L’assenza per cure del dipendente pubblico, invalido civile, è ingiustificata ed  idonea ad integrare il licenziamento se la relativa, preventiva domanda di congedo non è accompagnata da certificazione medica rilasciata da una struttura sanitaria pubblica o convenzionata con il S.S.N., a nulla rilevando l’eventuale, successiva produzione di documentazione comprovante l’effettuazione delle attività terapeutiche.

Nota a Cass. 7 marzo 2025, n. 6133

Sonia Gioia

In materia di licenziamento disciplinare nel pubblico impiego, l’assenza priva di giustificazione, prevista dall’art. 55 quater, lett. b), D.LGS. 30 marzo 2001, n. 165 e s.m.i. (concernente “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”), sussiste, nell’ipotesi di congedo per cure per i lavoratori mutilati e gli invalidi civili cui sia stata riconosciuta una riduzione della capacità lavorativa superiore al 50%, qualora la relativa domanda non sia accompagnata “dalla richiesta del medico convenzionato con il Servizio sanitario nazionale o appartenente ad una struttura sanitaria pubblica dalla quale risulti la necessità della cura in relazione all’infermità invalidante riconosciuta”, a nulla rilevando la documentazione che eventualmente si limiti ad attestarne, successivamente, l’avvenuta erogazione (art. 7, D.LGS. 18 luglio 2011, n. 119, attuativo dell’art. 23, L. 4 novembre 2010, n. 183 “recante delega al Governo per il riordino della normativa in materia di congedi, aspettative e permessi”).

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione 7 marzo 2025, n. 6133 (conforme ad App. Lecce n. 119/2024), in relazione al licenziamento disciplinare intimato ad una lavoratrice, impiegata alle dipendenze dell’ASL Lecce con inquadramento nel livello A1 e mansioni di commessa,  riconosciuta invalida civile nella misura del 67%  per essersi assentata per più di tre giorni per sottoporsi a cure connesse alla propria patologia, senza produrre  certificati di malattia o altri documenti giustificativi di tali assenze.

Nel giudizio di merito, la Corte distrettuale, in conformità con il giudice di prime cure, aveva confermato la legittimità della massima sanzione disciplinare sul presupposto che la condotta tenuta dalla lavoratrice –  che si era rifiutata più volte di ottemperare alle richieste dell’Amministrazione di appartenenza di giustificare l’assenza, limitandosi a produrre solo a posteriori la documentazione medica attestante l’effettuazione delle cure  – risultava irrimediabilmente lesiva del vincolo fiduciario posto alla base del rapporto di impiego e preclusiva della possibilità di continuare a far affidamento sul corretto espletamento delle proprie mansioni da parte della dipendente.

Come noto, l’art. 55 quater D.LGS. n. 165 cit. ha introdotto e tipizzato alcune ipotesi di infrazione particolarmente gravi e, come tali, ritenute idonee a giustificare il licenziamento del pubblico dipendente, che si aggiungono agli istituti generali del recesso per giusta causa e giustificato motivo.

Tra le fattispecie tipizzate di illeciti disciplinari, per le quali è prevista l’intimazione del provvedimento espulsivo, vi è quella disciplinata dall’art. 55 quater, co. 1, lett. b), D LGS. n. 165 cit., che prevede l’irrogazione del licenziamento in caso di “assenza priva di valida giustificazione per un numero di giorni, anche non continuativi, superiore a tre nell’arco di un biennio o comunque per più di sette giorni nel corso degli ultimi dieci anni ovvero mancata ripresa del servizio, in caso di assenza ingiustificata, entro il termine fissato dall’amministrazione”.

Per la Cassazione, l’assenza dal lavoro del dipendente mutilato o invalido civile con riduzione della capacità lavorativa superiore al 50% – cui è riconosciuto ogni anno un congedo non superiore a 30 giorni, con diritto a percepire il trattamento retributivo calcolato secondo il regime economico delle assenze per malattia – è ingiustificata e può integrare la fattispecie soprarichiamata ove la preventiva domanda di congedo rivolta al datore di lavoro non sia accompagnata dalla richiesta del medico convenzionato con il servizio sanitario nazionale o appartenente ad una struttura sanitaria pubblica da cui si evinca la necessità della cura in relazione alla patologia invalidante riconosciuta, essendo irrilevante l’eventuale produzione, a posteriori, di documentazione medica attestante l’effettiva erogazione delle cure (art. 7, D.LGS. n. 119 cit.).

Ciò, considerato che “l’assenza per malattia è priva di rilievo disciplinare non quando è solo “esistente od è anche comunicata” ma quando è “giustificata nelle forme, inderogabili”, previste dall’art. 55 septies, co. 1, D.LGS. n. 165 cit., vale a dire quando è stata attestata da certificazione medica rilasciata da una struttura sanitaria pubblica o da un medico convenzionato con il S.S.N., che è tenuto ad inviarla con la modalità telematica all’INPS che, a sua volta, provvede all’inoltro all’Amministrazione datrice di lavoro, “con la conseguenza che non costituiscono idonea giustificazione i referti ottenuti all’esito della visita fiscale” (Cass. n. 18858/2018; Cass. n. 17335/2016).

Al verificarsi di una fattispecie legale tipizzata di illecito disciplinare, si pone il problema di determinare i principi che il giudice deve applicare nel valutare la legittimità della sanzione irrogata dall’Amministrazione, una volta accertato che il lavoratore abbia commesso un’infrazione, e, pertanto, se il datore di lavoro pubblico deve irrogare, senza spazi di discrezionalità, il provvedimento espulsivo quale conseguenza automatica e necessaria dell’infrazione o se, invece, deve valutare l’effettiva portata dell’illecito tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto, e, quindi, di graduare la sanzione disciplinare, intimando il recesso solo nelle ipotesi in cui ricorrano gli elementi della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo di licenziamento.

Al riguardo, la Cassazione ha precisato che l’art. 55 quater, D.LGS. n. 165 cit., da un lato, cristallizza, dal punto di vista oggettivo, la gravità della sanzione prevedendo ipotesi specifiche di condotte del lavoratore, mentre, dall’altro, consente di verificare, caso per caso, la sussistenza dell’elemento intenzionale o colposo, e, quindi, di valutare se ricorrono “elementi che assurgono a scriminante della condotta”, tali da configurare una situazione di inesigibilità della prestazione lavorativa, in relazione sia all’adempimento della prestazione principale che agli obblighi strumentali di diligenza e correttezza (Cass. n. 17600/2021, con nota in q. sito di F. GIROLAMI).

Ne consegue che anche in presenza di tutti gli elementi costituivi dell’illecito tipizzato dalla legge, il giudice è tenuto ad effettuare il giudizio di proporzionalità o adeguatezza del provvedimento sanzionatorio, tenendo conto della portata oggettiva e soggettiva dei fatti contestati.

Nel caso di specie, la Cassazione, rilevato che la documentazione medica necessaria – ossia la certificazione rilasciata da una struttura sanitaria pubblica o da un medico convenzionato – mancava e che il datore di lavoro non aveva accordato neppure formalmente  il permesso,  ha ritenuto che la condotta della dipendente fosse connotata da “inescusabile negligenza” tale da giustificare l’irrogazione della massima sanzione disciplinare, a nulla rilevando la circostanza che la lavoratrice avesse successivamente inviato un certificato medicato rilasciato da un centro fisioterapico che “poteva eventualmente provare la sottoposizione alle cure, ma non poteva sostituire l’intervento preventivo di una struttura sanitaria pubblica o di un medico convenzionato con il Servizio Sanitario Nazionale”.

Sentenza

CORTE DI CASSAZIONE  7 marzo 2025, n. 6133

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Lecce, con sentenza del 20 gennaio 2023, ha respinto il ricorso con cui A.A., premesso di essere stata assunta alle dipendenze dell’ASL Lecce il 1 marzo 2007, con inquadramento nel livello A1 e mansioni di commessa, e di essere stata riconosciuta, dalle competenti Commissioni mediche, invalida civile nella misura del 67% con decorrenza dal febbraio 2016, aveva esposto che, con nota disciplinare del 17 febbraio 2021, le era stata contestata l’assenza ingiustificata dal servizio nel periodo fra il 4 e il 26 gennaio 2021, in relazione al quale non erano stati trasmessi certificati di malattia, infortunio sul lavoro o richieste di ferie, con conseguente irrogazione della sanzione del licenziamento con preavviso di quattro mesi.

La ricorrente si è difesa sostenendo di avere inviato istanza di congedo per cure, ai sensi dell’art. 7  del D.Lgs. n. 119 del 2011 , indicando quale periodo di fruizione quello dal 4 gennaio al 17 febbraio 2021, e, in seguito, il 18 febbraio 2021, certificato attestante l’effettuazione delle cure rilasciato da un centro di fisioterapia.

Ha domandato, quindi, l’annullamento della sanzione, con reintegra nel posto di lavoro.

Il Tribunale di Lecce, nel contraddittorio delle parti, ha rigettato il ricorso.

A.A. ha proposto appello che la Corte d’Appello di Lecce, con sentenza n. 119/2024, nel contraddittorio delle parti, ha respinto.

A.A. ha presentato ricorso per cassazione sulla base di due motivi.

L’ASL Lecce si è difesa con controricorso e ha depositato memoria.

Motivi della decisione

1) Con il primo motivo la ricorrente contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 55 quater , lett. b), del D.Lgs. n. 165 del 2001 , in combinato disposto con l’art. 7, commi 1, 2 e 3 del D.Lgs. n. n. 119 del 2011, e dell’art. 32  Cost. in quanto la corte territoriale avrebbe errato nel confermare la sanzione del licenziamento con preavviso a lei inflitta per essersi assentata, senza giustificazione, nei giorni 4, 5, 7, 8, 11, 12, 13, 14, 15, 18, 19, 20, 21, 22, 25 e 26 di gennaio 2021. Al contrario, a suo avviso, le assenze in questione sarebbero state giustificate, nonostante la mancata presentazione della richiesta del medico competente attestante la necessità della cura, perché, in base all’art. 7 , comma 3, del D.Lgs. n. 119 del 2011 , il lavoratore sottoposto a trattamenti terapeutici continuativi poteva presentare, a giustificazione dell’assenza, anche attestazione cumulativa. D’altronde, aveva ritenuto che l’istanza di congedo fosse stata accordata implicitamente, stante l’assenza di un riscontro esplicito da parte dell’ASL e alla luce della prassi seguita in passato in casi del genere.

La censura è infondata.

L’art. 55 quater , lett. b), del D.Lgs. n. 165 del 2001  stabilisce che “Ferma la disciplina in tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo e salve ulteriori ipotesi previste dal contratto collettivo, si applica comunque la sanzione disciplinare del licenziamento nei seguenti casi:

b) assenza priva di valida giustificazione per un numero di giorni, anche non continuativi, superiore a tre nell’arco di un biennio o comunque per più di sette giorni nel corso degli ultimi dieci anni ovvero mancata ripresa del servizio, in caso di assenza ingiustificata, entro il termine fissato dall’amministrazione”.

L’art. 7 , commi 1, 2 e 3, del D.Lgs. n. 119 del 2011  prescrive che:

“1. Salvo quanto previsto dall’articolo 3 , comma 42, della legge 24 dicembre 1993, n.537 , e successive modificazioni, i lavoratori mutilati e invalidi civili cui sia stata riconosciuta una riduzione della capacita lavorativa superiore al cinquanta per cento possono fruire ogni anno, anche in maniera frazionata, di un congedo per cure per un periodo non superiore a trenta giorni.

2. Il congedo di cui al comma 1 è accordato dal datore di lavoro a seguito di domanda del dipendente interessato accompagnata dalla richiesta del medico convenzionato con il Servizio sanitario nazionale o appartenente ad una struttura sanitaria pubblica dalla quale risulti la necessità della cura in relazione all’infermità invalidante riconosciuta.

3. Durante il periodo di congedo, non rientrante nel periodo di comporto, il dipendente ha diritto a percepire il trattamento calcolato secondo il regime economico delle assenze per malattia. Il lavoratore è tenuto a documentare in maniera idonea l’avvenuta sottoposizione alle cure. In caso di lavoratore sottoposto a trattamenti terapeutici continuativi, a giustificazione dell’assenza può essere prodotta anche attestazione cumulativa”.

La S.C. ha già chiarito (Cass., Sez. L, n. 17335 del 25 agosto 2016 ) che, ai sensi dell’art. 55 quater , lett. b), del D.Lgs. n. 165 del 2001 , l’assenza per malattia è priva di rilievo disciplinare non se è solo “esistente od è (anche) comunicata”, ma quando è “giustificata” nelle forme, inderogabili, previste dall’art. 55 septies, comma 1, sicché solo se sia stata attestata da certificazione medica rilasciata da una struttura sanitaria pubblica o da un medico convenzionato con il Servizio Sanitario Nazionale. In particolare, la procedura prevista dall’art. 55 septies  del D.Lgs. n. 165 del 2001  può ritenersi conclusa esclusivamente con l’inoltro della prescritta certificazione medica al datore di lavoro da parte dell’INPS, con la conseguenza che non costituiscono idonea giustificazione i referti ottenuti all’esito della visita fiscale (Cass., Sez. L, n. 18858 del 26 settembre 2016 ).

Infatti, la Suprema Corte ha affermato (Cass., Sez. L, n. 17600 del 21 giugno 2021 ) che, in tema di pubblico impiego privatizzato, l’assenza priva di valida giustificazione per un numero di giorni, anche non continuativi, superiore a tre nell’arco di un biennio, consente l’intimazione della sanzione disciplinare del licenziamento, ai sensi dell’art. 55 quater , lett. b), del D.Lgs. n. 165 del 2001 , purché non ricorrano elementi che assurgano a “scriminante” della condotta tenuta dal lavoratore, tali da configurare una situazione di inesigibilità della prestazione lavorativa, in relazione sia all’adempimento della prestazione principale sia agli obblighi strumentali di correttezza e diligenza. Nella specie, la S.C. ha confermato il licenziamento, stante la mancata produzione di certificazioni mediche giustificative delle assenze per malattia, certificazioni che, peraltro, avrebbero dovute essere redatte ai sensi dell’art. 55 septies  del D.Lgs. n. 165 del 2001 , reputando insufficiente allo scopo la telefonata meramente predittiva delle assenze effettuata dal lavoratore al datore.

Nel caso in esame, la Corte d’Appello di Lecce ha accertato (e la circostanza non è contestata) che la documentazione medica necessaria – ossia la certificazione medica rilasciata da una struttura sanitaria pubblica o da un medico convenzionato con il Servizio Sanitario Nazionale dalla quale risulti la necessità della cura in relazione all’infermità invalidante riconosciuta – mancava.

Allo stesso modo, risulta che il datore di lavoro non ha neppure accordato formalmente il permesso in esame.

Alla luce di quanto esposto, è priva di rilievo la circostanza che, successivamente, la ricorrente abbia inviato un certificato rilasciato dal Centro di fisioterapia di B.B. E C. Sas, il quale poteva eventualmente provare la sottoposizione alle cure, ma non poteva sostituire l’intervento preventivo di una struttura sanitaria pubblica o di un medico convenzionato con il Servizio Sanitario Nazionale.

La Corte d’Appello di Lecce ha, poi, sottolineato che parte controricorrente aveva contestato fin dal primo grado l’affermazione della lavoratrice secondo la quale il congedo sarebbe stato autorizzato implicitamente, stante l’assenza di un riscontro esplicito da parte dell’ASL e secondo la prassi seguita in passato in casi del genere.

Peraltro, si tratterebbe, comunque, di un elemento non decisivo, attesa la mancanza della menzionata documentazione medica.

2) Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1175 , 1375 , 2104 , 2106 , 2119  e 2210  c.c. e degli artt. 55 e 55 quater del d.gs. n. 165 del 2001 e 7 del D.Lgs. n. 119 del 2011  perché la corte territoriale non avrebbe valutato in concreto la gravità del fatto contestato e la proporzionalità fra sanzione e condotta.

Infatti, a suo avviso, avrebbe dovuto darsi peso al fatto che le cure erano state sostenute e che, dalla documentazione depositata (i prospetti di rilevamento delle presenze di febbraio e marzo 2021), risultava che le sue azioni erano giustificate.

La censura è inammissibile, atteso che la Corte d’Appello di Lecce ha svolto un completo giudizio di proporzionalità, dedicandovi circa tre pagine di motivazione.

Si tratta di una valutazione di merito, di per sé non sindacabile in sede di legittimità.

In particolare, oltre a evidenziare il carattere tipizzato della condotta posta in essere dalla ricorrente, che, ai sensi dell’art. 55 quater , lett. b), del D.Lgs. n. 165 del 2001 , è punito con la sanzione disciplinare del licenziamento, la corte territoriale ha sottolineato come la dipendente, nonostante fosse stata più volte richiesta di giustificarsi, non avesse mai ottemperato alle sollecitazioni ricevute, tanto da non presentarsi mai per rendere chiarimenti davanti all’organo competente.

Il giudice del merito, pertanto, ha considerato l’intera vicenda “connotata da inescusabile negligenza della lavoratrice”.

Quanto ai documenti menzionati, il giudice di appello ne ha dichiarato l’inammissibilità in quanto prodotti tardivamente in primo grado, e l’irrilevanza, non essendo idonei a provare la concessione, da parte dell’Azienda, di giorni di malattia per il mese di gennaio.

3) Il ricorso è rigettato, in applicazione del seguente principio di diritto:

“L’assenza priva di valida giustificazione prevista dall’art. 55 quater , lett. b), del D.Lgs. n. 165 del 2001  sussiste, nell’ipotesi di congedo per cure di cui all’art. 7 , comma 1, del D.Lgs. n. 119 del 2011 , qualora la relativa domanda non sia accompagnata, ai sensi del successivo comma 2 del citato art. 7, da richiesta del medico convenzionato con il Servizio sanitario nazionale o appartenente ad una struttura sanitaria pubblica dalla quale risulti la necessità di tali cure in relazione all’infermità invalidante riconosciuta, a nulla rilevando la documentazione che eventualmente si limiti ad attestarne, successivamente, l’avvenuta erogazione”.

Le spese di lite seguono la soccombenza ex art. 91  c.p.c. e sono liquidate come in dispositivo.

Ai sensi dell’art. 13 , comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002  si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte,

– rigetta il ricorso;

– condanna la ricorrente a rifondere le spese di lite, che liquida in Euro 3.000,00 per compenso professionale, ed in Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%;

– ai sensi dell’art. 13 , comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 , dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Assenza per cure ingiustificata e licenziamento disciplinare nel pubblico impiego
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: