I riders sono lavoratori dipendenti. Pertanto la Uber Eats va condannata per condotta antisindacale, avendo proceduto al recesso nei confronti di tutti i propri riders senza avviare la procedura dei licenziamenti collettivi ai sensi della L. n. 223/1991.

Nota a Trib. Milano 28 settembre 2023, R.G. n. 6979/2023

Claudia Giagheddu Saitta

I riders che prestano la propria opera in maniera continuata e personale sono lavoratori subordinati a tutti gli effetti con applicazione della disciplina del lavoro subordinato anche a sensi dell’art 2 D.Lgs. n. 81/2015. Ciò, per la presenza di elementi che caratterizzano la subordinazione, quali la debolezza contrattuale e la dipendenza economica. Pertanto, attuando una serie di licenziamenti collettivi, l’azienda deve rispettare la procedura di consultazione prevista dalla L. n. 223/1991. Va pertanto accolto il ricorso ex art. 28 L. n. 300/1970 presentato da Nidil-Cgil Milano, Filcams-Cgil Milano e Filt-Cgil Milano avverso la società di consegne tramite piattaforma, con condanna per condotta antisindacale e ordine di riassumere tutti i riders licenziati.

Questa la decisione del Tribunale di Milano (28 settembre 2023, R.G. n. 6979/2023) il quale assume una posizione opposta alla tesi della natura autonoma e non subordinata del rapporto di lavoro dei riders (sul presupposto dell’assenza di un’organizzazione datoriale dei tempi di lavoro in quanto i ciclo-fattorini possono liberamente scegliere se e quando lavorare).

I giudici operano altresì una ricognizione dei diversi orientamenti giurisprudenziali in materia:

a) la prima giurisprudenza di merito italiana (Trib. Torino, 7 maggio 2018, n. 778; Trib. Milano, 10 settembre 2018, n. 1853) ha escluso la subordinazione sul presupposto che i riders avevano la libertà di scegliere se e quando lavorare;

b) la Corte d’Appello di Torino (4 febbraio 2019, n. 26) ha, invece, riconosciuto la sussistenza della ipotesi di cui all’art. 2 D.Lgs n. 81/2015, affermando la sussistenza di una etero-organizzazione in capo al committente poiché i lavoratori erano integrati funzionalmente nell’organizzazione determinata in via unilaterale dal committente medesimo, il quale stabiliva tempi e luoghi della prestazione. Ciò, anche se non era configurabile la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato, in quanto il rider rimaneva un lavoratore autonomo nell’esercizio della sua attività;

c) la costruzione dogmatica che configura il rider come un terzo genere (distinto anche dalle collaborazioni di cui all’art. 409, n. 3, c.p.c.) non è stata condivisa dalla Corte di Cassazione, la quale, nella sentenza n. 1663/2020, ha ritenuto che “ dal 10 gennaio 2016 si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato tutte le volte in cui la prestazione del collaboratore abbia carattere esclusivamente personale e sia svolta in maniera continuativa nel tempo e le modalità di esecuzione della prestazione, anche in relazione ai tempi e al luogo di lavoro, siano organizzate dal committente. La Corte offre altresì una lettura della subordinazione in termini socio-economici, ponendo l’accento su di criteri ermeneutici come la debolezza contrattuale o la dipendenza economica del collaboratore intesa quale messa a disposizione da parte del lavoratore in favore dell’impresa del proprio tempo e delle proprie energie” (v. anche Trib. Torino 18 novembre 2021);

d) com’è noto, il legislatore ha valorizzato taluni indici fattuali ritenuti significativi e sufficienti (ex art. 2, co. 1, D.Lgs. n. 81/2015) a giustificare l’applicazione della disciplina dettata per il rapporto di lavoro subordinato, stabilendo che quando l’etero-organizzazione, accompagnata dalla personalità e dalla continuità della prestazione, è marcata al punto da rendere il collaboratore comparabile ad un lavoratore dipendente, si impone una protezione equivalente e, quindi, il rimedio dell’applicazione integrale della disciplina del lavoro subordinato. Circostanza questa configurabile con riguardo alle modalità di prestazione, determinate in modo sostanziale da una piattaforma multimediale e da un applicativo per smartphone,

e) la Corte costituzionale (sentenza n. 30/1996) ha “identificato la subordinazione nella cd. doppia alienità, intesa come destinazione esclusiva ad altri del risultato per il cui conseguimento la prestazione è utilizzata e come alienità dell’organizzazione produttiva”.

Nel caso di specie, osserva il Tribunale:

– “i riders non potevano organizzare tempi e modi della propria prestazione in maniera autonoma, ma erano soggetti alle direttive provenienti dall’applicazione, ossia da Uber Italy s.r.l., che condizionavano la prestazione sino ad annichilire del tutto la autonomia del lavoratore ed a configurare in concreto le modalità di esecuzione nell’esclusivo interesse della stessa società che aveva il controllo totale della applicazione;

– “l’assegnazione della consegna ai riders avveniva da parte della piattaforma sulla scorta di un algoritmo, che valutava la posizione del riders rispetto al ristorante e/o al luogo di consegna, al fine di rendere il più veloce ed efficiente possibile il servizio di consegna. Ciò comporta, da un lato, che la prestazione dei corrieri risultava completamente organizzata dall’esterno e, d’altra parte, che la libertà dei riders di scegliere se e quando lavorare, su cui si fonda la natura autonoma della prestazione, non poteva ritenersi reale, ma solo apparente e fittizia”;

– non erano “i riders a scegliere se e quando lavorare o meno, poiché le consegne venivano assegnate dalla piattaforma tramite l’algoritmo sulla scorta di criteri del tutto estranei alle preferenze e allo stesso interesse dei ciclofattorini”;

– “al di là dell’apparente libertà dei corrieri di scegliere i tempi di lavoro e se rendere o meno la prestazione, l’organizzazione del lavoro disegnata in modo esclusivo dalla parte convenuta Uber Italy s.r.l. sulla piattaforma digitale nella propria disponibilità si è tradotta, oltre che nell’integrazione del presupposto della etero – organizzazione, anche nella messa a disposizione del datore di lavoro da parte del lavoratore delle proprie energie lavorative per consistenti periodi temporali, peraltro non retribuiti e nell’esercizio da parte della convenuta di poteri di direzione e controllo, oltre che di natura latamente disciplinare”;

– “l’algoritmo esercitava un controllo pervasivo sull’attività svolta dal singolo rider e penalizzava quei prestatori che non si adeguavano al modello ideale di produttore che presuppone la sottoposizione a turni impegnativi di lavoro, stilava la classifica dei più meritevoli e tracciava le prestazioni dei singoli e le confrontava. In sostanza la piattaforma tramite l’algoritmo controllava la prestazione e sanzionava i comportamenti non conformi a determinati standard”;

– “l’attività prestata dai riders in favore di Uber era sicuramente personale, non prevedendo la possibilità di avvalersi di collaboratori, nonché in stretta dipendenza funzionale con le esigenze della resistente che, senza corrieri , non avrebbe potuto offrire alcun servizio e veniva prestata mediante l’impiego di mezzi modesti per consistenza e valore (una bicicletta o un motociclo e uno smartphone), sicché, anche a voler procedere ad una comparazione di tipo quantitativo comunque non si potrebbe ipotizzare la prevalenza del fattore “capitale” sul fattore lavoro”.

Sentenza

Qualificazione dei rapporti di lavoro dei riders
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