A carico del prestatore che, durante il periodo in cui percepisce la NASPI, intraprenda un lavoro autonomo o una impresa individuale, la legge (art. 10, D.lgs. n. 22/2015) prevede l’obbligo di informare l’INPS entro un mese dall’inizio dell’attività, dichiarando il reddito annuo che prevede di trarne, pena la decadenza dalla fruizione del trattamento (art. 11, Decreto cit.). Al riguardo, ciò che rileva non è la circostanza della anteriorità o meno dell’attività lavorativa autonoma rispetto alla fruizione della NASpI, bensì la contemporaneità dello svolgimento dell’attività con il trattamento percepito.
Nota a Cass. (ord.) 23 febbraio 2025, n. 4742
Francesca Fedele
In tema di compatibilità del trattamento indennitario (NASPI) con lo svolgimento di una attività lavorativa in forma autonoma o di impresa individuale, l’art. 10, D.lgs. n. 22/2015 prescrive per il lavoratore, che durante il periodo in cui percepisce la NASPI, intraprenda un’attività lavorativa autonoma o di impresa individuale, l’obbligo di “informare l’INPS entro un mese dall’inizio dell’attività”, dichiarando il reddito annuo che prevede di trarne; il lavoratore decade (art. 11) dalla fruizione del trattamento, nel caso di inizio di una attività lavorativa in forma autonoma o di impresa individuale senza provvedere alla comunicazione predetta.
Così, la Corte di Cassazione (ord.) 23 febbraio 2025, n. 4742, la quale chiarisce che:
– la disciplina introdotta con D.Lgs. n.22/2015 prevede l’istituzione di una indennità mensile di disoccupazione, denominata Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego (NASpI), “avente la funzione di fornire una tutela di sostegno al reddito ai lavoratori con rapporto di lavoro subordinato che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione”;
– in particolare, l’art. 10 “implica un concomitante svolgimento dell’attività di lavoro autonomo o imprenditoriale in costanza di fruizione del trattamento indennitario; ciò si evince sia dalla circostanza, menzionata nell’incipit del primo comma, dell’attività lavorativa intrapresa “durante il periodo” in cui il lavoratore percepisce la NASpI, sia dalla previsione di una riduzione del beneficio in un importo percentuale del reddito previsto nella predetta comunicazione” (v. Cass. ord. n. 11543/2024);
– il termine di un mese per la comunicazione all’INPS del reddito annuo presumibilmente traibile decorre: a) se l’attività autonoma precede lo stato di disoccupazione, dalla presentazione della domanda di trattamento NASpI; b) oppure dall’inizio dell’attività lavorativa, se la suddetta attività inizia successivamente, in costanza di fruizione di NASpI;
– le disposizioni di cui agli artt. 10 e 11 cit. non si applicano nell’ipotesi in cui il fruitore NASPI abbia dimostrato di non aver intrapreso alcuna attività di lavoro autonomo o imprenditoriale, comprovando di essere titolare esclusivamente di cariche sociali (v. Cass. ord. n. 6933/2024, nel caso di presidente e consigliere del consiglio di amministrazione di una cooperativa);
– per quanto concerne le somme percepite in relazione agli uffici di amministratore di enti con o senza personalità giuridica “si tratterebbe di compensi assimilati ai redditi di lavoro dipendente (arg. ex art. 50 comma 1 lett. c-bis T.U. 917/86) che non rientrerebbero nella previsione dell’art. 10, comma 1°, D.lgs. n. 22/2015, che ricollega l’obbligo di comunicazione previsto a pena di decadenza allo svolgimento di una “attività lavorativa autonoma o di impresa individuale” (oltre che al reddito da essa derivabile)”.
Sentenza
CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 23 febbraio 2025, n. 4742
Lavoro – NASpI – Socio-amministratore di una s.a.s. – Attività di lavoro autonomo – Omessa comunicazione del prevedibile reddito annuo – Termine decadenziale – Attività intrapresa prima della domanda di prestazione – Accoglimento
Rilevato che
1.La Corte d’Appello di Torino ha respinto l’appello di INPS confermando la pronuncia di primo grado di condanna in favore di G.S. al pagamento della prestazione NASpI denegata in sede amministrativa per non avere dichiarato il reddito derivante dalla E. s.a.s. di G.S. & C., di cui egli era socio.
In particolare, richiamato un orientamento giurisprudenziale della Corte territoriale, ed illustrata la normativa di riferimento (artt. 10 e 11 D.Lgs. n. 22/2015), l’impugnata pronuncia ha ritenuto che la decadenza si verifica quando l’interessato, nel periodo di fruizione della NASpI, dia inizio, cioè intraprenda, un’attività di lavoro autonomo senza effettuare la comunicazione del prevedibile reddito annuo ricavabile da tale attività, non già nella diversa ipotesi in cui il fruitore della predetta prestazione svolga attività lavorativa autonoma già anteriormente alla cessazione del rapporto di lavoro subordinato (in dipendenza della quale viene corrisposta la NASpI), in ragione del tenore letterale dell’art. 11 secondo cui la comunicazione del reddito vada effettuata entro 30 giorni dall’inizio dell’attività.
La Corte territoriale ha anche precisato che le disposizioni sulla decadenza, in quanto di natura eccezionale, non possono applicarsi in via analogica ai casi non espressamente previsti, di talchè non era consentito ipotizzare l’intervenuta decadenza dal beneficio in questione, per il fatto di non avere l’interessato comunicato entro 30 giorni dalla domanda amministrativa di NASpI il reddito previsto come conseguibile per l’attività di lavoro autonomo svolta da epoca anteriore alla domanda stessa.
In particolare, si evidenziava in sentenza che il G. aveva comunicato la cessazione della s.a.s. e di non aver mai percepito redditi da essa nell’anno 2018.
2. L’INPS propone ricorso affidandosi ad un unico motivo, a cui il G. interpone controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie, nei termini di rito prima dell’adunanza camerale del 14 novembre 2024.
Considerato che
1.Con l’unico motivo il ricorrente istituto censura la violazione degli artt. 10 primo comma e 11 lett. c) del D.Lgs. n.22/2015, con riferimento all’art. 12 disp. prel. al cod. civ., in relazione all’art. 360 n.3 c.p.c., ritenendo che, da una interpretazione non meramente letterale delle norme ma dalla loro connessione e dalla ratio legis, il significato delle parole “entro un mese dall’inizio dell’attività” vada riferito al momento dello dell’inizio della concomitanza della indennità NASpI e della attività di lavoro autonomo; tale momento coinciderebbe con la presentazione della domanda amministrativa (nel caso di svolgimento di attività di lavoro autonomo intrapresa prima della data di cessazione del rapporto di lavoro e continuata durante il periodo di disoccupazione) o con la data in cui è effettivamente intrapresa l’attività (nel caso di svolgimento di attività di lavoro autonomo cominciata dopo la cessazione del rapporto di lavoro durante il periodo di disoccupazione).
Per contro, sarebbe irragionevole ed ingiustificata l’interpretazione della norma nel senso che per la comunicazione di una attività intrapresa successivamente all’inizio della percezione della NASpI vi sia uno stringente termine decadenziale di un mese, mentre per un’attività preesistente e perdurante non vi sia alcun termine per la comunicazione, in presenza di una identica situazione in cui l’esercizio di attività di impresa o di lavoro autonomo faccia presumere la percezione di un reddito incompatibile con lo stato di bisogno conseguente allo stato di disoccupazione.
Al riguardo il ricorrente richiama un’interpretazione della Corte di legittimità secondo la quale il termine “intraprendere” vada inteso non solo nel senso letterale di “iniziare” ma di “applicarsi con maggiori energie e per un maggior tempo che per il passato”, in linea con il principio secondo il quale le norme anche di carattere eccezionale siano suscettibili di interpretazione estensiva.
Nel caso specifico, trattandosi di attività svolta come socio-amministratore di una s.a.s., in concomitanza con il periodo di disoccupazione dal febbraio 2018, doveva ritenersi tardiva la comunicazione in data 28/8/2018 dello svolgimento di tale attività dalla quale il G., in qualità di socio accomandatario, prevedeva di trarre un reddito pari a zero euro; poiché la comunicazione era stata resa oltre il termine di 30 giorni dalla domanda amministrativa (del 28/2/18), ne discendeva la decadenza dal beneficio e la cassazione della sentenza impugnata.
Nelle memorie illustrative l’istituto ricorrente richiama precedenti pronunce di questa Corte in cui si afferma l’applicazione della decadenza per omessa comunicazione anche a chi abbia iniziato a svolgere attività di lavoro autonomo prima della domanda del trattamento NASpI.
2. Nel controricorso l’interessato insiste per l’interpretazione letterale della norma, volta a disciplinare i casi di sopraggiunta attività di lavoro autonomo, in corso di fruizione della NASpI, nè era applicabile l’interpretazione estensiva del termine intraprendere fornita dalla Suprema Corte poiché nel caso specifico il G. aveva abbandonato del tutto l’attività imprenditoriale.
Peraltro, la norma in esame intende contrastare l’indebita coesistenza di fonti di reddito e la sovrapposizione della prestazione di disoccupazione con proventi da attività autonoma.
La perdita del diritto per la ritenuta decadenza si fonderebbe su dati puramente formali, indipendentemente dai presupposti sostanziali del diritto, e ciò precluderebbe l’accesso ad un diritto costituzionale ex art. 38 Cost.
Conclude per il rigetto.
Nelle sue memorie illustrative il controricorrente si riporta alle difese già svolte precisando che il ruolo di socio di s.a.s. è diverso da quello di lavoratore autonomo o di titolare di impresa individuale, e non si trattava di un reddito da lavoro autonomo ma di compenso per carica sociale, dovendosi ulteriormente escludere l’analogia con la disposizione dell’art. 10.
In via subordinata pone una questione di costituzionalità degli artt. 10 e 11 del d.lgs. 22/2015 in relazione agli artt. 3 e 38 Cost. laddove la norma tutela un bisogno previdenziale conseguente al reddito da lavoro perduto non anche per redditi aggiuntivi come proventi da cariche societarie.
3. Il motivo di ricorso è fondato e va accolto.
3.1 – La normativa introdotta con D.Lgs. n.22/2015 prevede l’istituzione di una indennità mensile di disoccupazione, denominata Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego (NASpI), avente la funzione di fornire una tutela di sostegno al reddito ai lavoratori con rapporto di lavoro subordinato che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione.
Nell’obiettivo di regolamentare condizioni di avvio all’occupazione, l’art. 10 cit. d.lgs. disciplina la compatibilità del trattamento indennitario con lo svolgimento di una attività lavorativa in forma autonoma o di impresa individuale, prescrivendo per il lavoratore che durante il periodo in cui percepisce la NASpI intraprenda un’attività lavorativa autonoma o di impresa individuale l’obbligo di “informare l’INPS entro un mese dall’inizio dell’attività”, dichiarando il reddito annuo che prevede di trarne; il lavoratore, tuttavia, decade (art. 11) dalla fruizione del trattamento, nel caso di inizio di una attività lavorativa in forma autonoma o di impresa individuale senza provvedere alla comunicazione predetta.
3.2 – La compatibilità, che l’art. 10 si premura di disciplinare, implica un concomitante svolgimento dell’attività di lavoro autonomo o imprenditoriale in costanza di fruizione del trattamento indennitario; ciò si evince sia dalla circostanza, menzionata nell’incipit del primo comma, dell’attività lavorativa intrapresa “durante il periodo” in cui il lavoratore percepisce la NASpI, sia dalla previsione di una riduzione del beneficio in un importo percentuale del reddito previsto nella predetta comunicazione.
Di recente (ord. n. 1053/2024) si è osservato che «il corretto significato delle parole “entro un mese dall’inizio dell’attività” deve essere riferito alla data dello svolgimento dell’attività di lavoro autonomo rilevante ai fini della Naspi, ossia dall’inizio della concomitanza dell’indennità Naspi e dell’attività di lavoro autonomo, cioè, dal momento della presentazione della domanda amministrativa, nel caso in cui lo svolgimento di attività di lavoro autonomo fosse stata intrapresa prima della data della cessazione del rapporto di lavoro subordinato che aveva dato corso al periodo di disoccupazione, senza quindi alcuna distinzione tra omessa e tardiva comunicazione oltre i trenta giorni e tra chi già aveva in corso, al momento della domanda di Naspi, un’attività di lavoro autonomo e chi la inizia dopo aver cominciato ad usufruire della Naspi».
4. Deve dunque ritenersi rilevante, ai fini dell’obbligo comunicativo di cui all’art. 10 e per evitare la decadenza dell’art. 11, non già la circostanza della anteriorità o meno dell’attività lavorativa autonoma rispetto alla fruizione della NASpI, bensì la contemporaneità dello svolgimento dell’attività con il trattamento percepito; ed in questo senso, il termine “intraprendere”, va inteso non solo come “iniziare” (l’utilizzo dei due termini nello stesso testo del primo comma dell’art. 10 ne suggerirebbe un diverso significato) ma anche come “impegnarsi, dedicarsi, applicarsi”.
Sul punto, si rimanda a quanto già osservato anche in ord. n. 11543/2024 secondo la quale «dal tenore testuale dell’art. 10, cit., risulta che la fattispecie cui si correla la decadenza è rappresentata dall’omessa comunicazione all’INPS della circostanza della contemporaneità tra il godimento del trattamento di disoccupazione e lo svolgimento dell’attività lavorativa autonoma da cui possa derivare un reddito, non essendo al contrario necessario che tale attività sia stata intrapresa in epoca successiva all’inizio del periodo di percezione della NASpI» ed ancora, «che non osta a tale interpretazione la circostanza che l’art. 10, comma 1, ricolleghi l’obbligo di comunicazione al fatto che l’assicurato “intraprenda un’attività lavorativa autonoma o di impresa individuale”, ben potendosi il verbo “intraprendere” intendere non solo nel senso letterale di “iniziare”, ma anche in quello di “applicarsi con maggiori energie e per un maggior tempo che per il passato” (così, seppure in fattispecie differente, già Cass. n. 5951 del 2001)».
5. Il termine di un mese per la comunicazione all’INPS del reddito annuo presumibilmente traibile, decorre dunque, se l’attività autonoma precede lo stato di disoccupazione, dalla presentazione della domanda di trattamento NASpI, mentre, se l’attività autonoma comincia successivamente in costanza di fruizione di NASpI, decorre dall’inizio dell’attività lavorativa.
Le conseguenze decadenziali di cui al successivo art. 11 co. 1 lett. c) d.lgs. 22/2015, per l’omessa comunicazione, restano inalterate nell’uno e nell’altro caso; ed infatti, va escluso che l’applicazione della predetta decadenza al caso dell’assicurato che abbia omesso di comunicare all’INPS, nel termine di trenta giorni dalla data di presentazione della domanda di prestazione, il contemporaneo svolgimento di attività di lavoro autonomo integri un’ipotesi di estensione analogica della decadenza a fattispecie non espressamente prevista dal legislatore, come tale vietata dall’art. 14 prel. c.c., «trattandosi al contrario di un risultato coerente con un’interpretazione del combinato disposto dell’art. 10, comma 1, e dell’art. 11, comma 1, lett. c), cit., che, tenendo conto dell’ “intenzione del legislatore”, di cui all’art. 12 prel. c.c., non fa che estendere la regula juris della decadenza ad una fattispecie da reputarsi implicitamente considerata dalla norma, che nella specie -com’è d’uso dire con antica espressione- minus dixit quam voluit (per la legittimità di tale operazione ermeneutica anche in presenza di norme eccezionali v. Cass. S.U. n. 1919 del 1990 e, più di recente, Cass. S.U. n. 11930 del 2010)» (in tali termini, nuovamente Cass. 11543/2024).
In continuità con il consolidato orientamento di questa Corte si vedano pure ord. n.6933/24, n.22924/24, n.22800/24.
6. A conforto di quanto fin qui argomentato, si richiami anche la precedente ord. n. 846/2024, circa l’insussistenza di un’ipotesi di applicazione analogica di norma eccezionale in divieto dell’art. 14 disp. prel. c.c., nell’intendere che l’obbligo di comunicazione riguardi anche l’attività lavorativa già intrapresa prima della domanda di Naspi. «Si tratta piuttosto di una esegesi dell’art.10, co.1 che rimane all’interno del perimetro testuale normativo, anziché esorbitare da esso e riferirsi a fattispecie diverse ma connotate da “eadem ratio”. … Né può essere condiviso l’ulteriore argomento espresso nella pronuncia impugnata, ovvero che la comunicazione era stata data, seppure in ritardo rispetto al termine di legge, anziché essere stata omessa.
L’art.11 lett. c) correla la decadenza alla mancata comunicazione di cui all’art.10, co.1, primo periodo, e tale norma parla espressamente di comunicazione da inviare entro un mese.
Dunque, dal combinato disposto degli artt.10, co.1, primo periodo e 11 lett. c), risulta chiaro che la decadenza scatta ogni qual volta la comunicazione non sia data entro il termine di un mese, nel caso di specie pacificamente non rispettato».
7. In definitiva, la decadenza prevista dall’art. 11 co.1, lett. c, per l’omessa comunicazione nel termine dell’art. 10 co.1, non sanziona di per sé sola l’omissione formale bensì la conseguente impossibilità di consentire una verifica della compatibilità reddituale, tant’è che nella seconda parte del primo comma dell’art. 10 si prevede che la presentazione della dichiarazione reddituale ed i dati in essa ricavabili incidano sul trattamento in corso di erogazione.
D’altronde, la funzione della prestazione in esame, essendo finalizzata ad assicurare temporaneamente una forma di assistenza ai lavoratori che, per effetto della cessazione del rapporto di lavoro, non possono far ricorso a forme alternative di reddito per soddisfare le esigenze primarie della vita, verrebbe meno in ipotesi di reperimento di nuova occupazione, sicché il lavoratore decade dal relativo beneficio se comunica tardivamente l’esistenza di un nuovo impiego (cfr. Cass. n. 3776/09 in tema di indennità di mobilità, ed anche Cass. n. 6296/01) per cui sono a carico dello stesso le conseguenze sanzionatorie in caso di mancata comunicazione.
8. Da ultimo, va escluso alcun profilo di costituzionalità delle norme sin qui scrutinate, non avendo il controricorrente articolato puntualmente una specifica ragione della ipotizzata illegittimità; peraltro, la funzione assistenziale non è pregiudicata dal meccanismo previsto dall’art. 10 primo comma, seconda parte, che implica invece una perequazione, mediante riduzione o esclusione della Naspi, in presenza di condizioni diverse da quanto rappresentato al momento della concessione del beneficio, realizzando in tal modo un corretto bilanciamento dei diversi interessi in rilievo.
9. La sentenza impugnata non si è attenuta ai predetti principi. Cionondimeno va evidenziato che nel caso in esame è rimasto non chiarito se il richiedente abbia non comunicato redditi percepiti come attività di impresa ovvero come compenso di amministratore di società, ed a monte, se vi sia stata contemporaneità non solo di percezione del predetto compenso in pendenza di NASpI ma di svolgimento della stessa attività, ed in che forma, in ambito societario (autonoma/imprenditoriale o gestoria), visto che in sentenza è stata menzionata la circostanza della cancellazione della società dal registro delle imprese il 12/7/2018, ossia oltre un mese prima della comunicazione ad INPS del 28/8/2018.
Per l’applicazione dei principi di diritto innanzi enunciati occorre, allora, verificare non già la percezione di redditi di impresa o compensi per la carica ricoperta -circostanza esclusa in sentenza-, bensì l’effettivo concomitante svolgimento dell’attività di impresa collettiva, di cui l’interessato era stato socio e amministratore, con la percezione del trattamento NASpI; le conseguenze decadenziali permarrebbero qualora, pur non producendo redditi, l’attività di impresa sia stata svolta, non risultandone accertata l’effettività alla luce della cancellazione della società dopo quattro mesi e mezzo dalla domanda di prestazione NASPI.
10. Va per contro escluso che le disposizioni di cui agli artt. 10 e 11 possano trovare applicazione nel caso in cui il fruitore NASPI abbia dimostrato di non aver intrapreso alcuna attività di lavoro autonomo o imprenditoriale, comprovando di essere titolare esclusivamente di cariche sociali (è stato in tal senso argomentato in ord. Cass. 6933/2024 nel caso di presidente e consigliere del consiglio di amministrazione di una cooperativa; ivi si richiama «l’orientamento secondo cui l’amministratore unico o il consigliere d’amministrazione di una società per azioni sono legati da un rapporto di tipo societario che, in considerazione dell’immedesimazione organica che si verifica tra persona fisica ed ente e dell’assenza del requisito della coordinazione, non può ritenersi compreso né tra i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all’art. 409 n. 3 c.p.c. né, a fortiori, tra quelli di lavoro subordinato di cui all’art. 2094 c.c., salvo diverso accertamento del giudice di merito (Cass. S.U. n. 1545 del 2017, cui hanno dato continuità, tra le numerose, Cass. nn. 285 del 2019 e 345 del 2020)»; e nello stesso senso, cfr. Cass. 22921/24 (in tema di s.r.l.) sulla rilevanza del vincolo di immedesimazione organica o di mandato ex art. 2260 c.c. ove il socio si limiti da esercitare le funzioni di consigliere di amministrazione, dovendosi escludere che ai fini dell’applicazione della decadenza di cui all’art. 10 comma 1 d.lgs. n.22/2015 possa operarsi qualsiasi assimilazione di principio fra la carica sociale ed esercizio di attività lavorativa autonoma.
Per le somme percepite in relazione agli uffici di amministratore di enti con o senza personalità giuridica si tratterebbe di compensi assimilati ai redditi di lavoro dipendente (arg. ex art. 50 comma 1 lett. c-bis T.U. 917/86) che non rientrerebbero nella previsione dell’art. 10, comma 1°, d.lgs. n. 22/2015, che ricollega l’obbligo di comunicazione previsto a pena di decadenza allo svolgimento di una “attività lavorativa autonoma o di impresa individuale” (oltre che al reddito da essa derivabile), circostanza che nella specie non è escluso che non sussista (nella impugnata sentenza si menziona la comunicazione di non aver percepito redditi dall’attività di impresa s.a.s. nè corrispettivi per la carica ricoperta all’interno della società); ed «argomentare diversamente equivarrebbe ad estendere la fattispecie della decadenza ad una ipotesi che, non potendo rientrare neanche per implicito nella previsione dell’art. 10, cit., si collocherebbe del tutto al di fuori del perimetro della disposizione normativa, ciò che non è consentito dal disposto dell’art. 14 prel. c.c., che espressamente vieta il ricorso all’analogia per le norme eccezionali, quali quelle che dispongono una decadenza (in tal senso cfr., tra le tante, Cass. n. 6500 del 2003)».
11. Al fine di ritenere applicabili, secondo quanto innanzi valutato, le disposizioni in esame, la sentenza va cassata con riferimento alla ritenuta esclusione dell’applicabilità del regime decadenziale al caso di attività di lavoro autonomo o di impresa individuale intrapresa prima della domanda di prestazione NASpI, e si rimanda al giudice di merito per gli ulteriori accertamenti di fatto, sull’effettivo svolgimento dell’attività all’interno della società, sulla natura della prestazione resa dal G. e degli eventuali compensi come amministratore prima della cancellazione.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia alla Corte di Appello di Torino in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimi