratto di consulenza.

L’Amministrazione finanziaria ha ritenuto possibile la fruizione del regime degli impatriati nel caso in esame in considerazione del fatto che l’istante risultava residente all’estero almeno nei 6 anni antecedenti l’ingresso al regime. L’Agenzia delle entrate ha altresì chiarito che la nuova norma non specifica la tipologia di rapporto contrattuale che deve intercorrere tra il contribuente ed il datore di lavoro al fine dell’allungamento del periodo di residenza pregressa. Di conseguenza, il periodo minimo di pregressa permanenza all’estero è aumentato a 6 o 7 anni in tutte le ipotesi in cui il contribuente al rientro in Italia presti l’attività lavorativa per il medesimo soggetto (datore/gruppo) per il quale ha lavorato all’estero, indipendentemente dal fatto che abbia collaborato con questo a titolo di lavoro autonomo o di lavoro dipendente (o sulla base di figure assimilate alle precedenti).

Nel caso in esame, quindi, poiché, nel 2024, l’istante possedeva astrattamente i requisiti per l’applicazione del regime degli impatriati, risultando residente all’estero nei periodi d’imposta dal 2018 al 2023, l’Agenzia delle entrate ha ritenuto che nei confronti del contribuente potesse trovare applicazione il regime agevolativo di cui all’art. 5 del D.lgs. n. 209/2023.

Sei anni di residenza pregressa anche per il rimpatriato autonomo
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