Qualora manchi il nesso causale tra assenza dal lavoro ed assistenza al disabile, non può riconoscersi un uso del diritto coerente con la sua funzione e dunque si è in presenza di un utilizzo improprio ovvero di un abuso del diritto.
Nota a Cass. 4 febbraio 2025, n. 2619
Alfonso Tagliamonte
La ratio del beneficio del permesso per assistenza del disabile, previsto dall’art. 33, L. n. 104/1992, pone in relazione diretta l’assenza dal lavoro per la fruizione del permesso stesso con l’esigenza per il cui soddisfacimento tale diritto è riconosciuto, ossia l’assistenza al disabile. Per contro, il suddetto beneficio non ha una funzione meramente compensativa o di ristoro delle energie impiegate dal dipendente per l’assistenza prestata al disabile, né, tantomeno, “la norma consente di utilizzare il permesso per esigenze diverse da quelle proprie della funzione cui la norma è preordinata: il beneficio comporta un sacrificio organizzativo per il datore di lavoro, giustificabile solo in presenza di esigenze riconosciute dal legislatore (e dalla coscienza sociale) come meritevoli di superiore tutela…e tale sacrificio è destinato inevitabilmente a riverberarsi anche sulla comunità dei lavoratori, oltre ad avere un costo economico che viene posto a carico della collettività”.
Ne consegue che “il comportamento del prestatore di lavoro subordinato che, in relazione al permesso ex art. 33, L. n. 104/1992, si avvalga dello stesso non per l’assistenza al familiare, bensì per attendere ad altra attività, integra l’ipotesi dell’abuso di diritto, giacché tale condotta si palesa, nei confronti del datore di lavoro come lesiva della buona fede, privandolo ingiustamente della prestazione lavorativa in violazione dell’affidamento riposto nel dipendente ed integra, nei confronti dell’Ente di previdenza erogatore del trattamento economico, un’indebita percezione dell’indennità ed uno sviamento dell’intervento assistenziale”.
Cosi si è espressa la Corte di Cassazione 4 febbraio 2025, n. 2619 (conf. Cass. n. 17968/2016, Cass. n. 8784/2015 e Cass. n. 4984/2014), la quale rigetta il ricorso di un lavoratore che aveva impugnato il licenziamento per giusta causa intimatogli sulla base di una contestazione che addebitava al dipendente l’indebita fruizione di un permesso retribuito ex art. 33, co. 3, L. n. 104/1992, utilizzato in realtà per la partecipazione in qualità di “footgolfer” al campionato italiano FootGolf, tenutosi presso il Golf Club Toscana, in provincia di Grosseto.
Sentenza
CORTE DI CASSAZIONE 4 febbraio 2025, n. 2619
Lavoro – Licenziamento per giusta causa – Indebita fruizione permesso retribuito ex art. 33, comma 3 L. n. 104/1992 – Rigetto
Fatti di causa
1.G.L. impugnava con ricorso ex art. 1, commi 47 e sgg. della legge n. 92/2012 il licenziamento per giusta causa intimatogli in data 28 ottobre 2021 da A. s.p.a. sulla base di contestazione che addebitava al dipendente l’indebita fruizione di un permesso retribuito ex art. 33, comma 3 l. n. 104/1992, utilizzato in realtà per la partecipazione in qualità di “footgolfer” al campionato italiano FootGolf, tenutosi presso il Golf Club Toscana, in provincia di Grosseto.
2. Con l’ordinanza emessa all’esito della fase a cognizione sommaria il ricorso era respinto e la decisione era confermata dal Tribunale davanti al quale il L. aveva proposto opposizione.
3. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Roma ha respinto il reclamo del lavoratore confermando la sentenza di primo grado. In particolare Corte di merito, disattendendo i motivi di gravame del lavoratore, ha ritenuto che:
a) A. S.P.A. nell’irrogare il licenziamento aveva correttamente fondato la sanzione espulsiva sul fatto contestato, ossia l’avere il L. partecipato al campionato di Foot Golf nel giorno di utilizzazione del permesso finalizzato all’assistenza di parente disabile;
b) il riferimento, nell’ambito della motivazione del licenziamento, alla circostanza che il dipendente, pur consapevole che la programmazione aziendale prevedeva la sua presenza per il turno della mattina successiva al giorno della richiesta e nonostante che la partecipazione al campionato di Foot Golf fosse stata programmata nei giorni precedenti il campionato, aveva effettuato la richiesta di permesso solo il giorno prima della relativa fruizione, costituiva argomento utilizzato dalla datrice solo per completezza di esposizione in quanto sollecitato dalle giustificazioni rese dal L. alla contestazione dell’addebito;
c) il giudice dell’opposizione aveva fatto riferimento alla conoscenza anticipata – rispetto al momento della richiesta – in ordine all’effettuazione del torneo, solo quale argomento confermativo della indebita utilizzazione, quanto meno parzialmente, del predetto permesso;
d) nella economia della decisione di primo grado la circostanza che la disabile, zia del L., fosse stata presente presso il centro ove si svolgeva la gara non incideva sulla configurabilità dello sviamento dalla funzione propria del beneficio essendo emerso che tale permesso non era stato chiesto dal lavoratore per garantire assistenza alla familiare disabile ma nel proprio interesse, onde consentirgli di partecipare al campionato di FootGolf;
e) pur volendo ammettere che l’assistenza al disabile possa estrinsecarsi in attività riconducibili alla mera presenza ovvero ai normali rapporti familiari, comunque il lavoratore non aveva svolto integralmente l’attività di assistenza nelle ore del permesso, essendo in parte stato impegnato nella gara; vi era stato quindi sviamento dalla funzione essenziale del beneficio;
f) la condotta tenuta integrava gli estremi della giusta causa di licenziamento, sussistendo proporzione tra i fatti addebitati e sanzione inflitta venendo a tal fine in rilievo anche la delicatezza delle funzioni svolte dal lavoratore, addetto alla Sala Situazioni della Direzione Operation Coordinamento territoriale, presso la quale viene realizzato il coordinamento delle singole sale operative che, su base regionale,gestiscono, in turni h 24, gli interventi nelle viabili di competenza del personale su strada A.
4. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso G.L. sulla base di sei motivi; la parte intimata ha resistito con controricorso illustrato con memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c. .
5. Il P.G. ha depositato memoria con la quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
Ragioni della decisione
1.Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 18 della legge n. 300 del 1970 , dell’art. 3, comma 2 del d. lgs. n. 23 del 2015, dell’art. 2119 c.c. censurando la sentenza impugnata per violazione del principio di immutabilità della contestazione disciplinare e per non avere dichiarato illegittimo il licenziamento per insussistenza del fatto materiale, con reintegra del lavoratore.
2. Con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge n. 300 del 1970, per avere i giudici del merito ampliato l’ambito delle condotte contestate al dipendente con la lettera di addebito del 10.9.2021 e, di conseguenza, il thema decidendum della controversia.
3. Con il terzo motivo deduce omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, rappresentato dalla circostanza del difetto di preventiva contestazione dell’addebito disciplinare consistente nella violazione del dovere di collaborazione tra colleghi.
4. Con il quarto motivo deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., degli artt. 1218 e 2697 c.c., dell’art. 33 della legge n. 104 del 1992 in relazione all’art. 360, comma 1 n. 5 c.p.c. in ordine alla valutazione delle prove ed al diritto di difesa.
Si censura la sentenza impugnata sotto il profilo del difetto di coerenza tra l’accertamento raggiunto e le emergenze probatorie dalle quali- si sostiene- emergeva che la gita era stata programmata per consentire all’assistita una breve vacanza fuori porta.
5. Con il quinto motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 33 della legge n. 104 del 1992, degli artt. 115 e 116 c.p.c., degli artt. 1218 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., per avere la Corte di appello ritenuto che il lavoratore, nell’arco della intera giornata dedicata all’assistenza del disabile, non avrebbe dovuto riservare a se stesso le due ore utilizzate per la partecipazione al torneo.
6. Con il sesto motivo deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2106 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. in ordine alle regole di governo della necessaria proporzionalità fra fatto addebitato e recesso.
7. Il primo motivo deve essere respinto.
7.1. La Corte di merito, pur dando atto che la condotta consistente nell’avere avanzato la richiesta del permesso di cui all’art. 33, comma 3 l. n. 104/1992 solo il giorno prima della data di prevista fruizione del beneficio era <<espressamente riportata>> nella lettera di contestazione ( sentenza, pag. 7, secondo capoverso), nel respingere il motivo di reclamo inteso a far valere la violazione del principio di immodificabilità della contestazione, ha osservato che A. s.p.a. aveva fondato la sanzione espulsiva sulla partecipazione del L. al campionato italiano di Foot Golf, in coincidenza con il giorno di fruizione del permesso ex art. 33 comma 3 l. n. 104/1992 per l’assistenza alla parente disabile; ha precisato che la datrice di lavoro, solo <<per completezza di esposizione>>, a confutazione delle giustificazioni fornite dal lavoratore, nella lettera di licenziamento aveva evidenziato che la richiesta era stata formulata appena alle ore 13,00 del giorno precedente la fruizione del permesso medesimo (sentenza, pag. 10); ha ritenuto quindi infondata la doglianza che ascriveva alla sentenza di prime cure di avere motivato la legittimità del licenziamento anche in riferimento ai nuovi addebiti ( violazione del dovere di collaborazione con i colleghi) rispetto ai quali esso L. non aveva potuto esplicitare le proprie difese.
7.2. Il motivo in esame non si confronta con l’accertamento della Corte di merito in ordine alla coincidenza fra quanto oggetto di addebito e le ragioni del licenziamento esplicitate nella relativa lettera da A. S.P.A. e si limita ad una lettura meramente contrappositiva rispetto alle conclusioni attinte dal giudice del reclamo, lettura fondata su argomentazioni già svolte e disattese nel precedente grado di merito; le censure sviluppate sono inidonee quindi ad incrinare la decisione posto che la critica alla ricostruzione del contenuto della lettera di contestazione e del contenuto della lettera di licenziamento quali operate dal giudice del reclamo richiedeva la valida deduzione della violazione delle regole legali di interpretazione di cui agli art. 1362 c.c., applicabili anche agli atti unilaterali nei limiti di relativa compatibilità, deduzione neppure formalmente prospettata dall’odierno ricorrente.
8. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile in quanto non si confronta con le effettive ragioni della decisione.
Il giudice del reclamo ha infatti escluso che la violazione del dovere di collaborazione nei confronti dei colleghi fosse stata posta dalla società datrice alla base del licenziamento ed evidenziato che il riferimento a tale aspetto nella lettera di recesso datoriale costituiva una sorta di “risposta” alle doglianze in merito avanzate dal lavoratore.
Alla stregua di quanto ora osservato si rivelano non pertinenti le censure di violazione dell’art. 7 l. n. 300/1970, esclusa in radice dall’accertamento della sentenza impugnata.
9. Il terzo motivo di ricorso è infondato, non essendo configurabile alcun omesso esame, rilevante ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 5 c.p.c., laddove non venga in considerazione un “fatto” inteso in senso storico fenomenico, bensì una mera argomentazione difensiva, dovendo ulteriormente rilevarsi che il preteso fatto omesso è stato comunque preso in considerazione dalla Corte di merito che ha espressamente scrutinato l’assunto difensivo dell’odierno ricorrente in punto di non coincidenza fra fatti contestati e fatti posti a base del licenziamento.
10. Il quarto motivo di ricorso è inammissibile.
10.1. Il motivo, che già nell’enunciazione di cui in rubrica sembra implicare una inammissibile mescolanza fra violazioni di diritto e vizio di motivazione, risulta inammissibile per plurimi profili; la deduzione di vizio di motivazione non è infatti conforme all’attuale configurazione dell’art. 360, comma 1 n. 5 c.p.c. che richiede la individuazione di uno specifico fatto, inteso in senso storico- fenomenico, avente rilievo decisivo il cui esame è stato omesso dal giudice di merito (v. per tutte Cass. SS.UU. n. 8053/2014); essa, inoltre, risulta preclusa ai sensi dell’art. 348 ter ultimo comma cod. proc. civ. dalla esistenza di << doppia conforme di merito>> non avendo il ricorrente indicato, come suo onere, le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 2019 n. 26774, Cass. n. 19001/2016, Cass. n. 5528/2014), ed in (Cass. n. 26774/ 2019, Cass. n. 19001/2016, Cass. n. 5528/2014); parimenti, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. Sez. U, 20867/2020, 16598/2016, Cass. Sez. U. nn. 8053 e 8054 del 2014, n. 34474 del 2019, n. 20867 del 2020), come in concreto non avvenuto.
Le doglianze complessivamente articolate non sono quindi idonee alla valida censura della decisione in quanto intese a sollecitare direttamente un diverso apprezzamento di fatto del materiale probatorio, apprezzamento precluso al giudice di legittimità (Cass. 4/11/2013 n. 24679, Cass. 16/12/2011 n. 2197, Cass. 21/9/2006 n. 20455, Cass. 4/4/2006 n. 7846, Cass. 7/2/2004 n. 2357) al quale, secondo il costante orientamento di questa Corte, non è conferito il potere di riesaminare autonomamente il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio bensì soltanto quello di controllare, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, le argomentazioni svolte dal giudice di merito al quale spetta in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, controllarne l’attendibilità e concludenza nonché scegliere tra le complessive risultanze del processo quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. 4/11/2013 n. 24679, Cass. 16/12/2011 n. 2197, Cass. 21/9/2006 n. 20455, Cass. 4/4/2006 n. 7846, Cass. 7/2/2004 n. 2357).
11. E’ infondato il quinto motivo di ricorso. In relazione alla dedotta violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. vale quanto osservato nell’esame del quarto motivo.
11.1. La violazione dell’art. 2697 c.c. è censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. n. 15107 del 2013; Cass. n. 13395 del 2018), mentre nella sentenza impugnata non è in alcun modo ravvisabile un sovvertimento dell’onere probatorio, interamente gravante sulla parte datoriale.
11.2. In relazione all’ulteriore profilo, che investe la definizione dei limiti, anche orari, della prestazione di assistenza nel giorno di fruizione del permesso, si premette che il beneficio ex art. 33 l. n. 104/1992 è riconosciuto dal legislatore in ragione dell’assistenza a disabile, la quale è causa del riconoscimento del permesso.
Tale essendo la ratio del beneficio e in mancanza di specificazioni ulteriori da parte del legislatore, l’assenza dal lavoro per la fruizione del permesso deve porsi in relazione diretta con l’esigenza per il cui soddisfacimento il diritto stesso è riconosciuto, ossia l’assistenza al disabile.
In particolare è stato evidenziato che nessun elemento, testuale o logico, consente di attribuire al beneficio in oggetto una funzione meramente compensativa o di ristoro delle energie impiegate dal dipendente per l’assistenza prestata al disabile.
Tanto meno la norma consente di utilizzare il permesso per esigenze diverse da quelle proprie della funzione cui la norma è preordinata: il beneficio comporta un sacrificio organizzativo per il datore di lavoro, giustificabile solo in presenza di esigenze riconosciute dal legislatore (e dalla coscienza sociale) come meritevoli di superiore tutela.
In conseguenza, ove il nesso causale tra assenza dal lavoro ed assistenza al disabile manchi del tutto, non può riconoscersi un uso del diritto coerente con la sua funzione e dunque si è in presenza di un uso improprio ovvero di un abuso del diritto Il comportamento del prestatore di lavoro subordinato che, in relazione al permesso ex art. 33 L. n. 104/1992, si avvalga dello stesso non per l’assistenza al familiare, bensì per attendere ad altra attività, integra l’ipotesi dell’abuso di diritto, giacché tale condotta si palesa, nei confronti del datore di lavoro come lesiva della buona fede, privandolo ingiustamente della prestazione lavorativa in violazione dell’affidamento riposto nel dipendente ed integra, nei confronti dell’Ente di previdenza erogatore del trattamento economico, un’indebita percezione dell’indennità ed uno sviamento dell’intervento assistenziale (Cass. n. 17968/2016, Cass. n. 4984/2014, conf. Cass. n. 9217/2016, n. 9749/2016 e n. 8784/2015).
11.3. Tanto premesso, la Corte distrettuale, con accertamento di merito ad essa istituzionalmente riservato e non più incrinabile stante la preclusione da <<doppia conforme>>, ha ritenuto che vi era stato sviamento dalla funzione essenziale del beneficio, sia nella genesi, esclusivamente motivata dalla necessità di partecipare alle gare del torneo, sia nella sua concreta attuazione, che aveva comportato una carenza quantomeno parziale nell’attività di assistenza, essendosi dedicato il lavoratore per alcune ore ad attività di natura personale e ludica.
Anzi, l’accertamento della natura esclusivamente personale dell’esigenza all’origine della richiesta si rivela idoneo ad interrompere ogni nesso con la funzione assistenziale propria del permesso, ed in questa prospettiva non vi è spazio per l’approfondimento del tema del numero di ore da dedicare all’assistito nei giorni della fruizione del permesso.
All’accertamento del difetto di nesso causale tra assenza dal lavoro e prestazione di assistenza consegue che devono ritenersi violati i principi di correttezza e buona ed in questa prospettiva appare giustificata la sanzione espulsiva.
12. Il sesto motivo di ricorso è infondato.
Le censure articolate risultano inidonee ad inficiare l’accertamento relativo alla sussistenza della giusta causa di licenziamento, ancorata dal giudice di merito a corretti parametri di riferimento.
12.1. Come noto, per consolidata giurisprudenza di questa Corte la “giusta causa” di licenziamento ex art. 2119 cod. civ. integra una clausola generale, che richiede di essere concretizzata dall’interprete tramite valorizzazione dei fattori esterni relativi alla coscienza generale e dei principi tacitamente richiamati dalla norma, quindi mediante specificazioni che hanno natura giuridica e la cui disapplicazione è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l’accertamento della ricorrenza concreta degli elementi del parametro normativo si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in cassazione se privo di errori logici e giuridici; la sussunzione della fattispecie concreta nella clausola elastica della giusta causa secondo “standards” conformi ai valori dell’ordinamento, che trovino conferma nella realtà sociale, è dunque sindacabile in sede di legittimità con riguardo alla pertinenza e non coerenza del giudizio operato, quali specificazioni del parametro normativo avente natura giuridica e del conseguente controllo nomofilattico affidato alla Corte di cassazione ( v. tra le altre, Cass. n. 7029/2023, Cass. n. 12789/2022, Cass. n. 7426/2018, Cass. n. 31155/2018, Cass. n. 25144/2010).
12.3. Ciò posto la valutazione di gravità della condotta e quindi di sussistenza della giusta causa di licenziamento risulta coerente con i principi dell’ordinamento e con gli standards presenti nella coscienza sociale.
A riguardo si rileva che la richiesta di fruizione del permesso ex art. 33 comma 2 l n. 104/1992 per finalità ad esso estranee, si connota per un particolare disvalore ove si consideri che la fruizione di permessi per l’assistenza ai disabili comporta sacrifici organizzativi per la parte datoriale, destinati inevitabilmente a riverberarsi anche sulla comunità dei lavoratori, oltre ad avere un costo economico che viene posto a carico della collettività.
13. Al rigetto del ricorso consegue il regolamento secondo soccombenza delle spese di lite e la condanna di parte ricorrente al raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma quater d.p.r. n. 115/2002, nella sussistenza dei relativi presupposti processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 4.500,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della società ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.