Legittimo il riproporzionamento dell’indennità di esclusività secondo il principio del “pro-rata temporis”.

Nota a Cass. 1 marzo 2025, n. 5434

Maria Novella Bettini

L’indennità di esclusività per i dirigenti medici con rapporto di lavoro a impegno ridotto, in quanto trattamento economico di natura retributiva, va riproporzionata secondo il principio del “pro-rata temporis”, così come previsto dal CCNL del 2019.

Lo chiarisce la Corte di Cassazione 1 marzo 2025, n. 5434, la quale accoglie il ricorso dell’Azienda ospedaliera Universitaria di Modena, muovendo dall’analisi dell’art. 112, co. 10, CCNL area sanità, 19 dicembre 2019, secondo cui: “Il trattamento economico del dirigente con rapporto di lavoro a impegno orario ridotto è proporzionale alla prestazione lavorativa, con riferimento a tutte le competenze fisse e periodiche, la retribuzione complessiva d’incarico, l’eventuale retribuzione individuale di anzianità, l’indennità di esclusività del rapporto di lavoro, l’indennità di specificità medico-veterinaria e l’indennità di rischio radiologico, spettanti al dirigente con rapporto a impegno orario pieno appartenente alla stessa posizione anche d’incarico”.

I giudici rilevano che tale disposizione “prevede in via generale l’applicazione del criterio del pro rata temporis al trattamento economico, ivi inclusa espressamente anche l’indennità di esclusività, avente ormai natura dichiaratamente retributiva e ricompresa nel trattamento economico fondamentale, ai sensi degli artt. 82 e 83 del CCNL”.

Tale compenso aggiuntivo, infatti, – destinato ad incentivare la scelta del dirigente medico di concentrare il proprio impegno professionale sul solo ente di appartenenza, ex art. 15-quater, co.4 (come mod. dal D.L. n. 81/2004, conv., con mod., dalla L. n. 138/2004) e co. 5, D.Lgs. n. 502/ 1992 – si sostanzia in un trattamento economico avente natura retributiva corrisposto dal datore in ragione del rapporto lavorativo, come tale rientrante nella regola generale del riproporzionamento prevista dall’art. 7, co. 2, primo periodo, D.Lgs. n. 81/2015 (arg. ex Cass. 02/05/2024, n. 11865), in quanto correlato al ridotto impegno lavorativo.

La norma in questione, peraltro disciplina differentemente il godimento di istituti collegati ai diritti della persona (quali ferie, congedi, assenze, termini di prova e di preavviso) “riconosciuti per intero, quanto meno nell’impegno ridotto cd. orizzontale, rispetto all’applicazione della regola generale del riproporzionamento dei correlati trattamenti economici in rapporto alla durata ridotta della prestazione lavorativa”.

In definitiva, afferma la Cassazione, dalla disciplina contrattuale sulla posizione del dirigente con impegno orario ridotto “emerge che le parti sociali hanno modulato l’applicazione del criterio del pro rata temporis previsto dall’art. 7 del D.Lgs. n. 81 del 2015 rimanendo nel perimetro delineato dalla Corte di giustizia UE nell’interpretazione della direttiva e dell’accordo quadro in materia, riproporzionando i trattamenti economici e salvaguardando i diritti che attengono strettamente alla persona, non senza prevedere alcune disposizioni di miglior favore, secondo la clausola 6.1. del medesimo accordo (“Gli Stati membri e/o le parti sociali possono mantenere o introdurre disposizioni più favorevoli rispetto a quelle previste nel presente accordo”).

Sentenza

CORTE DI CASSAZIONE 1 marzo 2025, n. 5434

Svolgimento del processo

1.Il Tribunale di Modena, adito da A.A. – dirigente medico dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Modena in regime di orario ridotto – per ottenere l’accertamento del diritto alla corresponsione dell’indennità di esclusività senza alcuna decurtazione rapportata all’orario di lavoro, ha attivato la procedura ex art. 64 del D.Lgs. n. 165 del 2001 con riferimento all’art. 112, comma 10, del CCNL dirigenza medica del 19 dicembre 2019. All’esito del sub-procedimento di competenza sindacale, conclusosi senza esito, ha ritenuto invalida la pattuizione collettiva in esame per contrasto con il principio di non discriminazione, ostando al riproporzionamento dell’indennità di esclusività, in ragione della ridotta entità lavorativa, la natura dell’emolumento e la finalità perseguita dal legislatore, che ha inteso compensare con un apposito trattamento aggiuntivo il dirigente medico che opera in regime di esclusività.

2. A fondamento del proprio convincimento, il Tribunale, richiamato l’art. 15-quater del D.Lgs. n. 502 del 1992, che prevede uno specifico trattamento economico aggiuntivo per i dirigenti sanitari che optino per il rapporto di lavoro esclusivo, rimettendone la disciplina alla contrattazione collettiva (che, fino al 2019, aveva riconosciuto l’indennità in questione in pari misura anche ai dirigenti ad orario ridotto), ha esaminato la direttiva 97/81/CE, relativa all’accordo-quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dai CEEP e dal CES nonché la legislazione nazionale – il D.Lgs. n. 61 del 2000, ora abrogato dal D.Lgs. n. 81 del 2015, che attualmente disciplina la materia – per giungere alla conclusione che il principio di non discriminazione, come codificato dalla disciplina interna ed eurounitaria, esclude che il dirigente medico con orario ridotto possa ottenere un trattamento retributivo meno favorevole rispetto al dirigente medico a tempo pieno comparabile, posto che l’indennità di esclusività è totalmente svincolata dalla durata, giornaliera e settimanale, della prestazione lavorativa, trovando la propria ragion d’essere nell’esigenza di compensare il sacrificio richiesto al personale medico che esercita l’opzione di esclusività in favore della struttura pubblica.

Tale conclusione, secondo quanto si legge nella sentenza impugnata, risulterebbe anche suffragata, sul piano interpretativo, dal nuovo CCNL Area Sanità, del triennio 2019-2021, siglato dalle parti sociali in data 23 gennaio 2024, il cui art. 87, al comma 10, torna a riconoscere l’indennità di esclusività in misura intera anche al dirigente a tempo ridotto, così superando la contraria disposizione inserita solo nel CCNL del 2019.

3. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l’Azienda Ospedaliero-Universitaria, prospettando un unico motivo, illustrato da memoria ex art. 378 cod. proc. civ., cui oppone difese la dott.ssa A.A. con controricorso.

4. Il rappresentante del Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte con richiesta di rigettare il ricorso.

5. L’ARAN – Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni – ha depositato memoria a mente dell’art. 64, comma 5, del D.Lgs. n. 165 del 2001.

6. La causa giunge in decisione all’esito della trattazione in pubblica udienza, nella quale sono intervenuti i difensori delle parti e il rappresentante del Pubblico Ministero, che ha concluso per il rigetto del ricorso, richiamando le conclusioni già rassegnate nella memoria depositata.

Motivi della decisione

1.In via pregiudiziale, il Collegio ritiene ammissibile il ricorso ex art. 64 D.Lgs. n. 165 del 2001 atteso che, nella specie, viene in rilievo la questione di validità di una clausola del contratto collettivo nazionale vagliata dal giudice di merito anche in base al principio di non discriminazione codificato nel diritto interno, sicché non giova esaminare il precedente di questa Corte (Cass. Sez. L, 23/12/2020, n. 29455), richiamato dalla controricorrente, nel quale la fattispecie fondante il diritto rivendicato era esclusivamente quella derivante dal diritto eurounitario e, solo collateralmente, ovverosia con riferimento al trattamento rispetto al quale va effettuata l’equiparazione, dal diritto interno.

2. Con l’unico motivo di ricorso si denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 112, comma 10, del CCNL Area Sanità 19 dicembre 2019, sull’assunto che il riproporzionamento dell’indennità di esclusività previsto dalla clausola in questione è legittimo in ragione dei precisi e concreti elementi di differenziazione dei dirigenti medici ad “impegno orario ridotto” rispetto ai lavoratori a tempo parziale tout court, cui invece si riferiscono le previsioni di derivazione eurounitaria (art. 4 direttiva 97/81/CE) e nazionale (art. 7 del D.Lgs. n. 81 del 2015) richiamate nella sentenza impugnata.

D’altro canto, la scelta di riparametrare l’indennità di esclusività per il dirigente a impegno orario ridotto sarebbe coerente con l’innovazione, introdotta proprio nel 2019, di rendere tale emolumento parte integrante del trattamento fondamentale (art. 83) e non più elemento distinto della retribuzione, come invece era previsto in passato. Come ulteriore profilo distintivo rispetto alla precedente contrattazione, a conforto della razionalità delle scelte operate dalle parti sociali, si prospetta anche la circostanza che il CCNL del 2019 consente, rispetto al passato, l’aumento della percentuale di contingentamento dei potenziali fruitori del regime a orario ridotto (che può giungere sino al 7%), in quanto i risparmi derivanti dal meccanismo di riproporzionamento delle indennità di esclusività consentono di ampliare l’accesso a tale istituto.

Sarebbero, infine, irrilevanti ex art. 1362 cod. civ. le previsioni del successivo CCNL Area Sanità 23 gennaio 2024, che in alcun modo potrebbero sostenere l’esegesi adottata dal giudice di merito.

3. Nella memoria depositata ex art. 64, comma 5, D.Lgs. n. 165 del 2001 l’ARAN ha aderito alle ragioni espresse dall’Azienda ricorrente, sostenendo la piena legittimazione dell’ambito contrattuale a modulare differentemente, in base alla dinamica negoziale ed alle condizioni di contesto, l’indennità in questione sulla base di elementi quali l’anzianità di servizio ovvero il regime orario (pieno o ridotto), senza far venir meno la sua natura originaria di emolumento che incentiva un rapporto esclusivo con la struttura pubblica.

In tal senso, è stata dapprima evidenziata la peculiarità dell’istituto del rapporto di lavoro con impegno orario ridotto, introdotto dalla contrattazione collettiva (con il CCNL del 22 febbraio 2001, integrativo del precedente CCNL dell’8 giugno 2000) specificamente per la dirigenza medica e sanitaria e distinto dal rapporto di lavoro part time – precluso ai dirigenti medici secondo la stessa Corte costituzionale – perché può essere richiesto e concesso solo in presenza di speciali condizioni, riconducibili a comprovate e particolari esigenze familiari o sociali, pur con una riduzione della prestazione lavorativa.

È stato, poi, chiarito che con il CCNL 19 dicembre 2019 sono state rivisitate sia la disciplina dell’impegno ridotto che quella dell’indennità di esclusività. Infatti: da una parte, nell’art. 110, commi 2 e 6, è stata prevista la possibilità di elevare dal 3% al 7%, in sede di contrattazione integrativa, la quota massima dei possibili fruitori dell’istituto, così incentivando – sempre nel caso in cui sussistano le particolari motivazioni familiari e sociali già evidenziate – il ricorso all’impegno orario ridotto, con l’evidente finalità di favorire una maggiore conciliazione vita-lavoro; dall’altra, con l’art. 112, comma 10, anche l’indennità di esclusività è stata è stata ricompresa fra le voci oggetto di riproporzionamento nel caso di impegno ridotto. Si è, quindi proceduto ad una rimodulazione del suo importo, giustificata dalla riduzione della prestazione lavorativa che caratterizza la particolare condizione di impegno a orario ridotto. L’accordo così raggiunto ha consentito, peraltro, di non pregiudicare l’equilibrio finanziario delle aziende ed il livello delle prestazioni, considerato che l’indennità di esclusività grava sui bilanci aziendali e che il suo riproporzionamento ha avuto lo scopo di controbilanciare gli ulteriori costi derivanti dall’eventuale aumento delle temporanee trasformazioni dei rapporti di lavoro dei dirigenti sanitari da impegno a orario pieno a ridotto.

Infine, con il successivo CCNL 23 gennaio 2024 relativo al triennio 2019-2021 è prevalsa fra le parti negoziali, sempre a seguito di una attenta ponderazione di tutti gli interessi coinvolti, la volontà di favorire una maggiore conciliazione vita-lavoro. Per tale motivo, le parti hanno consensualmente deciso di erogare per intero l’indennità di esclusività anche al personale con impegno orario ridotto, dovendosi, tuttavia, precisare che tale riconoscimento è stato possibile solo a seguito della predisposizione di adeguate risorse – ad integrazione dei bilanci aziendali – che si sono rese disponibili al momento della stipula.

4. Così introdotti i termini della questione, occorre valutare, in via preliminare, se il peculiare rapporto di lavoro del dirigente medico a impegno orario ridotto sia o meno riconducibile alla disciplina stabilita per il contratto part-time, presupposto contestato dall’Azienda ricorrente in termini sostanzialmente condivisi dall’ARAN.

4.1. Per dirimere la questione si impone di partire dalla considerazione della figura in esame per come tratteggiata dalla contrattazione collettiva, sia pure nei suoi elementi essenziali e nei limiti di interesse in questa sede.

L’accesso al rapporto di lavoro con impegno orario ridotto è disciplinato dall’art. 110 su richiesta dei dirigenti interessati, a fronte di comprovate e rilevanti esigenze familiari o sociali, elencate al comma 1. Il numero dei rapporti a impegno orario ridotto non può superare il 3% della dotazione organica complessiva dell’area dirigenziale del CCNL, rilevata al 31 dicembre di ogni anno (comma 2), ma, ai sensi del comma 6, le Aziende ed Enti, in sede di contrattazione integrativa, tenendo conto delle esigenze organizzative, possono elevare il contingente di cui al comma 2 fino al 7%. Quanto alle condizioni, è precisato che la titolarità di un incarico dirigenziale di natura gestionale è incompatibile con il rapporto di lavoro a impegno orario ridotto (comma 9), così come è escluso che possano presentare tale domanda i dirigenti con rapporto non esclusivo (comma 10). Del resto, l’attività libero professionale intramuraria comunque classificata è sospesa per tutta la durata dell’impegno orario ridotto (comma 10, secondo periodo) ed è previsto il recesso per giusta causa nei confronti del dirigente con regime ad impegno ridotto che violi il rispetto del rapporto di lavoro esclusivo svolgendo attività libero professionale extramuraria (comma 11).

Ai sensi dell’art. 111 del CCNL, l’orario di lavoro del dirigente con rapporto di lavoro a impegno orario ridotto non può essere inferiore al 30% di quella a tempo pieno (comma 1). Quanto all’articolazione dell’attività lavorativa (comma 2), il rapporto di lavoro a impegno orario ridotto può essere: a) orizzontale, con orario normale giornaliero di lavoro in misura ridotta rispetto al tempo pieno e con articolazione della prestazione di servizio ridotta in tutti i giorni lavorativi (5 o 6 giorni); b) verticale, con prestazione lavorativa svolta a tempo pieno ma limitatamente a periodi predeterminati nel corso della settimana, del mese, dell’anno e con articolazione della prestazione su alcuni giorni della settimana, del mese, o di determinati periodi dell’anno, in misura tale da rispettare la media della durata del lavoro settimanale prevista per l’impegno orario ridotto nell’arco temporale preso in considerazione (settimana, mese o anno); c) misto ossia con combinazione delle due modalità indicate nelle lettere a) e b).

4.2. Occorre, a questo punto, esaminare la nozione di “lavoratore a tempo parziale” delineata dalla direttiva 1997/81/CE del 15 dicembre 1997, con cui è stata data attuazione all’accordo quadro ad essa allegato sul lavoro a tempo parziale concluso il 6 giugno 1997 tra le organizzazioni intercategoriali a carattere generale CES, UNICE e CEEP, che mira a declinare i principi generali e le prescrizioni minime in materia.

La clausola 1 dell’accordo quadro enuncia gli obiettivi generali dell’accordo, inteso ad “assicurare la soppressione delle discriminazioni nei confronti dei lavoratori a tempo parziale e di migliorare la qualità del lavoro a tempo parziale” (clausola 1.a.) nonché a “facilitare lo sviluppo del lavoro a tempo parziale su base volontaria e di contribuire all’organizzazione flessibile dell’orario di lavoro in modo da tener conto dei bisogni degli imprenditori e dei lavoratori” (clausola 1.b.). I due temi centrali, dunque, sono costituiti dal principio di non discriminazione e dalle misure intese a favorire la promozione del lavoro a tempo parziale su base volontaria, conciliando gli interessi dei lavoratori e delle imprese.

La clausola 2.1. delinea il campo soggettivo di applicazione dell’accordo, che riguarda i “lavoratori a tempo parziale che hanno un contratto o un rapporto di lavoro definito per legge, contratto collettivo o in base alle prassi in vigore in ogni Stato membro”: pertanto, l’accordo non definisce la nozione di lavoratore né le condizioni per l’esistenza di un contratto di lavoro, che vengono rimesse al diritto nazionale. La clausola 2.2. attribuisce comunque agli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali, la facoltà di escludere totalmente o parzialmente l’applicazione delle disposizioni dell’accordo ai lavoratori a tempo parziale che lavorano su base occasionale purché sulla base di ragioni obiettive che dovrebbero essere periodicamente riesaminate. Tuttavia, come chiarito dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea, in armonia con l’indirizzo affermato in ordine all’analoga questione interpretativa emersa in relazione alla clausola 2 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 99/70/CE sul rapporto a tempo determinato, il potere discrezionale concesso agli Stati membri non può essere esercitato per escludere “talune categorie di persone dal beneficio della tutela voluta dall’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale”, con la conseguenza che la riserva trova un limite nella necessità di rispettare l’effetto utile voluto dalla direttiva nonché i principi generali del diritto dell’Unione, sicché l’accordo quadro risulta inapplicabile nella sola ipotesi in cui la qualificazione non sia arbitraria, in ragione della natura del rapporto in discussione “sostanzialmente diversa da quella che lega ai loro datori di lavoro i dipendenti che, secondo il diritto nazionale, rientrano nella categoria dei lavoratori” (CGUE 1 marzo 2012, C-393/10, O’Brien, parr. da 34 a 42).

La clausola 3 definisce il concetto di lavoratore “a tempo parziale” quale “il lavoratore il cui orario di lavoro normale, calcolato su base settimanale o in media su un periodo di impiego che può andare fino ad un anno, è inferiore a quello di un lavoratore a tempo pieno comparabile”, nonché quello di lavoratore “a tempo pieno comparabile” come “il lavoratore a tempo pieno dello stesso stabilimento, che ha lo stesso tipo di contratto o di rapporto di lavoro e un lavoro/occupazione identico o simile, tenendo conto di altre considerazioni che possono includere l’anzianità e le qualifiche/competenze”, con la precisazione che, ove non esista un lavoratore a tempo pieno comparabile nello stesso stabilimento, “il paragone si effettuerebbe con riferimento al contratto collettivo applicabile o, in assenza di contratto collettivo applicabile, conformemente alla legge, ai contratti collettivi o alle prassi nazionali”. Come è stato annotato in dottrina, l’accordo fornisce una definizione a contrario del lavoratore a tempo parziale, per differenza rispetto a quello a tempo pieno, senza neppure prevedere soglie orarie minime, con formula idonea a ricomprendere nella sfera di applicabilità della direttiva ogni forma di part-time, come chiarito anche dalla Corte di giustizia europea (5 maggio 2022, C-265/20, FN). La medesima Corte ha, altresì, precisato che ai fini della comparazione con il lavoratore a tempo pieno, ai sensi dell’accordo quadro, “occorre tener conto di una serie di fattori, quali la natura del loro lavoro, le loro qualifiche e competenze, le condizioni di formazione e le condizioni di lavoro” (CGUE, C-265/20, FN, cit., par. 47).

L’accordo quadro è applicabile anche al rapporto di lavoro alle dipendenze di soggetti pubblici (CGUE, C-393/10, O’Brien, cit. par. 37).

4.3. Sul piano del diritto interno, la direttiva 97/81/CE, in virtù della legge delega 5 febbraio 1999 n. 25, venne recepita con il D.Lgs. 25 febbraio 2000, n. 61, oggetto di diverse modifiche (prima con il D.Lgs. 26 febbraio 2001, n. 100, poi, con l’art. 46 del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, che aveva innovato fortemente il testo originario in senso più liberalizzante, infine con l’art. 1, comma 44, della legge 24 dicembre 2007, n. 247, che aveva nuovamente introdotto alcuni vincoli) fino alla sua abrogazione, espressamente disposta dall’art. 55, comma 1, lett. a), del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, che ha provveduto a riordinare la materia, a decorrere dal 25 giugno 2015, con l’intento di operare una semplificazione.

In linea con la direttiva e l’allegato accordo quadro europeo, anche la finalità della disciplina interna sul lavoro a tempo parziale è di duplice segno: da un lato prevenire abusi da parte del datore, dall’altro incentivare questa forma di lavoro che può soddisfare l’interesse di alcune fasce di lavoratori indisponibili a tempo pieno.

Sul piano delle definizioni, l’art. 4, dopo aver specificato che nel rapporto di lavoro subordinato, anche a tempo determinato, l’assunzione può avvenire a tempo pieno o a tempo parziale, definisce il tempo pieno come l’orario di lavoro ai sensi dell’art. 3 D.Lgs. 8 aprile 2003, n. 66 (cioè 40 ore settimanali ovvero l’eventuale minor orario normale fissato dai contratti collettivi applicati), omettendo, pertanto, un’espressa definizione di “tempo parziale”, invero già inserita nell’art. 1, comma 2, lett. b), D.Lgs. n. 61 del 2000, come l’orario di lavoro inferiore al tempo pieno. Nondimeno, anche nel sistema del D.Lgs. n. 81 del 2015, la nozione del lavoro part-time si ricava, per così dire, per differenza, in linea, peraltro, con quanto espresso dalla direttiva e dall’accordo quadro (clausola 3). In effetti, seppure nell’ottica semplificatrice del D.Lgs. n. 81 del 2015, che ormai consente l’applicazione di strumenti di flessibilizzazione ad ogni tipo di part-time, non è più contemplata espressamente la classica tripartizione già contenuta nel D.Lgs. n. 61 del 2000 fra lavoro a tempo parziale “orizzontale” (con riduzione dell’orario rispetto al tempo pieno rapportata all’orario normale giornaliero di lavoro), “verticale” (con svolgimento dell’attività lavorativa a tempo pieno, ma limitatamente a periodi predeterminati nel corso della settimana, del mese o dell’anno) o “misto” (con articolazione dell’orario di lavoro combinata fra la tipologia orizzontale e quella verticale), rimane ferma la necessità di indicare la collocazione temporale dell’orario lavorativo ridotto rispetto a quello pieno, da rapportare sino all’anno, come prescritto dall’art. 5, comma 2, D.Lgs. n. 81 del 2015. In ogni caso, la mancata espressa previsione della tripartizione già contenuta nel D.Lgs. n. 61 del 2000 non preclude che, in concreto e nella contrattazione collettiva, continui a trovare applicazione l’articolazione dell’orario lavorativo secondo le predette forme.

4.4. In esito a tale ricognizione, può dirsi che secondo il diritto interno, in piena conformità al diritto comunitario, la nozione del lavoro a tempo parziale si incentra, per differenza, sulla durata inferiore della prestazione rispetto al lavoro a tempo pieno, con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno. E l’individuazione della caratteristica essenziale del lavoro a tempo parziale è funzionale alla ratio della speciale disciplina in materia, vale a dire la prevenzione delle discriminazioni a carico del lavoratore part-time, quale tutela fondamentale assicurata dalla direttiva e dall’accordo in materia così come dall’ordinamento nazionale. Né, come è stato sopra evidenziato, il potere discrezionale concesso agli Stati membri può essere esercitato per escludere “talune categorie di persone dal beneficio della tutela voluta dall’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale”

4.5. In tale ambito è agevole ricondurre anche la posizione del dirigente medico ad impegno orario ridotto, quanto meno per l’applicazione della tutela minima, incentrata sul rispetto del principio di non discriminazione.

In effetti, senza voler disconoscere la peculiarità della figura del dirigente medico e, in particolare, la specialità delle condizioni di accesso e della disciplina del rapporto a orario ridotto rispetto a quella generale del rapporto part-time, è ravvisabile sicuramente il tratto distintivo centrale della durata della prestazione inferiore rispetto all’orario di lavoro pieno, come risulta evidente dal richiamato art. 111 del CCNL, che stabilisce una misura minima dell’orario lavorativo ridotto (nella misura non inferiore al 30% di quello pieno) e prevede la distribuzione della prestazione secondo la tradizionale tripartizione in part-time orizzontale, verticale e misto.

Se, dunque, il rapporto del dirigente medico ad orario ridotto risponde alla caratteristica essenziale tracciata dalla normativa interna e comunitaria per individuare il concetto di lavoratore a tempo parziale, non può non conseguire l’applicabilità della relativa tutela, quanto meno nel suo nucleo fondante.

5. Occorre, quindi, esaminare la conformità al principio di non discriminazione della disposizione contrattuale denunciata, nella parte in cui applica il criterio del pro rata temporis all’indennità di esclusività corrisposta ai dirigenti ad impegno orario ridotto, in base alla normativa comunitaria e nazionale.

5.1. Sul piano del diritto comunitario, la clausola 4.1. dell’accordo quadro allegato alla direttiva in materia pone in correlazione il principio di non discriminazione “alle condizioni di impiego”, stabilendo che “i lavoratori a tempo parziale non devono essere trattati in modo meno favorevole rispetto ai lavoratori a tempo pieno comparabili per il solo motivo di lavorare a tempo parziale, a meno che un trattamento differente sia giustificato da ragioni obiettive”.

Il campo di applicazione della clausola – che non può essere interpretata in modo restrittivo – è definito dalle “condizioni di impiego”, locuzione idonea a ricomprendere tutte le condizioni economiche relative alle retribuzioni ed alle pensioni che “dipendono da un rapporto di lavoro che lega il lavoratore al datore di lavoro, ad esclusione di quelle derivanti da un sistema legale al cui finanziamento contribuiscono i lavoratori, datori di lavoro e, eventualmente, pubblici poteri, in misura meno dipendente da un rapporto di lavoro siffatto che da considerazioni di politica sociale” (CGUE 10 giugno 2010, C-395/08 e C- 396/08, INPS, par. 41).

Quanto alla nozione di “ragioni oggettive” che possono giustificare un trattamento differente, in analogia con l’omologo principio di non discriminazione contenuto nella clausola 4 dell’accordo quadro allegato alla direttiva sul lavoro a tempo determinato, sono stati ritenuti ammissibili solo i trattamenti differenziati fondati su motivi diversi dalla natura a tempo parziale del rapporto (CGUE, C-393/10, O’Brien, cit., par. 64; CGUE 7 aprile 2022, C-236/20, PG, par. 34).

La clausola 4.2. sancisce, poi, l’applicabilità del principio del pro rata temporis “ove opportuno”. La giurisprudenza della Corte di giustizia europea ha chiarito che il comma 2 contiene una specificazione delle ragioni oggettive indicate al comma 1, perché enuncia un criterio che giustifica la riduzione proporzionata delle “condizioni di impiego” in ogni ipotesi in cui il diritto in contestazione sia strettamente correlato alla quantità della prestazione resa (CGUE 3 marzo 2021, C-841/19, JL, parr. da 42 a 44).

Il rispetto del principio di non discriminazione implica, pertanto, la necessità di stimare l’applicabilità o meno del criterio della riparametrazione delle “condizioni di impiego”, lasciata dall’accordo quadro alla valutazione del caso (“ove opportuno”).

Nell’interpretazione della Corte di giustizia UE, tale criterio è stato ritenuto applicabile alle ferie annuali, all’importo della pensione e agli assegni familiari.

Con riferimento alle ferie annuali, la Corte, nella sentenza 22 aprile 2010, C-486/08, Zentralbetriebsrat der Landeskrankenhäuser Tirols, osserva al par. 33: “Si deve peraltro constatare che è invero appropriato applicare il principio del pro rata temporis, derivante dalla clausola 4, punto 2, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, al riconoscimento delle ferie annuali per un periodo di attività lavorativa a tempo parziale. Infatti, per un periodo siffatto, la riduzione del diritto alle ferie annuali rispetto a quello riconosciuto per un periodo lavorativo a tempo pieno è giustificata per ragioni oggettive.”. La Corte si è espressa in senso conforme, sul punto, con l’ordinanza 13 giugno 2013, C-415/12, Brandes, par. 31.

In ordine alla pensione di vecchiaia, la Corte, nella sentenza 23 ottobre 2003, C-4/02 e C-5/02, Schönheit e Becker, parr. 90 e 91, afferma: “A tal proposito, occorre rilevare preliminarmente che, come sottolineato dall’avvocato generale nel paragrafo 102 delle sue conclusioni, il diritto comunitario non osta al calcolo di una pensione di vecchiaia effettuato secondo una regola pro rata temporis in caso di lavoro ad orario ridotto. Infatti, oltre al numero di anni di servizio di un funzionario pubblico, la rilevanza del periodo lavorativo effettivamente svolto da quest’ultimo durante la sua carriera, paragonato a quello di un funzionario pubblico che abbia svolto durante tutta la sua carriera il proprio lavoro a tempo pieno, costituisce un criterio obiettivo ed estraneo a qualsiasi discriminazione fondata sul sesso, che consente una riduzione proporzionata dei suoi diritti pensionistici.”. Tuttavia, la medesima Corte ha precisato che, se l’importo della pensione può essere ridotto, in quanto direttamente correlato alla quantità di lavoro ed all’ammontare dei contributi versati, per contro, “il principio del pro rata temporis non è applicabile alla determinazione della data di acquisizione del diritto alla pensione, in quanto questa dipende esclusivamente dall’anzianità contributiva maturata dal lavoratore” (CGUE, C-395/08 e C-396/08, INPS, cit., parr. da 64 a 73). In piena adesione a tale interpretazione si è espressa anche questa Corte, affermando che, ai fini dell’acquisizione del diritto alla pensione, i lavoratori con orario part-time verticale ciclico hanno diritto all’inclusione anche dei periodi non lavorati, incidendo la contribuzione ridotta sulla misura della pensione e non sulla durata del rapporto di lavoro (Cass. Sez. L., 29/04/2016, n. 8565; in senso conforme, Cass. Sez. L., 25/01/2018, n. 1921; Cass. Sez. L., 02/07/2021, n. 18826).

Tuttavia, la pronuncia che riveste particolare interesse in questa sede è quella che riguarda gli assegni familiari (CGUE, sentenza 5 novembre 2014, C-476/12, Österreichischer Gewerkschaftsbund, par. 25), nel cui ambito si afferma: “la clausola 4, punto 2, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale deve essere interpretata nel senso che il principio “pro rata temporis” si applica al calcolo dell’importo di un assegno per figli a carico erogato dal datore di lavoro di un lavoratore a tempo parziale, in esecuzione di un contratto collettivo”. In particolare, in quel contesto si assume che “l’assegno per figli a carico di cui trattasi non è una prestazione prevista dalla legge ed erogata dallo Stato. Esso è versato dal datore di lavoro sulla base di un contratto collettivo, negoziato dalle parti contraenti, a favore dei lavoratori con figli a carico.” (par. 13) e che “le parti nel procedimento principale concordano nel ritenere che l’assegno di cui trattasi costituisca una retribuzione versata al lavoratore.” (par. 15). Sulla base di tali premesse, si osserva che “poiché l’assegno per figli a carico fa parte della retribuzione del lavoratore, esso è determinato dai termini del rapporto di lavoro concordati tra quest’ultimo e il datore di lavoro” (par. 19), sicché “se, secondo i termini di tale rapporto di lavoro, il lavoratore è assunto a tempo parziale, occorre considerare che il calcolo dell’assegno per figli a carico in applicazione del principio “pro rata temporis” è oggettivamente giustificato, ai sensi della clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, e opportuno, ai sensi della clausola 4, punto 2, di detto accordo quadro (v., per analogia, sentenza Heimann e Toltschin, C-229/11 e C-230/11, EU:C:2012:693, punto 34 e giurisprudenza ivi citata)” (par. 20), sottolineando che “è evidente come la natura della prestazione oggetto del procedimento principale non possa ostare all’applicazione della clausola 4, punto 2, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, dal momento che l’assegno per figli a carico, rientrando tra i vantaggi pagati in denaro al lavoratore, è una prestazione divisibile (v., per analogia, sentenze Impact, C-268/06, EU:C:2008:223, punto 116, nonché Bruno e a., C-395/08 e C-396/08, EU:C:2010:329, punto 34)” (par. 21), richiamando le proprie precedenti pronunce nella quali è stato applicato il principio pro rata temporis (per l’appunto, calcolo della pensione di vecchiaia e delle ferie annuali).

In base soprattutto alle nette affermazioni contenute in quest’ultima pronuncia, si delinea un’interpretazione secondo cui il principio del pro rata temporis è applicabile ad un elemento retributivo corrisposto dal datore di lavoro in denaro in conformità agli accordi intercorsi tra le parti, anche in ragione della sua natura di prestazione divisibile.

5.2. Nel diritto interno, il principio di non discriminazione viene espresso nel sistema del D.Lgs. n. 81 del 2015 con la formula secondo cui “il lavoratore a tempo parziale non deve ricevere un trattamento meno favorevole rispetto al lavoratore a tempo pieno di pari inquadramento” (art. 7, comma 1), senza tuttavia riproporre espressamente il termine “comparabile”, già contenuto nell’art. 4, comma 1, D.Lgs. n. 61 del 2000 e di origine comunitaria, locuzione che aveva precluso la possibilità di utilizzare criteri alternativi di comparazione, quale quello delle diverse modalità di turnazione seguite dai lavoratori a tempo pieno (così Cass. Sez. L, 11/04/2018, n. 8966).

In effetti, il principio in esame è stato declinato in termini differenti da come era stato sancito nel D.Lgs. n. 61 del 2000.

Nel regime previgente, l’art. 4, comma 2, lett. a), D.Lgs. n. 61 del 2000, prevedeva che il lavoratore a tempo parziale beneficiasse dei medesimi diritti di un lavoratore a tempo pieno comparabile in particolare per quanto concerne: “l’importo della retribuzione oraria; la durata del periodo di prova e delle ferie annuali; la durata del periodo di astensione obbligatoria e facoltativa per maternità; la durata del periodo di conservazione del posto di lavoro a fronte di malattia; infortuni sul lavoro, malattie professionali; l’applicazione delle norme di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro; l’accesso ad iniziative di formazione professionale organizzate dal datore di lavoro; l’accesso ai servizi sociali aziendali; i criteri di calcolo delle competenze indirette e differite previsti dai contratti collettivi di lavoro; i diritti sindacali, ivi compresi quelli di cui al titolo III della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni.”; in tal modo, il lavoratore part-time aveva, relativamente ai principali istituti normativi, i medesimi diritti di un lavoratore a tempo pieno comparabile, mentre il riproporzionamento era previsto per gli istituti prettamente economici (art. 4, comma 2, lett. b).

Nella nuova disciplina di cui al D.Lgs. n. 81 del 2015 il riproporzionamento sulla base del principio del pro-rata temporis è stato stabilito per tutti i trattamenti economici e normativi (art. 7, comma 2), e non è stata mantenuta la previsione – già contenuta nell’art. 4, comma 2, lett. b), seconda parte, D.Lgs. n. 61 del 2000 – che riconosceva la “facoltà per il contratto individuale di lavoro e per i contratti collettivi, di cui all’articolo 1, comma 3, di prevedere che la corresponsione ai lavoratori a tempo parziale di emolumenti retributivi, in particolare a carattere variabile, sia effettuata in misura più che proporzionale.”.

Pur a fronte dell’ampia previsione di carattere generale, la successiva disposizione del secondo comma dell’art. 7 del D.Lgs. n. 81 del 2015 attribuisce comunque ai contratti collettivi la possibilità di modulare la durata del periodo di prova e di preavviso, nonché di comporto per malattia o infortunio, “in relazione all’articolazione dell’orario di lavoro” (art. 7, comma 2, secondo periodo). Rispetto alla precedente disciplina, che affidava alla contrattazione collettiva la possibilità di “modulare” la durata dei periodi di prova e di comporto per malattia, ma soltanto in caso di part-time verticale (art. 4, comma 2, lett. a), ult. periodo, D.Lgs. n. 61 del 2000), attualmente la facoltà del riproporzionamento in via negoziale è collegata semplicemente “all’articolazione dell’orario di lavoro”, senza ulteriori specificazioni (art. 7, comma 2, ult. periodo, D.Lgs. n. 81 del 2015) ed è espressamente applicabile ad ulteriori istituti, quali il periodo di comporto per infortunio ed il periodo di preavviso per licenziamento o dimissioni.

Tali difformità rispetto al regime previgente sono state stigmatizzate da una parte della dottrina, che ha espresso perplessità in ordine all’ampliamento del criterio del pro rata temporis rispetto alla clausola 4.2 della direttiva 97/81/CE sul lavoro a tempo parziale, secondo la quale tale il principio si applica “ove opportuno”, mentre la regola è la parità di trattamento, sicché il legislatore delegato del 2015 avrebbe compiuto “un passo indietro” rispetto al sistema di cui al D.Lgs. n. 61 del 2000, ritenuto più protettivo per il lavoratore a tempo parziale. Viceversa, secondo altra parte della dottrina, la nuova disciplina risulta più efficace in quanto l’art. 7 del D.Lgs. n. 81 del 2015 chiarisce la fondamentale distinzione tra “diritti” (come ad esempio l’anzianità contributiva, che dà il diritto ad accedere al trattamento pensionistico) e “trattamenti economici e normativi” (solo questi possono essere riproporzionati in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa), accantonando la preoccupazione di provvedere all’elencazione delle materie in cui il lavoratore a tempo parziale beneficia dei medesimi diritti del lavoratore a tempo pieno e delle materie in cui, viceversa, si legittima il ricorso all’applicazione del principio di proporzionalità.

5.3. Nei limiti di rilievo della questione nella presente sede, è sufficiente osservare che la pur rilevata divergenza del regime di cui al D.Lgs. n. 81 del 2015 rispetto al previgente sistema delineato dal D.Lgs. n. 61 del 2000 non induce, comunque, a dubitare della conformità dell’ordinamento interno al diritto eurounitario, in quanto la diversa formulazione del principio del pro rata temporis utilizzata nell’art. 7 non risulta di per sé eccentrica rispetto alla clausola generale contenuta in proposito nell’accordo quadro, risolvendosi, in ultima analisi, la verifica del rispetto del principio di non discriminazione nel riscontro dell’ammissibilità del criterio del riproporzionamento, quale specificazione delle ragioni oggettive che giustificano il diverso trattamento del lavoratore a termine, secondo l’interpretazione resa dalla Corte di giustizia UE sopra richiamata.

5.4. Né, peraltro, potrebbe dubitarsi della legittimità dell’attuale regime, per violazione della cd. clausola di non regresso (clausola 6.2. dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale), analoga, anche se non sovrapponibile, a quella contenuta nella clausola 8.3. dell’accordo quadro allegato alla direttiva sul lavoro a tempo determinato, secondo cui “L’attuazione delle disposizioni del presente accordo non costituisce giustificazione valida per ridurre il livello generale di protezione dei lavoratori nell’ambito coperto dal presente accordo e ciò senza pregiudizio per il diritto degli Stati membri e/o le parti sociali di sviluppare, tenuto conto dell’evoluzione della situazione, disposizioni legislative, normative o contrattuali differenti e senza pregiudizio per l’applicazione della clausola 5.1 purché il principio di non discriminazione contemplato alla clausola 4.1 sia rispettato”.

Nel dibattito sulla valenza da attribuire a siffatte clausole, la Corte di giustizia UE ha escluso la fondatezza della dottrina secondo cui la clausola di non regresso impone una cristallizzazione delle tutele (CGUE sentenza 23 aprile 2009, C-378/07, Angelidaki, par. 126), lasciando intendere che la funzione della clausola è solo quella di impedire che un arretramento di tutele si fondi sull’asserita necessità di conformare l’ordinamento interno alla direttiva, mentre ogni altro obiettivo legittimerebbe una reformatio in peius fino alla soglia delle prescrizioni minime comunitarie (CGUE, ordinanza 11 novembre 2010, C-20/10, Vino, par. 37). Risulta, quindi, dirimente l’obiettivo il cui perseguimento da parte del legislatore giustifichi l’arretramento di tutela, nel senso che è sufficiente una finalità distinta da quella perseguita dalla direttiva per escludere l’eventuale regresso dall’ambito di operatività della clausola in esame; infatti, chiamata a pronunciarsi proprio sulla normativa italiana sul contratto a termine (in particolare, sulla questione pregiudiziale sollevata con riferimento alla causale aggiuntiva per il settore poste), la Corte ha affermato: “è irrilevante il fatto che lo scopo perseguito dall’art. 2, comma 1 bis, del d.lg. n. 368/2001 sia eventualmente meno degno di tutela di quello perseguito dall’accordo quadro, ossia la protezione dei lavoratori assunti a tempo determinato. Infatti, come si evince chiaramente dalla giurisprudenza citata nel punto 37 della presente ordinanza, affinché una normativa nazionale non possa essere considerata collegata all’attuazione dell’accordo quadro ai sensi della clausola 8, punto 3, di quest’ultimo, basta che essa persegua uno scopo distinto da quello consistente nel garantire la tutela dei lavoratori a tempo determinato, cui è diretto detto accordo, senza che sia necessario valutare o comparare il primo obiettivo con il secondo.” (CGUE, C-20/10, Vino, cit., par.. 44).

In applicazione di tale interpretazione, occorre escludere nella specie la violazione della clausola di non regresso, atteso che, come si evince chiaramente dall’art. 1, comma 7, della legge delega 10 dicembre 2014, n. 183, attuata con il D.Lgs. n. 81 del 2015, la ratio dell’intervento di riordino dei contratti di lavoro – fra cui quello a tempo parziale – è individuata nella finalità di rendere gli stessi maggiormente coerenti con le attuali esigenze del contesto occupazionale “allo scopo di rafforzare le opportunità di ingresso nel mondo del lavoro da parte di coloro che sono in cerca di occupazione”. In tale quadro, la rivisitazione della disciplina del lavoro a tempo parziale si colloca nella sezione I del Capo primo del D.Lgs. n. 81 del 2015, quasi a sottolineare il rilievo che si intende attribuire a tale figura per il perseguimento degli obiettivi della legge delega.

6. In base a tale ampia ricostruzione della disciplina di riferimento, può procedersi alla disamina della disposizione contrattuale in contestazione al fine di valutarne la compatibilità con l’applicazione del criterio del pro rata temporis.

La norma denunciata – art. 112, comma 10, del CCNL area sanità del 19 dicembre 2019 – recita:

“10. Il trattamento economico del dirigente con rapporto di lavoro a impegno orario ridotto è proporzionale alla prestazione lavorativa, con riferimento a tutte le competenze fisse e periodiche, la retribuzione complessiva d’incarico, l’eventuale retribuzione individuale di anzianità, l’indennità di esclusività del rapporto di lavoro, l’indennità di specificità medico-veterinaria e l’indennità di rischio radiologico, spettanti al dirigente con rapporto a impegno orario pieno appartenente alla stessa posizione anche d’incarico.”.

Il comma 10, dunque, prevede in via generale l’applicazione del criterio del pro rata temporis al trattamento economico, ivi inclusa espressamente anche l’indennità di esclusività, avente ormai natura dichiaratamente retributiva e ricompresa nel trattamento economico fondamentale, ai sensi degli artt. 82 e 83 del CCNL.

La questione si incentra sulla finalità di tale emolumento, dacché si obietta che l’indennità di esclusività è un istituto voluto dalle parti collettive, in attuazione del disposto di cui all’art. 15-quater, comma 5, D.Lgs. 502 del 1992, per incentivare e compensare il dirigente medico che sceglie di esercitare esclusivamente la propria attività di libero professionista all’interno della struttura pubblica (in tal senso, Cass. Sez. L, 14/03/2012, n. 4060, e, più di recente, Cass. Sez. L, 26/04/2023, n. 10990), come tale, sganciata dalla durata della prestazione lavorativa e non soggetta a riparametrazione.

Sul tema, questa Corte ha ritenuto applicabile il principio del pro rata temporis all’indennità di vigilanza ex art. 37, comma 1, lett. b), CCNL del personale del Comparto delle Regioni e delle Autonomie locali del 6 luglio 1995, avente carattere fisso e corrisposta per attribuire un riconoscimento economico a chi svolge funzioni che comportano particolari responsabilità, poiché tale indennità non rientra né fra i trattamenti accessori collegati al raggiungimento di obiettivi o alla realizzazione di progetti, né tra gli altri istituti non collegati alla durata della prestazione lavorativa; una diversa interpretazione, e cioè l’erogazione piena del compenso al lavoratore a tempo parziale, risulterebbe del tutto ingiustificata e irragionevole, anche in considerazione della circostanza che tale dipendente rende comunque una prestazione ridotta rispetto ad un lavoratore a tempo pieno e, conseguentemente, si riduce anche la quantità delle attività e delle connesse responsabilità che giustificano l’erogazione del compenso, sicché, in sostanza, sussiste sempre uno stretto legame tra tempo di lavoro, attività lavorativa e quantificazione dell’emolumento ad essa connesso (così, Cass. Sez. L, 01/06/2023, n. 15540).

Ad analoga conclusione occorre pervenire con riferimento all’indennità di esclusività, a fortiori nel regime innovato dal D.Lgs. n. 81 del 2015. Infatti, tale compenso aggiuntivo, benché destinato ad incentivare la scelta del dirigente medico di concentrare il proprio impegno professionale sul solo ente di appartenenza, ai sensi dell’art. 15-quater, comma 4 (come modificato dal D.L. 29 marzo 2004, n. 81, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 maggio 2004, n. 138) e comma 5, D.Lgs. n. 502 del 1992, si sostanzia in un trattamento economico avente natura retributiva corrisposto dal datore in ragione del rapporto lavorativo, come tale rientrante nella regola generale del riproporzionamento prevista dall’art. 7, comma 2, primo periodo, del D.Lgs. n. 81 del 2015 (arg. ex Cass. Sez. L., 02/05/2024, n. 11865), risultando, quindi, correlato al ridotto impegno lavorativo.

6.1. Né, sotto questo profilo, potrebbe dubitarsi della non conformità della disposizione interna al diritto comunitario.

Infatti, come osservato in precedenza, la Corte di Giustizia UE ha chiarito che il principio del pro rata temporis contiene una specificazione delle ragioni oggettive indicate al comma 1 della clausola 4, perché enuncia un criterio che giustifica la riduzione proporzionata delle “condizioni di impiego” in ogni ipotesi in cui il diritto in contestazione sia strettamente correlato alla quantità della prestazione resa; in tale ottica, ha ritenuto applicabile la riparametrazione anche agli assegni familiari, di per sé non condizionati dalla durata della prestazione lavorativa, in ragione dell’accertata natura retributiva di tale emolumento, corrisposto dal datore in denaro, e, dunque, divisibile; caratteristiche che, all’evidenza, ricorrono anche per l’indennità di esclusività, che può, dunque, essere riparametrata in relazione alla durata ridotta della prestazione lavorativa.

7. Tale conclusione risulta ulteriormente confermata dall’interpretazione sistematica dell’assetto raggiunto dalle parti sociali in ordine alla posizione del dirigente con impegno orario ridotto.

In questo senso, il comma 10, in contestazione, va collocato nell’ambito delle complessive previsioni contenute nell’art. 112 del CCNL, per l’appunto dedicato al “Trattamento economico-normativo del dirigente con rapporto di lavoro a impegno orario ridotto”, nei limiti di rilievo.

Il primo comma dell’art. 112 enuncia in via generale il principio di non discriminazione, in conformità alla previsione di cui all’art. 7 del D.Lgs. n. 81 del 2015 e senza discostarsi sostanzialmente dal significato della clausola 4 dell’accordo quadro in materia (“1. Al dirigente con rapporto a impegno orario ridotto si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di legge e contrattuali dettate per il rapporto a impegno orario pieno, ivi compreso il diritto alla formazione, tenendo conto della ridotta durata della prestazione e della peculiarità del suo svolgimento.”).

7.1. Il comma 9 del predetto art. 112 regola la determinazione dei giorni di ferie e delle altre assenze dal servizio previste dalla legge e dal CCNL, ivi comprese le assenze per malattia, riconosciuti ai dirigenti in regime di orario ridotto cd. orizzontale nella stessa misura dei dirigenti con rapporto a tempo pieno (in conformità, peraltro, all’interpretazione resa in proposito da questa Corte, in particolare, per i giorni di ferie dei dipendenti pubblici: Cass. Sez. L., 11/04/2024, n. 9857), riparametrati invece per l’orario ridotto cd. verticale (così, in generale, Cass. Sez. L, 23/01/2014, n. 1424; Cass. Sez. L, 03/07/2014, n. 15216). Ancora, l’assenza per matrimonio, le assenze per lutto, il congedo parentale ed i riposi giornalieri per maternità spettano per intero nel caso di orario ridotto cd. verticale solo per i periodi coincidenti con quelli lavorativi. Viene, invece, riconosciuto per intero anche per i dirigenti ad orario ridotto cd. verticale il periodo di congedo di maternità e paternità previsto dal D.Lgs. n.151 del 2001, così come non si riducono i termini previsti per il periodo di prova e per il preavviso, che vanno, però, calcolati con riferimento ai periodi effettivamente lavorati, nel caso di riduzione dell’orario verticale. Rimane ferma per tutte le fattispecie la regola generale della riduzione proporzionale del correlato trattamento economico alla prestazione lavorativa giornaliera.

Viene, dunque, differentemente disciplinato il godimento di istituti collegati ai diritti della persona (ferie, congedi, assenze, termini di prova e di preavviso), riconosciuti per intero, quanto meno nell’impegno ridotto cd. orizzontale, rispetto all’applicazione della regola generale del riproporzionamento dei correlati trattamenti economici in rapporto alla durata ridotta della prestazione lavorativa.

7.2. Il comma 11, attualizzando l’espressa previsione già contenuta nell’art. 4, comma 2, lett. b), seconda parte, D.Lgs. n. 61 del 2000, facoltizza i contratti integrativi a riconoscere anche in misura non frazionata o non direttamente proporzionale al regime orario adottato i trattamenti accessori collegati al raggiungimento di obiettivi o alla realizzazione di progetti, nonché altri istituti non collegati alla durata della prestazione lavorativa, in tal modo legittimando un’ulteriore modulazione dei trattamenti accessori al ricorrere di determinate caratteristiche (per una conforme applicazione, nel precedente regime, in riferimento all’indennità di funzione, prevista dall’art. 15, comma 2, della legge n. 88 del 1989 per i dipendenti dell’INPS, Cass. Sez. L, 03/08/2005, n. 16284; in senso conforme, Cass. Sez. L., 05/11/2018, n. 28140).

7.3. In base al comma 12 dell’art. 112 sono, invece, espressamente esclusi dalla riduzione proporzionale gli assegni familiari, ove spettanti, disposizione, che, all’evidenza, riconosce per intero un emolumento che, secondo la giurisprudenza europea, sarebbe pur legittimamente riparametrabile in base all’orario ridotto.

8. In definitiva, dalla disamina complessiva della disciplina contrattuale sulla posizione del dirigente con impegno orario ridotto emerge che le parti sociali hanno modulato l’applicazione del criterio del pro rata temporis previsto dall’art. 7 del D.Lgs. n. 81 del 2015 rimanendo nel perimetro delineato dalla Corte di giustizia UE nell’interpretazione della direttiva e dell’accordo quadro in materia, riproporzionando i trattamenti economici e salvaguardando i diritti che attengono strettamente alla persona, non senza prevedere alcune disposizioni di miglior favore, secondo la clausola 6.1. del medesimo accordo (“Gli Stati membri e/o le parti sociali possono mantenere o introdurre disposizioni più favorevoli rispetto a quelle previste nel presente accordo”).

8.1. Tale approdo consente anche di superare l’ulteriore argomento, pure sviluppato nella sentenza impugnata, in ordine alla nuova disposizione contrattuale, che avrebbe nuovamente riconosciuto per intero l’indennità di esclusività ai dirigenti medici con impegno orario ridotto. Infatti, le parti sociali, nell’autonomia loro rimessa ed in esito alle dinamiche negoziali, ben potevano modificare, sul punto, l’intesa raggiunta in precedenza, ma, come ben chiarito dall’ARAN, ciò si è reso possibile solo con la nuova contrattazione ed il reperimento di fondi idonei a riconoscere a tutti i dirigenti il trattamento per intero.

9. Il ricorso va, pertanto, accolto e la sentenza cassata, con rinvio della causa al Tribunale di Modena che si atterrà all’interpretazione indicata, provvedendo anche in ordine delle spese del presente giudizio di cassazione, nulla disponendo nei confronti dell’ARAN, che si è limitato a presentare memoria nel giudizio di cassazione ai sensi dell’art. 64, comma 5, D.Lgs. n. 165 del 2001, senza acquisire, di conseguenza, la qualità di parte, anche in ordine alle spese (Cass. Sez. L, 16/12/2009, n. 26364).

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa al Tribunale di Modena che si atterrà all’interpretazione indicata, provvedendo anche in ordine delle spese del presente giudizio di cassazione.

Dirigenti medici a orario ridotto e taglio dell’indennità di esclusività
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