La fruizione, da parte del lavoratore, di permessi (ex lege n. 104/1992) in attività diverse dall’assistenza al familiare disabile, con violazione della finalità per la quale il beneficio è concesso, legittima il controllo da parte di investigatori privati ed il licenziamento per giusta causa.

Nota a Cass. (ord.) 30 gennaio 2025, n. 2157

Alfonso Tagliamonte

In tema di condotte abusive di lavoratori che fruiscano di sospensioni autorizzate del rapporto per l’assistenza o la cura di soggetti protetti ai sensi della L. n. 104/1992 (v. Cass. n. 6468/2024), in base all’orientamento giurisprudenziale consolidato, l’utilizzo, da parte del lavoratore, di permessi (ex lege n. 104/1992, cit.) in attività diverse dall’assistenza al familiare disabile, con violazione della finalità per la quale il beneficio è concesso, può costituire giusta causa di licenziamento (v. Cass. n. 21529/2019 e Cass. n. 23891/2018, ambedue in q. sito con nota di F. DURVAL; Cass. n. 5574/2016, annotata in q. sito da F. BELMONTE).

Lo ribadisce la Corte di Cassazione (ord.) 30 gennaio 2025, n. 2157, la quale chiarisce che:

1)  in coerenza con la ratio del beneficio previsto dalla legge in questione, “l’assenza dal lavoro per la fruizione del permesso deve porsi in relazione diretta con l’esigenza per il cui soddisfacimento il diritto stesso è riconosciuto, ossia l’assistenza al disabile”;

2) la norma non consente di utilizzare il permesso per esigenze diverse da quelle proprie della funzione cui la stessa è preordinata: “il beneficio comporta un sacrificio organizzativo per il datore di lavoro, giustificabile solo in presenza di esigenze riconosciute dal legislatore (e dalla coscienza sociale) come meritevoli di superiore tutela; ove il nesso causale tra assenza dal lavoro ed assistenza al disabile difetti non può riconoscersi un uso del diritto coerente con la sua funzione e dunque si è in presenza di un uso improprio ovvero di un abuso del diritto (cfr. Cass. n. 17968/2016, in q. sito con nota di F. BELMONTE), o, secondo altra prospettiva, di una grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede sia nei confronti del datore di lavoro (che sopporta modifiche organizzative per esigenze di ordine generale) che dell’Ente assicurativo” (v. Cass. n. 9217/2016, annotata in q. sito da K. PUNTILLO);

3) elemento essenziale della fattispecie (di cui all’art. 33, co. 3, l. cit.), è l’esistenza di un nesso causale rigoroso e diretto tra la fruizione del permesso e l’assistenza alla persona disabile. Tale nesso va inteso “non in senso così rigido da imporre al lavoratore il sacrificio, in correlazione col permesso, delle proprie esigenze personali o familiari in senso lato, ma piuttosto quale chiara ed inequivoca funzionalizzazione del tempo liberato dall’obbligo della prestazione di lavoro alla preminente soddisfazione dei bisogni della persona disabile … Ciò, senza automatismi o rigide misurazioni dei segmenti temporali dedicati all’assistenza in relazione all’orario di lavoro, purché risulti non solo non tradita (secondo forme di abuso del diritto) ma ampiamente soddisfatta, in base ad una valutazione necessariamente rimessa al giudice di merito, la finalità del beneficio che l’ordinamento riconosce al lavoratore in funzione della prestazione di assistenza e in attuazione dei superiori valori di solidarietà sopra richiamati (…)”(v. Cass. n. 7306/2023, in q. sito con nota di F. FEDELE);

4) “fermo restando che il controllo di terzi, sia quello di guardie particolari giurate così come di addetti di un’agenzia investigativa, non può riguardare, in nessun caso, né l’adempimento, né l’inadempimento dell’obbligazione contrattuale del lavoratore di prestare la propria opera” (v. Cass. n. 30079/2024, annotata in q. sito da D. PIETROCARLO; Cass. n. 17004/2024; Cass. n. 25287/2022, in q. sito con nota di M.N. BETTINI e Cass. n. 21621/2018, annotata in q. sito da F. ALBINIANO): nondimeno “il controllo delle agenzie investigative può avere ad oggetto il compimento di “atti illeciti del lavoratore non riconducibili al mero inadempimento dell’obbligazione contrattuale” (così Cass. n. 9167/2023);

5) in particolare, “è costantemente ritenuto legittimo il controllo tramite investigatori che non abbia ad oggetto l’adempimento della prestazione lavorativa ma sia finalizzato a verificare comportamenti che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti od integrare attività fraudolente, come nel caso di controllo finalizzato all’accertamento dell’utilizzo dei permessi ex lege n. 104 del 1992” (v. Cass. n. 4984/2014; Cass. n. 9217/2016, cit.; Cass. n. 15094/2018, in q. sito con nota di M.N. BETTINI; Cass. n. 4670/ 2019; da ultimo, Cass. n. 6468/ 2024, cit.).

Nella fattispecie, la Corte di Appello di Brescia, nell’ambito di un procedimento ex lege n. 92/2012, ha confermato la legittimità del licenziamento per giusta causa, già dichiarata in prime cure, intimato per improprio utilizzo dei permessi concessi ai sensi della legge n. 104/1992, fruiti dal lavoratore per l’assistenza alla madre. Nello specifico, i giudici hanno rilevato come il comportamento fosse caratterizzato da una condotta reiterata, preordinata e sistematica, desunta dal numero e frequenza degli episodi: il lavoratore, cioè, utilizzava metà del permesso per poter compiere il solito giro in bicicletta da corsa. E tale condotta sistematica (definita disinvolta dal primo giudice) evidenziava, da un lato, un uso improprio dei permessi, ormai divenuto abituale, dall’altro, il disvalore della condotta, posta in essere per soddisfare esigenze puramente di svago del lavoratore.

 

Sentenza

CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 30 gennaio 2025, n. 2157

Lavoro – Licenziamento per giusta causa – Improprio utilizzo permessi concessi ai sensi della Legge n. 104 del 1992 – Rigetto

Rilevato che

1.la Corte di Appello di Brescia, con la sentenza impugnata, nell’ambito di un procedimento ex lege n. 92 del 2012, ha confermato la legittimità del licenziamento per giusta causa, già dichiarata in prime cure, intimato in data 16 marzo 2022 da D. Spa a G.L. per improprio utilizzo dei permessi concessi ai sensi della legge n. 104 del 1992 per l’assistenza alla madre;

2. la Corte territoriale, in sintesi, ha considerato, come il Tribunale, che il L. “usufruiva di due ore di permesso, dalle ore 13.00 alle 15.00”, e, “come risulta dagli accertamenti svolti dall’agenzia di investigazione privata, nelle giornate del 20 gennaio, 1 febbraio, 3 febbraio, 17 febbraio, 2 marzo e 4 marzo del 2022, egli, giunto a casa intorno alle 13.00, dopo circa un’ora, ossia intorno alle ore 14.00, usciva in bicicletta da corsa vestito con abbigliamento sportivo (scarpette, guanti, casco, occhiali) e rientrava a casa intorno alle 17.00”;

ha, quindi, ritenuto che tale comportamento fosse “caratterizzat(o) da una preordinata reiterazione e sistematicità della condotta, desunta dal numero e frequenza degli episodi: in pratica, il lavoratore utilizzava metà del permesso per poter compiere il solito giro in bicicletta da corsa.

E tale condotta sistematica (giustamente definita disinvolta dal primo giudice) denota, da un lato, che l’uso improprio dei permessi era ormai divenuto abituale, dall’altro, mette in luce il particolare disvalore della condotta, posta in essere per soddisfare esigenze puramente di svago del lavoratore”;

3. per la cassazione di tale sentenza, ha proposto ricorso il soccombente con due motivi; ha resistito con controricorso l’intimata società; il ricorrente ha anche comunicato memoria; all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;

Considerato che

1.i motivi di ricorso possono essere esposti secondo la sintesi offerta dalla stessa parte ricorrente;

1.1. il primo motivo denuncia: “Viola gli artt. 2119 c.c. e 18 SL in relazione agli artt. 2, 3, 4 SL, all’art. 160, comma 6 Codice della privacy e artt. 2702 c.c. e 115 e 245 c.p.c. il giudice di merito che non si attiene ai principi enunciati da codesta SC (cass. 25732/21 – cass. 25731/2021 – cass. 34092/21) in ordine alle modalità di controllo dei lavoratori ritenendo utilizzabili informazioni acquisite in violazione dei principi di riservatezza e della vita privata del lavoratore”;

1.2. il secondo motivo denuncia: “Viola gli artt. 2119 c.c. e 18 SL in relazione agli artt. 3 e 33 L. 104/92 il giudice di merito che non si attiene ai principi enunciati da codesta SC (cass. pen. 54712/16 – cass. 7306/23 – cass. 2235/23 – cass. 25290/22 – cass. 23434/20 – cass. 12032/20 – cass. 26956/19 – 30676/18) in tema di utilizzo dei permessi al lavoratore per l’assistenza al familiare disabile.”;

2. il Collegio giudica il ricorso infondato;

2.1. il primo motivo non può trovare accoglimento; infatti, si lamenta la violazione, da parte dei giudici di merito, di principi enunciati dai precedenti di legittimità richiamati in ricorso che, però, riguardano l’ipotesi del controllo effettuato a mezzo di strumenti tecnologici, in relazione all’applicabilità dell’art. 4 St. lav. novellato, disposizione nella specie non operante in quanto dalla sentenza impugnata risulta solo che il controllo è stato effettuato per il tramite di agenzia investigativa;

ciò posto, la pronuncia gravata sul punto risulta coerente con la giurisprudenza consolidata da questa Corte (da ultimo v. Cass. n. 30079 del 2024) secondo cui, fermo restando che il controllo di terzi, sia quello di guardie particolari giurate così come di addetti di un’agenzia investigativa, non può riguardare, in nessun caso, né l’adempimento, né l’inadempimento dell’obbligazione contrattuale del lavoratore di prestare la propria opera (tra le recenti, v. Cass. n. 17004 del 2024; in precedenza Cass. n. 9167 del 2003; Cass. n. 15094 del 2018; Cass. n. 21621 del 2018; Cass. n. 25287 del 2022), tuttavia le medesime pronunce affermano reiteratamente che il controllo delle agenzie investigative può avere ad oggetto il compimento di “atti illeciti del lavoratore non riconducibili al mero inadempimento dell’obbligazione contrattuale” (così ancora Cass. n. 9167 del 2023, che cita la giurisprudenza precedente);

in particolare, è costantemente ritenuto legittimo il controllo tramite investigatori che non abbia ad oggetto l’adempimento della prestazione lavorativa ma sia finalizzato a verificare comportamenti che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti od integrare attività fraudolente, come nel caso di controllo finalizzato all’accertamento dell’utilizzo dei permessi ex lege n. 104 del 1992 (v. Cass. n. 4984 del 2014; Cass. n. 9217 del 2016; Cass. n. 15094 del 2018; Cass. n. 4670 del 2019; da ultimo, Cass. n. 6468 del 2024);

per altro verso, neanche viene adeguatamente specificato come il contestato controllo investigativo avrebbe inciso, con modalità non proporzionate rispetto al fine, sulla dignità e sulla riservatezza del lavoratore;

2.2. non può essere condiviso neanche il secondo motivo di doglianza;

invero, in diritto, la sentenza appare conforme alla giurisprudenza di questa Corte in tema di condotte abusive di lavoratori che fruiscano di sospensioni autorizzate del rapporto per l’assistenza o la cura di soggetti protetti (ancora, da ultimo, Cass. n. 6468 del 2024);

per pacifica giurisprudenza di legittimità, infatti, può costituire giusta causa di licenziamento l’utilizzo, da parte del lavoratore, di permessi ex lege n. 104 del 1992 in attività diverse dall’assistenza al familiare disabile, con violazione della finalità per la quale il beneficio è concesso (Cass. n. 4984 del 2014; Cass. n. 8784 del 2015; Cass. n. 5574 del 2016; Cass. n. 9749 de1 2016; più di recente: Cass. n. 23891 del 2018; Cass. n. 8310 del 2019; Cass. n. 21529 del 2019); in coerenza con la ratio del beneficio, l’assenza dal lavoro per la fruizione del permesso deve porsi in relazione diretta con l’esigenza per il cui soddisfacimento il diritto stesso è riconosciuto, ossia l’assistenza al disabile; tanto meno la norma consente di utilizzare il permesso per esigenze diverse da quelle proprie della funzione cui la norma è preordinata: il beneficio comporta un sacrificio organizzativo per il datore di lavoro, giustificabile solo in presenza di esigenze riconosciute dal legislatore (e dalla coscienza sociale) come meritevoli di superiore tutela; ove il nesso causale tra assenza dal lavoro ed assistenza al disabile difetti non può riconoscersi un uso del diritto coerente con la sua funzione e dunque si è in presenza di un uso improprio ovvero di un abuso del diritto (cfr. Cass. n. 17968 del 2016), o, secondo altra prospettiva, di una grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede sia nei confronti del datore di lavoro (che sopporta modifiche organizzative per esigenze di ordine generale) che dell’Ente assicurativo (v. Cass. n. 9217 del 2016);

tanto premesso in diritto, la verifica in concreto, sulla base dell’accertamento in fatto della condotta tenuta dal lavoratore in costanza di beneficio, dell’esercizio con modalità abusive difformi da quelle richieste dalla natura e dalla finalità per cui il congedo è consentito appartiene alla competenza ed all’apprezzamento del giudice di merito (in termini: Cass. n. 509 del 2018; v. anche Cass. n. 29062 del 2017; Cass. n. 30676 del 2018; Cass. n. 21529 del 2019), sicché la pretesa di un sindacato di legittimità sul punto esorbita dai poteri di questa Corte (ancora di recente: Cass. n. 25290 del 2022; Cass. n. 8306 del 2023; Cass. n. 17993 del 2023);

la stessa Cass. n. 7306 del 2023, citata da parte ricorrente, chiarisce come sia “elemento essenziale della fattispecie di cui all’art. 33, comma 3 cit., l’esistenza di un diretto e rigoroso nesso causale tra la fruizione del permesso e l’assistenza alla persona disabile, da intendere, come questa Corte ha già chiarito, non in senso così rigido da imporre al lavoratore il sacrificio, in correlazione col permesso, delle proprie esigenze personali o familiari in senso lato, ma piuttosto quale chiara ed inequivoca funzionalizzazione del tempo liberato dall’obbligo della prestazione di lavoro alla preminente soddisfazione dei bisogni della persona disabile.

Ciò senza automatismi o rigide misurazioni dei segmenti temporali dedicati all’assistenza in relazione all’orario di lavoro, purché risulti non solo non tradita (secondo forme di abuso del diritto) ma ampiamente soddisfatta, in base ad una valutazione necessariamente rimessa al giudice di merito, la finalità del beneficio che l’ordinamento riconosce al lavoratore in funzione della prestazione di assistenza e in attuazione dei superiori valori di solidarietà sopra richiamati (…)”;

la stessa pronuncia poi ribadisce che “spetta al giudice di merito valutare se la fruizione dei permessi possa dirsi in concreto realizzata in funzione della preminente esigenza di tutela delle persone affette da disabilità grave, e pur nella salvaguardia di una residua conciliazione con le altre incombenze personali e familiari che caratterizzano la vita quotidiana di ogni individuo”;

nella controversia all’attenzione del Collegio i giudici di ogni grado e fase del giudizio hanno concordemente ritenuto le modalità abusive di una condotta sistematicamente preordinata al soddisfacimento di personali esigenze ricreative del L. e siffatto apprezzamento di merito, indissolubilmente legato alle circostanze del caso concreto, non può essere sovvertito in sede di legittimità mediante doglianze intrise di riferimenti fattuali;

3. pertanto, il ricorso deve essere respinto, con spese che seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo;

ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre altresì dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 4.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese generali nella misura del 15%.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Permessi per assistenza disabile
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